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Diritto d’asilo, allarme ong Ue: «Meno garanzie per i migranti»
Nell'ambito della riforma delle norme Ue in materia di migrazione e asilo, e del corrente dibattito in Italia sulla protezione speciale, i contributi di Marta Gionco e Silvia Carta, advocacy officer della Piattaforma per la Cooperazione internazionale sui migranti senza documenti (Picum), basata a Bruxelles
di Redazione
«Siamo preoccupati per molti aspetti della proposta di riforma del sistema europeo di asilo e di migrazione, conosciuta comunemente come Patto europeo per la migrazione e l’asilo (EU Pact on Migration and Asylum). In particolare, come sottolineato da molte organizzazioni della società civile, questa riforma porterà probabilmente a un aumento e a una maggiore durata delle detenzioni, incluse le detenzioni dei bambini». Così Marta Gionco, advocacy officer di Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (PICUM), la Piattaforma per la Cooperazione internazionale sui migranti senza documenti (Picum). Basato a Bruxelles, Picum è un network di 164 organizzazioni che lavorano con migranti senza documenti in 31 Paesi (approfondisci qui).
«Per esempio», continua Marta Gionco, «secondo la proposta di Regolamento sulle Procedure di Asilo (Asylum Procedures Regulation), i bambini al di sopra dei 12 anni potrebbero essere detenuti in strutture di detenzione ai confini dell’Ue fino a 24 settimane (o anche per un periodo di tempo maggiore in situazioni di cosiddetta crisi). Le proposte limitano anche le garanzie, consentendo per esempio di espellere chi sta aspettando l’esito dell’appello».
Una pubblicazione di Picum, dal titolo: "Più detenzione, meno garanzie: Come il nuovo Patto europeo per la migrazione e l’asilo crea nuove scappatoie per ignorare gli obblighi in materia di diritti umani", evidenzia sei criticità della proposta di riforma del sistema europeo di asilo e di migrazione: invece di chiudere scappatoie tra asilo e rimpatri, il Patto propone di crearle per evitare garanzie giuridiche e per negare l’accesso ad altre procedure di residenza; Le nuove procedure di frontiera porteranno a un aumento e una maggiore durata delle detenzioni; il mantra dell’Ue di aumentare i rimpatri è rinforzato con maggiori strumenti e minori garanzie; Contrariamente alla definizione globale che afferma che i bambini sono minori di 18 anni, il Patto prevede che solo i bambini di età inferiore a 12 anni dovrebbero essere protetti da alcune procedure dannose; La società civile sarà ora a rischio ancora maggiore di aggressioni, di criminalizzazione e di accesso limitato alle aree di confine; Ci sono alcuni segnali promettenti per quanto riguarda l’inclusione, ma il Patto lascia in disparte l’importanza della migrazione per motivi di lavoro per le economie e le società europee.
Il documento di Picum evidenzia anche come l’espulsione sia «una misura estrema e dolorosa che spesso rompe legami economici, sociali e familiari. La società civile e i ricercatori hanno evidenziato la preoccupante mancanza di prove e di conoscenza di quello che succede alle persone dopo che sono state espulse, e come l’esperienza dell’espulsione ha un impatto sulle vite di genitori e bambini, così come su scelte future e opportunità». Tuttavia, prosegue il testo, «i rimpatri in aumento, inclusi quelli per scoraggiare la migrazione irregolare, sono presentati come l’obiettivo principale del quadro comune. Il termine “rimpatri” appare più di 100 volte soltanto nella Comunicazione della Commissione sul Patto- mentre il termine “diritti” solo 14 volte.
Il Senato italiano ha approvato le nuove norme in materia di immigrazione e asilo. Tra gli emendamenti approvati ci sono anche quelli che prevedono una limitazione della protezione speciale, che sarà concessa solo per casi eccezionali. Sono state approvate anche norme più restrittive sull’accoglienza dei richiedenti asilo. La protezione speciale non potrà più essere convertita in permesso di lavoro e sono state introdotte forti limiti alla possibilità di richiederla per cure mediche o calamità naturali. Sono state approvate anche norme più restrittive sull’accoglienza dei richiedenti asilo.
«Siamo preoccupati per la restrizione della protezione speciale, che vedevamo come una good practice in Europa per assicurare protezione a persone che non possono essere rimpatriate o essere espulse per diverse ragioni legali o pratiche», afferma Marta Gionco. «Contrariamente a quanto affermato dal governo italiano», spiega Marta Gionco, «l’Italia è ben lontana dall’essere l’unico Paese dell’Unione europea con forme di protezione nazionali. Secondo dati ufficiali dello European Migration Network (Emn), 20 Stati membri hanno almeno una forma di protezione, per un totale di 60 diversi tipi di status di protezione nazionale. Questi permessi sono essenziali per impedire che le persone diventino irregolari o che siano espulse in Paesi in cui i loro diritti fondamentali sarebbero violati. Cancellare questi permessi significherebbe violare gli standard legali internazionali ed europei, come il principio di non respingimento, la protezione della famiglia e della vita privata, e i migliori interessi del bambino. Cancellare questi permessi potrebbe portare a più, non meno, irregolarità, forzando le persone a vivere vite precarie. Quando il governo Salvini ha abolito il permesso umanitario nel 2018, si stima che più di 37 mila persone siano diventate prive di documenti».
«È anche molto preoccupante il fatto che il testo in discussione elimini la possibilità di convertire i permessi rilasciati in base alla protezione speciale in permessi di lavoro. Questo potrebbe privare migliaia di persone, incluse coloro a cui è stato rilasciato un permesso negli anni passati, della possibilità di regolarizzare il loro status se trovano un lavoro, e li costringerebbe a entrare nell’economia informale, dove rischiano abusi e sfruttamento», spiega Silvia Carta, advocacy officer a Picum. «L’affermazione secondo la quale una percentuale molto bassa di permessi per protezione speciale è stata finora convertita in permessi di lavoro è fuorviante», specifica Silvia Carta. «La conversione in permessi di lavoro è stata resa possibile solo meno di tre anni fa, a luglio 2021, il che significa che molte persone potrebbero non aver avuto ancora la possibilità di fare domanda, o essere in attesa per le lunghe procedure amministrative che sono necessarie per la conversione».
Foto di apertura: Julie Ricard/Unsplash
Foto nel testo: Barbara Zandoval/Unsplash
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