Welfare
Collocamento disabili, il Fondo incentivi non funziona
La Corte dei Conti bacchetta il ministero del Lavoro per come sono stati usati i finanziamenti dal 2016 a oggi, periodo in cui si è passati dal vecchio al nuovo sistema di erogazione di risorse. Si tratta di stanziamenti alimentati dai contributi delle aziende che non rispettano l'obbligo di inserire categorie protette in organico. Il Fondo, introdotto da una legge del 1999, dovrebbe incentivare le imprese a collocare lavoratori disabili ma i risultati, dice la magistratura contabile, sono inferiori al previsto: solo 11.882 assunti nel periodo e, in maggioranza, con una riduzione di capacità lavorativa intermedia. Solo 2.853 i disabili psichici e intellettivi collocati
Il Fondo per il diritto al lavoro dei disabili è ancora lontano dal raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge n. 68/1999. Poche persone finora occupate, utilizzo inefficiente delle fonti economiche che alimentano il fondo, carenza di dati con pesanti ricadute sulla trasparenza della gestione e il controllo dei risultati, mancanza di collaborazione e di coordinamento fra le amministrazioni interessate.
È un giudizio articolato ma severo quello della Corte dei conti sull’utilizzo dello strumento ideato dalla legge sul collocamento delle persone disabili (articolo 13 comma 4) per incentivare i datori di lavoro ad assumere, sia a tempo determinato sia indeterminato, persone con un livello elevato di disabilità sia fisica e psichica grazie alla concessione di sgravi contributivi per un periodo massimo di fra i tre e i cinque anni.
La magistratura contabile, che ha bacchettato in particolare il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha posto sotto la sua lente un arco di tempo che va dagli esercizi del 2014 al 2021, riuscendo così ad accendere un faro sulla fase di passaggio fra il vecchio e il nuovo sistema, avvenuta a partire dal 2016. Uno spartiacque che ha segnato il passaggio alla gestione “a rubinetto” degli sgravi. Le risorse assegnate annualmente all’Inps sono erogate infatti sulla base delle istanze caricate al sistema dai datori di lavoro e fino a capienza delle risorse presenti nel Fondo.
Ebbene, il primo dato che emerge dall’istruttoria, riguarda il numero limitato dei lavoratori disabili assunti nel periodo considerato, 11.882. La Corte dei conti sottolinea che «è ben lungi dal coprire quello degli iscritti alle liste del collocamento mirato». Più in dettaglio, a fronte del dato complessivo dei quasi 12mila lavoratori assunti nel 2016-2021, la maggior parte ha una riduzione della capacità lavorativa compresa fra il 67 ed il 79 per cento (4.806). Minore risulta il numero dei lavoratori assunti (4.223) con grado elevato di disabilità (>79 per cento). Ancor più contenuto il dato complessivo dei lavoratori con disabilità intellettiva e psichica, pari a 2.853; dei quali poco più di mille a tempo determinato e la restante quota a tempo indeterminato.
Secondo i giudici contabili, l’andamento dei dati è dipeso «anche dalle risorse stanziate nel bilancio dello Stato e dal loro utilizzo con tempistiche non sempre adeguate». L’indagine ha rilevato inoltre un uso non efficiente delle fonti che concorrono al finanziamento del Fondo. Si tratta delle entrate derivanti dai contributi versati dai datori di lavoro per l’esonero dall’obbligo di assunzione dei lavoratori disabili e dai versamenti effettuati da privati a titolo spontaneo e solidale. Nel primo caso, si osserva, difettano i controlli sul rispetto dell’obbligo mentre nel secondo manca un’adeguata campagna informativa in grado di rendere nota l’iniziativa benefica al grande pubblico.
La Corte, quanto ai dati, ha portato a galla la «mancata coincidenza fra i dati sulla gestione del Fondo in possesso dell’Inps e quelli elaborati dal ministero del Lavoro». Un quadro complesso, insomma, che merita interventi migliorati su più fronti e da più attori istituzionali. A tal proposito, in ordine al coordinamento fra i diversi livelli di governo della materia, si fa rilevare che il sistema previgente incentrato selle Regioni, pur con i suoi limiti, comportava comunque «un momento concertativo fra le amministrazioni centrali e le regioni destinatarie del riparto delle risorse, nella sede della Conferenza unificata, chiamata ad esprimere il proprio avviso in merito alla ripartizione».
Concertazione che al momento sembra ridotta al lumicino. A questa carenza non è riuscito a sopperire in modo adeguato nemmeno l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dalla legge n. 18/2009 per dare attuazione alla Convenzione Onu e soprattutto per fornire supporto tecnico-scientifico al Governo nell’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità. L’organismo, infatti, finora si è riunito con una frequenza bassa che, fanno notare i giudici, si è ridotta ulteriormente negli ultimi due anni a causa del Covid.
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