Welfare
Benessere equo&sostenibile, l’Italia delle differenze
L'Istat presenta la decima edizione della ricerca che tiene conto di 152 parametri in una visione olistica e sostenibile. Le differenze di genere e di territorio i problemi aperti. Ma gran parte degli indicatori sono in miglioramento rispetto agli anni del Covid-19
Qualità sicurezza, qualità dei servizi e lavoro, conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, benessere soggettivo, l’istruzione e formazione: c’è tutto questo e molto di più nel Rapporto del Benessere equo e sostenibile – Bes, elaborato dal’Istat.
Oggi a Roma è stata presentata la decima edizione, che consente una lettura degli andamenti più recenti degli indicatori e il confronto con il periodo pre-pandemico. Presenta in 12 capitoli l’analisi dei domini in cui è articolato il benessere: salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; qualità dei servizi. Oltre la metà dei 152 indicatori Bes è aggiornata al 2022 con dati definitivi. Il Rapporto propone anche un capitolo iniziale incentrato sull’analisi dell’evoluzione recente del benessere, con particolare attenzione agli squilibri territoriali e alle differenze di genere e per classi di età.
Il bello del Bes
«Il Bes è importante soprattutto per quattro motivi. Prima di tutto, è un sistema di indicatori potente perché è stato basato sulla condivisione con la comunità scientifica e la società civile. Quando è nato il Bes, indicatore per indicatore, ne discutevamo con tutto l’associazionismo e con la commissione scientifica che traeva lezione da tutto questo», afferma Linda Laura Sabbadini, direttrice dipartimento per lo Sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica, Istat.
«Il secondo motivo è che è un sistema flessibile, ha la capacità di mantenere la continuità, a dieci anni di distanza noi abbiamo mantenuto gli indicatori iniziali ma, allo stesso tempo, li abbiamo integrati con gli indicatori più importanti alla luce dei cambiamenti intercorsi. Ad esempio, gli indicatori sul clima li abbiamo inseriti tre anni fa e sono molto potenti: i cambiamenti climatici sono così veloci che le trasformazioni, purtroppo in negativo, si vedono subito e sono uno degli elementi di peggioramento che ci sono stati. «Il terzo motivo», prosegue Sabbadini, «è che si tratta di un sistema particolarmente adatto al Paese perché è basato su sistemi di indicatori per domini. La salute, ad esempio, non si può misurare solo con un indicatore, c’è bisogno di un numero di indicatori significativi in modo da capire come veramente stiamo. Allo stesso modo, il lavoro, l’istruzione. L’importante è che siano gli indicatori più rilevanti di quell’area». Ultimo fattore molto importante è che, conclude, «il Bes è stato fatto, fin dall’inizio, con gli organismi internazionali. L’anno scorso abbiamo avuto incontri con l’Ocse per verificare come fare in modo che vengano utilizzati di più e meglio, dalle politiche».
I dati del Rapporto mostrano che per 58 indicatori di benessere, oltre la metà, si registra un miglioramento nell’ultimo anno disponibile rispetto al livello del 2019, un terzo si trova su un livello peggiore rispetto al 2019, mentre il restante 13,8% degli indicatori si mantiene stabile sui livelli pre-pandemici. I progressi sono più diffusi nei domini "sicurezza", "qualità dei servizi" e "lavoro", Conciliazione dei tempi di vita, con un miglioramento in oltre il 72% degli indicatori. Migliorano due terzi degli indicatori nei domini Politica e Istituzioni, Innovazione, ricerca e creatività. I domini che presentano un andamento, nel complesso, più critico negli ultimi tre anni, sono "relazioni sociali", "benessere soggettivo", "istruzione e formazione" e "benessere economico". In una situazione intermedia si trovano i domini "salute", "ambiente", "paesaggio e patrimonio culturale".
L'effetto Covid-19
La pandemia ha modificato il modo in cui le famiglie percepiscono la propria condizione economica, invertendo il trend positivo che si era registrato negli anni precedenti per alcuni indicatori. Oltre un terzo delle famiglie italiane nel 2022 ha visto peggiorare la propria situazione economica, il 35,1%, livello mai raggiunto prima (la percentuale era al 25,8% nel 2019, con una crescita nei due anni di pandemia). Aumenta anche la quota di persone che dichiarano di arrivare alla fine del mese con grande difficoltà, al 9,1% nel 2021 rispetto all’8,2% del 2019.
Dal Rapporto emerge un evidente divario tra il Nord e il Sud del paese. Per il nord-est il 60,5% degli indicatori ricade nei livelli di benessere medio-alto e alto e soltanto il 10,1% in quelli di benessere basso e medio-basso, mentre per il sud e le isole la maggior parte degli indicatori si trova nei livelli basso o medio-basso (62% per il sud, 58,1% per le isole) e solo una minoranza (19,4%) nei due livelli più alti.
Per superare la disparità tra le due aree del Paese «dobbiamo intervenire in maniera organica per dare una risposta strutturale. La disparità territoriale ci può aiutare a capire le altre disparità tra le regioni italiane, che riguardano ad esempio il lavoro, l’istruzione, la sanità», commenta Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr.
L'altra metà del benessere
Per la maggior parte degli indicatori, continua ad osservarsi un divario di genere che vede penalizzate soprattutto le donne: su 86 indicatori, solo in 26 si registra una parità di genere, in 34 una condizione di svantaggio femminile e in 26 di svantaggio maschile. I domini nei quali si rileva una condizione delle donne migliore di quella degli uomini sono "salute" e "istruzione e formazione", uno squilibrio di genere a favore degli uomini è diffuso nei domini "lavoro e conciliazione dei tempi di vita", "politica e istituzioni", "relazioni sociali", "benessere economico e benessere soggettivo".
È in flessione la fiducia che le persone sono disposte ad accordare, emerge una diffusa diffidenza: nel 2022 il 24,3% delle persone di 14 anni e più ritiene che gran parte della gente sia degna di fiducia. Questa diminuzione interrompe il trend crescente iniziato nel 2018 e che nel 2021 aveva toccato il valore più alto (25,5%).
Tra i più giovani rispetto agli adulti, gli indicatori in cui si registra un più basso miglioramento sono quelli relativi alle "relazioni sociali" (la fiducia negli altri e la presenza di persone su cui poter contare) che peggiorano rispetto al 2019, a fronte di una stabilità tra gli adulti, e all’atteggiamento di ottimismo verso il futuro, in calo tra i giovani e in aumento tra gli adulti. Nel 2022 si registra, nei giovani, un’intensificazione delle relazioni amicali dopo il lungo periodo di isolamento, e la crescita dell’associazionismo e della partecipazione al volontariato (8,3%), non ancora ai livelli del 2019 (9,8%). Nel 2022, il 25,4% della popolazione di 14 anni e più dichiara di aver svolto attività di partecipazione sociale, prendendo parte alle attività di associazioni di tipo ricreativo, culturale, politico, civico, sportivo, religioso o spirituale. Torna a crescere la quota di chi svolge attività di partecipazione sociale (+5,5 punti percentuali rispetto al 2021), ma con livelli decisamente al di sotto rispetto al 2019 (31,3%).
Il confronto con l'Europa
La maggior parte degli indicatori del Bes disponibili per il confronto con la media dei paesi europei (Ue27) mostra una situazione peggiore per l’Italia, in particolare in alcuni indicatori dei domini Istruzione e formazione e "lavoro e conciliazione dei tempi di vita". La percentuale di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e non sono occupati (Neet) raggiunge, in Italia, il 19,0% rispetto all’11,7% della media Ue27, la quota di persone di 30-34 anni che hanno un’istruzione terziaria è il 27,4% in Italia, la media dei paesi europei è il 42,8%. Per il lavoro, il tasso di occupazione italiano nel 2022 è di circa 10 punti percentuali più basso rispetto a quello medio europeo (74,7%), con una distanza molto significativa tra le donne (55,0% in Italia rispetto a 69,4% per la media Ue27).
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