Mondo

Corsa agli armamenti, nel mondo spesi 2.240 miliardi di dollari nel 2022

La stima dello Stockholm international peace research Institute (Sipri) parla di un aumento del 3,7%, pari a 127 miliardi in un anno: ben oltre i 100 miliardi che sarebbero necessari a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico. La Rete italiana pace e disarmo critica l'atteggiamento dei governi e chiede un cambio totale di visione a beneficio dell'umanità e del pianeta

di Redazione

La spesa complessiva destinata all’acquisto di munizioni e sistemi d’arma a livello mondiale, nel corso del 2022, ha registrato un aumento del 3,7% in termini reali rispetto all’anno precedente, raggiungendo così la quota record di 2.240 miliardi di dollari. La stima è dello Stockholm international peace research Institute – Sipri, secondo il quale l’aumento registrato equivale a 127 miliardi in un anno, “superando di gran lunga i 100 miliardi annui che sarebbero necessari a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico, ma che gli Stati del mondo non riescono a destinare a tale scopo, per scelte politiche miopi”, come osserva in una nota la Rete italiana pace e disarmo.



«Sono dati che da un lato sorprendono, dall’altro lato era scontato che dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ci fosse un’escalation della spesa militare a livello globale», è il commento di Sergio Bassoli dell’esecutivo della Rete. «Guerra chiama guerra. E lo strumento principale per poter fare le guerre sono le munizioni e i sistemi di arma. Ecco spiegato perché il business della produzione militare è in forte aumento. Ricordiamoci il richiamo che c’è stato da parte della Nato già all’epoca dell’amministrazione Trump, quando si chiese di portare la spesa dei Paesi membri almeno al 2% del Prodotto interno lordo. Poi abbiamo il caso della Polonia, che addirittura propone di arrivare al 4% del Pil per la spesa militare. È un continuo mettere carburante all’interno del motore della guerra».

La spesa militare statunitense, sottolinea la Rete, “è aumentata dello 0,7%, raggiungendo gli 877 miliardi di dollari: gli Stati Uniti restano di gran lunga al vertice della classifica, con il 39% della spesa militare globale (tre volte maggiore del Paese al secondo posto, la Cina). Pechino ha aumentato la propria spesa militare per il 28° anno consecutivo (+4,2%, pari a 292 miliardi di dollari), raggiungendo il 13% della quota globale. Si stima che la spesa militare della Russia sia cresciuta del 9,2% nell’ultimo anno, raggiungendo gli 86,4 miliardi di dollari (terzo Stato al mondo). L’Ucraina è entrata per la prima volta nella top 15 (all’11esimo posto) a causa di un enorme aumento del 640% della propria spesa militare”.

Il Sipri inoltre segnala “una riduzione della spesa militare italiana che invece non è riscontrabile nei dati di dettaglio sempre in crescita elaborati dall’Osservatorio Milex (e nemmeno da quelli Nato, per i quali vi è una sostanziale stasi)”. Quanto alla spesa militare europea, “nel 2022 è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla guerra fredda. La spesa totale di tutti i 30 membri della Nato ammonta a 1.232 miliardi di dollari nel 2022, pari al 55% della spesa complessiva”.

«Se confrontiamo tutto ciò alla spesa dei Paesi Ocse per il cosiddetto aiuto pubblico allo sviluppo, cioè la lotta alla povertà, ci accorgiamo che il dato è in diminuzione da 50-60 anni. Non riesce a raggiungere la soglia dello 0,7%, cioè l’impegno che fu preso in seguito alla relazione della Commissione Brandt negli anni Settanta, dunque è sin troppo chiaro che l’attenzione e la responsabilità degli Stati vadano in tutt’altra direzione», commenta ancora Bassoli. «Lo stesso ragionamento va fatto nel contenimento del cambiamento climatico: gli impegni assunti a livello internazionale per investire nelle fonti di energia rinnovabile, nella ricerca e nella riduzione delle emissioni di CO2, è evidente che c’è un forte problema di governance a livello globale, che riguarda l’umanità e la sorte del pianeta. Alla fine, si avvantaggiano soltanto i produttori di armi: è il problema delle nostre democrazie. Se noi accettiamo che gli interessi particolari di un determinato settore economico prevalgano sugli interessi generali dell’umanità, è naturale che si crei una fortissima criticità. La guerra e i conflitti armati non portano solo morte e distruzione, ma anche devastazione dell’ambiente e distruzione del clima».

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