Non profit

Che ci fa una spa in ospedale?

A Bologna la Fondazione Policlinico Sant'Orsola ha aperto un centro benessere per i pazienti del padiglione delle medicine interne: 400 posti letto e zero docce. «Un pezzo di vita normale, un segno di attenzione alla persona», dice il direttore Stefano Vezzani. Nata nel 2019, la Fondazione ha raccolto quasi 4,8 milioni di euro nel 2020 per il Covid e ora si è attestata sui 2 milioni. La lezione della pandemia? «Tessere relazioni diverse con le imprese, costruendo un valore aggiunto davvero reciproco»

di Sara De Carli

La signora Loretta è ricoverata in ospedale da un mese e mezzo. Ha 81 anni. Tutte le settimane lei prende la sua borsetta e con la sedia a rotelle va al centro benessere “L’acqua e le rose”. Quel bagno e quella piega sono per lei un pezzo di vita normale, dentro la vita da ospedale che normale non è. “L’acqua e le rose” ha aperto i battenti a novembre 2022 all’interno dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. È un centro benessere gratuito per tutti i pazienti ricoverati nel padiglione numero 2, quello che raduna le medicine interne più l’oncologia: «400 posti letto e zero docce, è un padiglione costruito negli anni 60», annota Stefano Vezzani, il direttore della Fondazione Policlinico Sant’Orsola. Qui invece ci sono vasche per il bagno assistito, docce, il barbiere e il parrucchiere. «È un gesto di attenzione alla dignità della persona, in un luogo che spesso finisce per concentrarsi soprattutto sull’organo malato». Quasi la metà dei costi di gestione del centro benessere sono pagati da una donazione annua di Rekeep, che ha garantito supporto per tre anni.

Fondazione Policlinico Sant’Orsola è nata a Bologna nel marzo 2019, promossa da nove aziende del territorio: oggi sono già diventate 16. Nei suoi primi nove mesi di vita, grazie a una raccolta fondi di 400mila euro, ristrutturò il day hospital oncologico. Poi venne il Covid e la Fondazione raccolse 4,8 milioni di euro, un vero e proprio boom: «Un’accelerazione incredibile, sostanzialmente tutte risorse raccolte per la gestione della pandemia, fra marzo e maggio», racconta Vezzani. Di quelle risorse, 800mila euro sono ancora sul piatto: «La nostra campagna era a sostegno del personale degli ospedali e continueremo a destinare le risorse a quella finalità», precisa il direttore. Pur essendo passata l’emozione dell’emergenza, nei successivi due anni la raccolta fondi della Fondazione si è comunque attestata sui 2 milioni di euro (senza il 5 per mille), grazie alle 20mila nuove anagrafiche inserite nel database solo nel 2020 e a un fortissimo senso di appartenenza reciproco con il territorio. «Tutto quel che è accaduto con il Covid ha accelerato la nostra crescita compresa una diversa modalità di rapporto con le imprese», sottolinea Vezzani.


Fra i dodici nuovi progetti realizzati spicca “Casa Emilia”, 22 appartamenti per l’accoglienza di chi arriva al Sant’Orsola da fuori regione e vi affronta lunghi percorsi di cura, per esempio una chemioterapia. «Siamo partiti nel settembre 2021 con undici appartamenti, dopo un anno riuscivamo ad accogliere sì e no un terzo delle domande. Abbiamo raddoppiato, affittando 22 appartamenti, due piani interi di un edificio che ospita uno studentato universitario. È un luogo pensato come casa. Ci sono i volontari, il cambio di biancheria, le pulizie. La cosa più bella sono le relazioni che nascono tra le persone, in un momento in cui la condivisione è difficilissima. Costruire comunità in un contesto così delicato è un gran bel risultato», spiega Vezzani. Una ragazza che ha perso la mamma dopo nove mesi di Casa Emilia, in un biglietto ha scritto così: «Questi nove mesi sono stati terribili e bellissimi». È la sintesi perfetta.

Anche in Casa Emilia le aziende hanno un ruolo importante: Alce Nero contribuirà ai costi di gestione per i prossimi tre anni e già da tempo con i suoi nutrizionisti e lo chef Simone Salvini tiene laboratori di cucina con gli ospiti della Casa. «Il nostro rapporto con le imprese è impostato sulla convinzione che oggi la chiave sia quella di costruire davvero un valore aggiunto reciproco, di trasformare gli stakeholder in assetholder. Le imprese sono partner dei progetti, portano anch’esse i loro bisogni», sottolinea Vezzani. «Quando in piena emergenza abbiamo fatto una convenzione per dare una stanza a medici e infermieri, quei 13 alberghi li abbiamo tenuti aperti. Lo stesso con i taxisti: abbiamo fatto una convenzione con loro, medici e infermieri pagavano la corsa in taxi solo un euro. Da lì è nata una partnership che dura nel tempo». È stata una “lezione”: «Quest’anno, ci siamo rivolti a 41 fornai di Bologna per realizzare e distribuire il nostro panettone solidale: la donazione netta è stata tre volte quella che avremmo raccolto facendo tutto da soli, come negli anni precedenti».

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