Famiglia

Se il dono fa danni Regole per gli aiuti.

Medicine scadute o inutili, macchinari senza pezzi di ricambio: a volte i soccorsi ai Paesi in emergenza diventano sprechi pericolosi.

di Carlotta Jesi

?A caval donato non si guarda in bocca?, recita un vecchio proverbio. Ma è davvero il caso di crederci? No, risponderebbero le 11 donne lituane che nel 1993 hanno quasi perso la vista per essere state curate con un farmaco veterinario senza etichetta e istruzioni per l?uso donato al loro Paese da una nazione ricca .
No, ha dichiarato alle Nazioni Unite il governo eritreo che nel 1989, durante la guerra di indipendenza, ha ricevuto dall?Occidente sette camion di aspirine scadute che ha impiegato 6 mesi e diversi milioni per smaltire. E un ?no? secco oggi arriva anche dal mondo dell?industria e della ricerca italiana per cui donare è un atto di grande responsabilità molto diverso dal liberare armadi e magazzini pieni di macchine difettose o medicine scadute.
«Troppo spesso ci si dimentica che un bene deve essere veramente utile per chi lo riceve, soprattutto quando si tratta di materiale tecnico scientifico e quando a donare siamo noi occidentali e a ricevere coloro che abitano e lavorano in contesti molto diversi dal nostro», spiega l?ingegnere civile Alberto Ricci. Che certi spiacevoli aspetti della cooperazione Nord Sud li ha visti con i suoi occhi di volontario al St. Mary?s Hospital Lacor nel nord dell?Uganda e lo scorso 17 dicembre ha coordinato presso l?Ordine degli ingegneri della Provincia di Milano un dibattito sulla donazione di materiale tecnico-scientifico alle nazioni emergenti.
Il risultato dell?incontro? Innanzitutto un elenco di caratteristiche specifiche che il Paese cui il dono è destinato deve possedere: disponibilità di assistenza tecnica affidabile in caso di guasto della macchina, reperibilità di pezzi di ricambio per ripararla, personale locale addestrato al suo corretto utilizzo, fonti di energia adeguate per metterla in moto e locali sufficientemente protetti contro agenti esterni come sabbia e umidità.
«Per capire se l?oggetto donato è un vero regalo oppure un peso», spiega Ricci, «basta un?attenta occhiata al suo ciclo vitale. Magari lanciata da una persona che conosca il macchinario donato ma anche le condizioni socio-economiche del Paese cui è destinato».
Un tecnico della donazione, insomma. Che per Ricci potrebbe introdurre una nuova cultura del dono ed evitare gli assurdi errori che quasi sempre accompagnano l?invio di medicine nelle catastrofi umanitarie. Ad elencare i più frequenti e terribili è un documento diffuso il 3 dicembre durante il convegno ?Le donazioni di farmaci: un patto di solidarietà? promosso dall?Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e Pharmaciens Sans Frontieres: farmaci irrilevanti per l?emergenza in corso, scaduti e senza istruzioni per l?uso, di qualità molto inferiore allo standard in vigore nel Paese donatore, con un valore d?acquisto troppo alto per i destinatari costretti a tasse di importazione molto salate.
Un vero disastro, insomma. Che nel caso dell?Albania, lo scorso mese di maggio, è stato così quantificato dall?Organizzazione mondiale della sanità: 400 mila pastiglie e 1200 fluidi intravenosi scaduti ancora prima di raggiungere i Balcani, 2 milioni di pastiglie, 85 mila fiale e 16 mila tubetti di pomate per uso esterno inutilizzabili dopo dicembre 1999.
E pensare che per evitare questo spreco si potrebbe cominciare a trasformare in regolamenti nazionali le Linee guide per la donazione di farmaci (www.who. int/dap/edmguidelines.html;www.drugdonations.org ) pubblicate dall?Organizzazione mondiale della sanità nel 1997 e aggiornate nel marzo di quest?anno. Dodici articoli, recentemente tradotti in italiano e allegati agli atti del convegno organizzato dall?Istituto Mario Negri, che si basano su quattro principi fondamentali: «massima utilità per il destinatario, rispetto dei desideri e volontà del destinatario, divieto di applicare doppi standard, reale comunicazione tra chi dona e chi riceve.

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