Volontariato

L’Italia dei buonisti è l’inferno dei clandestini.

Schizofrenia al potere: il Governo mette la solidarietà nei programmi ma imprigiona gli immigrati irregolari.

di Gabriella Meroni

I eri profughi, oggi clandestini. Non poteva cominciare peggio il nuovo secolo per i kosovari che godevano del permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari. Scappavano dalla guerra, e in maggio il presidente D?Alema li aveva rassicurati: vi proteggeremo noi fino alla fine dell?anno. E allora via con gli aerei speciali, per trasportare i profughi fino alla base di Comiso e negli altri centri di accoglienza sul nostro territorio, via con la solidarietà e le visite ai campi. Oggi però che i riflettori dei media si sono spenti sulle loro sofferenze, ai kosovari il governo dà il benservito, e tanti saluti alla protezione umanitaria. Nel 1999 ne avevano usufruito in 30 mila, forse oggi sono di meno, perché sono tornati in Kosovo, o hanno proseguito per il Nord Europa. Fatto sta che quelli che ancora si trovano sul nostro territorio sono diventati tutti clandestini. Nonostante il Viminale (e anche qualche funzionario di questura) informalmente assicuri che nessuno ha intenzione di mandarli via, e che anzi è già pronto il decreto, messo a punto dal sottosegretario Maritati, che proroga la protezione umanitaria fino a giugno. Ma tant?è. «Speriamo che si tratti solo di un breve ritardo dovuto al cambio di governo» dice Laura Boldrini dell?Acnur, l?agenzia Onu per i rifugiati che ha rivolto un appello urgente al presidente D?Alema perché firmi al più presto il decreto di proroga. «Altrimenti si rischia di abbandonare a loro stessi migliaia di rifugiati. Molti hanno fatto domanda di asilo, ma c?è una coda di 20 mila richieste. E nell?attesa non possono nemmeno lavorare. Come sopravviveranno?». Una dimenticanza, per non dire negligenza, del governo che piomba oltretutto in un momento davvero buio per gli immigrati in Italia. Nove clandestini morti per abbandono, freddo, mancanza di cure o tentativi di cercare un futuro migliore nella sola settimana tra Natale e Capodanno, di cui quattro deceduti proprio sotto l?ala dello Stato, in quei Centri di permanenza temporanea voluti dalla legge 40/98, che da luoghi atti a identificare i clandestini si stanno sempre più trasformando in appendici delle carceri. E non solo per le condizioni di detenzione in cui vengono trattenuti gli 800 stranieri che oggi vi si trovano. La rivolta della Croce rossa «L?ottanta per cento degli ospiti del nostro Centro proviene da Regina Coeli» conferma la dottoressa Alessandra Deodati, medico volontario della Croce Rossa e responsabile sanitaria del ?Ponte Galeria? di Roma. Qui la mattina di Natale è morto un ex detenuto tunisino di 39 anni. Non avrebbe mai dovuto trovarsi lì. «Se questi sono centri per l?identificazione, come mai ci vengono portati i detenuti a fine pena, in attesa di essere espulsi? Se sono stati condannati e incarcerati è ovvio che ne conosciamo l?identità. Invece si parcheggiano qui perché sono tanti, devono aspettare che il magistrato convalidi il decreto di espulsione e non si sa dove portarli. E così la tensione è alta, la polizia sempre all?erta, e il clima pesantissimo. Anche noi facciamo molta fatica a lavorare. Questo è un luogo di disperazione, un tunnel in fondo al quale anche chi avrebbe diritto di essere ascoltato non ha la possibilità di far sentire la propria voce». Per questo la Croce Rossa, presente in quasi tutti i centri tramite convenzioni con le prefetture che sono scadute però al 31 dicembre, è sul piede di guerra. E lancia un ultimatum al ministro Bianco: o affidate a noi la gestione, o ce ne andiamo. «Se non avremo la possibilità di lavorare come sappiamo fare non intendiamo rinnovare le convenzioni» avverte la presidente, Maria Pia Garavaglia. «Oggi non abbiamo la responsabilità del cibo, ad esempio, né possiamo agire come vogliamo, perché siamo sottoposti a esigenze superiori, di sicurezza. Come possiamo garantire che episodi come quelli dei giorni scorsi non si ripetano? Solo se ci venisse affidata la completa gestione (tranne l?aspetto di ordine pubblico, ovviamente) saremmo in grado di assumerci tutte le responsabilità». E poi, i centri sono veramente utili al loro vero scopo, cioè fermare e identificare tutti i clandestini che arrivano da noi? Prendiamo la Sicilia, terra di continui sbarchi, dove il 29 dicembre sono morti tre giovani tunisini che tentavano di scappare dal ?Serraino Vulpitta? di Trapani (oggi chiuso dopo l?incendio appiccato dagli stessi stranieri): delle altre quattro strutture ufficialmente aperte, due (Caltanissetta e Catania) sono chiuse per lavori di ristrutturazione, che comprendono la ?messa in sicurezza? con la costruzione di sbarre alle finestre e recinzioni; una è operante (a Termini Imerese); una, a Ragusa, ha riaperto in tutta fretta per accogliere gli immigrati trasferiti da Trapani. Totale dei clandestini presenti nei Centri dell?isola: non più di una sessantina. Nella sola notte tra il 2 e il 3 gennaio, ne sono sbarcati a Trapani oltre cento. Non basta. Se entro i 30 giorni previsti dalla legge non si riesce a identificare l?immigrato, questo è libero di andarsene con in mano un semplice foglio di via. E così è abbastanza alta anche la percentuale di ?ritorni? al centro di permanenza: a Ponte Galeria circa il 40% dei clandestini vi rientra almeno una volta. «Non solo i centri non risolvono un problema, ma ne creano altri» sostiene Andrea Torre del centro Auxilium di Genova, legato alla Caritas, dove trovano assistenza 200 immigrati la settimana. «Innanzitutto di tipo giuridico. Di fatto si crea un diritto parallelo, un luogo in cui è possibile trattenere persone soltanto perché sono clandestine, e non perché hanno commesso un reato, dato che l?immigrazione cladestina per il nostro ordinamento non è reato. Insomma siamo di fronte a un diritto parallelo, o meglio a un non-diritto, che ci preoccupa molto». Una proposta percorribile C?è anche chi ha deciso di non stare più a guardare, ma di protestare perché le cose cambino. E? il caso di un gruppo di associazioni che ha promosso una raccolta di firme (vedi box) per modificare l?articolo 14 della legge 40, che consente al giudice di tramutare la pena detentiva per l?immigrato in espulsione. «Siamo molto arrabbiati» dice Giampietro Cioffredi, responsabile dell?immigrazione per l?Arci, che appoggia la campagna. «Dall?agosto del 1998, quando aprì il primo centro di permanenza, denunciamo le condizioni in cui si vive lì dentro e chiediamo di poter entrare per prestare assistenza, ma dal governo solo promesse. Ora finalmente ci incontreremo con il sottosegretario Maritati a cui vogliamo chiedere uno strumento alternativo per fermare l?immigrazione clandestina. Penso ad esempio alla possibilità per lo straniero di attendere l?identificazione in un domicilio noto alle autorità, presso parenti o presso un?associazione che garantisca per lui». Un modo per permettere a chi arriva in Italia per vivere meglio di non trovarsi in condizioni peggiori di quelle da cui è fuggito.


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