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La grande casa di Milano

Voluto dagli Sforza, interamente sorretto dalla beneficenza della città. È un monumento all’ accoglienza. Così lo raccontava Giovanni Testori

di Redazione

Nel 1984 Milano celebrava con una mostra indimenticabile, una delle sue più celebri istituzioni: la Ca’ Granda. Fondata nel 1456, era il primo ospedale moderno costruito in Europa. Attenzione umana al malato e una grande cultura medica ne erano i capisaldi. La Ca’ Granda per secoli si resse sui lasciti e le beneficenze dei cittadini, che, per ringraziamento, l’amministrazione ricordava con un ritratto. Nella mostra perciò si potevano percorrere i volti di cinque secoli di carità lombarda, e insieme ammirare l’ingegnosità e lo spirito di accoglienza che muoveva questa istituzione. Tra i promotori di quell’esposizione Giovanni Testori, che in introduzione al catalogo scrisse un testo che era un inno della gratuità. Ne pubblichiamo un brano.

Il lato terribilmente ma sacralmente gratuito della malattia, domanda che, da principio e da ultimo, sia gratuita anche la sua assistenza; e qui, sia ben chiaro, ?gratuito? è usato nei termini evangelici; nei termini, insomma, che appartengono in toto alla carità. Quella carità che non è riconducibile alla benificenza; quella carità che domanda di ridursi sempre e solo alla legge, senza limiti, dell’amore; e, appunto, della croce.
È ben certo che il passaggio dalla casa di ognuno alla ?Casa? che tutti, un giorno, ha potuto, può e, forse, dovrà accoglierci perché si venga curati e quindi riofferti alla città, al quartiere, al paese, alla fabbrica, ai campi, agli uffici, alle scuole e alle chiese, insomma alla vita od offerti invece ai sepolcri; è ben certo, dicevo, che quel passaggio ha sempre necessitato e ancor più necessita oggi di strutture che non possono non reggersi che sul «gratuito»; ed è altrettanto certo che quelle strutture ogniqualvolta hanno cercato di liberarsi del «gratuito», il quale, per defezione nostra o per difetto, potrebbe in alcuni momenti cedere o venir meno; è altrettanto certo, dicevo, che quelle strutture ogniqualvolta hanno cercato di liberarsi del «gratuito» e deferire interamente all?amministrazione pubblica o sindacale la cura del malato, hanno mostrato di scricchiolare, sfarinarsi, ridursi al loro esatto contrario; cioé a dire all?inassistenza; e questo perché schiacciate dall?inesplicabilità di partenza che è legata al dolore e, dunque, alla malattia. Inesplicabilità, ognuno l?avrà ben compreso, in ordine a riferimenti meramente storici, civili e sociali. Ché, in ordine ai riferimenti religiosi la sua spiegazione la si trova proprio nella realtà profonda che pulsa come un cuore paterno e materno, dentro la struttura filaretiana della nostra Ca? Granda, cioé a dire, nella Croce.
Per uno di quegli scandali, anzi per il primo di quegli scandali, in cui è consistita e consisterà per sempre l?apparizione di Cristo, la certezza di questa impossibile cancellazione del dolore, anziché diminuire la tensione alla carità, l?accresce e l?infiamma, la moltiplica, brucia e devasta di sè, gli intelletti e i cuori. La carità urge, preme da fuori della storia nella storia, per vincerlo e annullarlo, il dolore; anche se la carità conosce tutto e conosce così che il dolore non sarà mai completamente vinto e annullato; almeno finché l?uomo resterà uomo.
Ora è per l?appunto di una vittoria totale, prefigurata nel suo spezzettarsi e frantumarsi quotidiano, che la Ca? Granda è stata uno dei luoghi deputati; la Ca? Granda e tutta la città che, accanto al suo Duomo e agli antichi e nuovi Broletti, l?ha sempre considerata come amatissima. Dalla Torricella Malsanorum di cui ci dà notizia attorno al 1130 Beraldo (si tratta dell’Ospizio di San Materno del quale al Carrobbio sembrano riconoscibili ancor oggi alcuni resti); da quella Torricella allo Spedale di cui il 12 aprile 1456 Francesco Sforza e Bianca Maria posero la prima pietra, quante e quale strada! A quel punto, sull?esempio di infiniti altri precedenti, la carità cristiana ed ecclesiale generava una struttura primaria d’assistenza civile che da essa sarebbe risultata sempre indivisibile.
Come poi tutto questo s?accordi a quella forma particolare di carità che è la benificenza la Ca? Granda lo dice con una forza d’immagini che resta memorabile nel cuore di ogni visitatore. Intendo riferimi alla sfilata pressoché unica dei trecento ritratti di benefattori, quasi tutti in piedi, che formano la famosa Quadreria dell?Ospedale: un ritratto dell?uomo, anzi i ritratti pur essi cinematografici e televisivi, degli uomini che hanno continuato e che tornano ad agire nella concordia tra assistenza e carità non è proprio la vita disperata di oggi a domandarceli, non sono proprio i giovani a reclamerceli con il loro riscoprire, ad esempio, l?atto gratuito del volontariato?

E’massimilianoil primo obiettore

295

Il primo atto di obiezione al servizio militare accade il 12 marzo del 295. Siamo a Tabessa, in Africa, al tempo del Proconsole Dione Cassio. Massimiliano aveva 20 anni e, figlio del veterano Fabio Vittorio, avviato ad una splendente carriera militare. Ma era cristiano e per questo obiettò rifiutandosi di imbracciare le armi nonostante la condanna a morte. Massimiliamo non inveì ma chiese al padre di donare la sua veste al boia e fu decapitato. La Chiesa oggi lo onora come martire, il mondo come primo obiettore di coscienza.

Nelle misericordie nobili e peblei sono eguali

1244

Volontari ante-litteram: soccorrono, curano, assistono. In un’epoca di lupi. E’ infatti il 1244 quando la prima Confraternita di Misericordia nasce a Firenze, ad opera del domenicano Pietro da Verona, santo e martire per essere stato ucciso anni più tardi dagli eretici Patarini. E’ intitolata a Santa Maria della Misericordia. “Uomini di fede la istituirono in sodalizio per onorare Dio con opere di Misericordia verso il prossimo”, recita la costituzione della attuale Confederazione che oggi raggruppa oltre 600 gruppi in tutt’Italia.
I confratelli del Medioevo portano la “buffa”, il cappuccio che ne impedisce il riconoscimento, e si occupano di soccorrere i malati o di dare sepoltura ai morti. Precursori, in un certo senso, anche delle attività di protezione civile, visto che la pestilenza del 1348 li vedrà incessantemente attivi nei loro servizi. Un miracolo nella Firenze medievale: ne fanno parte nobili e plebei che sotto la “veste” di confratelli sono tutti uguali. In pochi anni il “movimento” cresce: nel 1250 nasce la Misericordia di Siena, nel 1262 quella di Pontremoli (Pisa), nel 1280 quella di Rifredi, sobborgo di Firenze, dieci anni più tardi a Volterra (Pisa). A Montepulciano (Siena) si costituisce nel 1303 e a Pisa nel 1330.

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