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Il viaggio del Papa in Congo e Sud Sudan, fotografia di due Paesi fragili (e dimenticati)

Da oggi 31 gennaio fino al 5 febbraio Papa Francesco sarà in viaggio apostolico in Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. Due tra i Paesi più ricchi di risorse naturali, ma dove la popolazione vive in povertà e a dettare i ritmi della vita quotidiana sono le bande armate. «La popolazione di entrambi i Paesi», spiega Andrea Biancassi, regional manager for Eastern & Southern Africa di Fondazione Avsi, «guarda con grande speranza all’arrivo del Papa, si aspettano un contribuito per la pace»

di Anna Spena

L’aereo è partito questa mattina dall’aeroporto di Fiumicino: direzione Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo e prima tappa del quarantesimo viaggio apostolico di Papa Francesco che prevede, insieme alla visita e agli incontri in Congo, anche la visita in Sud Sudan. Due Paesi del continente africano, confinanti, dove il tasso di povertà è altissimo e le bande armate controllano e dettano i ritmi e le scelte di vita della popolazione civile. Un viaggio che era stato programmato già la scorsa estate e poi rinviato a causa di problemi di salute del pontefice. La visita di Papa Francesco aiuterà a raccontare e riporterà l’attenzione su quello che sta accadendo nel “cuore di tenebra” dell’Africa. È una visita attesa e desiderata dalla popolazione civile di entrambi i Paesi che nel Papa vedono una figura pacificatrice.

«Il Congo soffre per gli scontri armati e per lo sfruttamento, mentre il Sud Sudan, dilaniato da anni di guerra, non vede l’ora che finiscano le continue violenze che costringono tanta gente a vivere sfollata e in condizioni di grande disagio», ha dichaiarto il Papa durante l'Angelus della scorsa domenica.

La Repubblica Democratica del Congo

La Repubblica Democratica del Congo è uno degli stati più grandi di tutto il continente africano ed è anche tra le cinque nazioni più povere di tutto il mondo. Diverse guerre civili hanno segnato la storia del Paese fin dalla sua indipendenza nel 1960 arrivando a scatenare – tra il 1998 e il 2003 – una delle più gravi crisi umanitarie al mondo definita “la guerra mondiale africana”, guerra che ha provocato lo sfollamento di gran parte della popolazione congolese. Ad oggi la situazione non è stabile, soprattutto nell’Est del Paese, dove sono centinaia le sigle combattenti attive che costringono alla fuga incessante i civili, con gravi conseguenze sulla sicurezza dei più vulnerabili. «La Repubblica Democratica del Congo», spiega Andrea Bianchessi, regional manager for Eastern & Southern Africa di Fondazione Avsi, «ha 108 milioni di abitanti, 5.6 milioni di sfollati interni, causati da conflitti inter-etnici e scontri fra esercito regolare e le numerose sigle combattenti, almeno 130 nelle sole province orientali del Kivu, e circa 530mila rifugiati che arrivano dal Burundi e dalla Repubblica Centroafricana. Un milione di congolesi ha cercato rifugio in Uganda. Noi di Avsi lavoriamo soprattutto con gli sfollati che continuano a spostarsi da un luogo all’altro, senza meta, per via dei continui scontri».


Circa un quarto degli sfollati, 1,4 milioni, ha trovato riparo nel Sud Kivue nel Maniema. Quella della Repubblica Democratica del Congo è una delle crisi umanitarie più complesse e prolungate dell’Africa: sono stati oltre 27 i milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria nel 2022. Gli abusi sessuali su donne e ragazzine, i rapimenti, gli attacchi a scuole e ospedali sono solo alcune delle violenze perpetrate dai gruppi armati che si contendono il territorio e le sue ingenti risorse naturali, dai metalli preziosi agli idrocarburi. Il Paese è ricco di cobalto, un metallo strategico utilizzato in molte applicazioni industriali e militari, il Congo ne possiede l’80% delle riserve mondiali. Fondazione Avsi ha uffici a Goma, Ituri, Kalemie, Mulekera, Beni e Tshikapa. Lavora in Congo con uno staff di 272 persone. «Avsi implementa progetti nel settore educativo: riabilitiamo e ricostruiamo scuole, distribuiamo materiale scolastico e sosteniamo gli studi dei bambini più vulnerabili», spiega Bianchessi. «Poi sosteniamo anche i centri nutrizionali, organizziamo sessioni di formazione per il personale sanitario, e lavoriamo direttamente nei villaggi per l’identificazione dei casi di malnutrizione e la successiva fornitura di cibi terapeutici. Siamo impegnati anche nel campo dell’energia solare per creare sistemi fotovoltaici e assicurare l’accesso a fonti di elettricità affidabili per incentivare la crescita economica e sociale delle comunità più disagiate».

Sud Sudan

Venerdì 3 febbraio Papa Francesco raggiungerà il Sud Sudan. L’arrivo all’aeroporto di Giuba, la capitale del Paese, è previsto per le 15.00. Il Sud Sudan è diventato indipendente dal Sudan solo nel 2011, è il Paese più giovane del mondo, forma con questo e con Kenya e Tanzania la macro-regione dell’Africa Est. Il Paese ricopre un territorio di 640.000 km², più del doppio del territorio italiano, suddiviso in 10 Stati federali, 514 Payam (regioni) e 2.159 Bomas (distretti). «La popolazione, a maggioranza cattolica», continua Bianchessi, «è di circa 11 milioni di abitanti, ma sono decine i gruppi etnici. Ci sono 3 milioni di sfollati interni a causa degli scontri tra tribù rivali o persone che dai villaggi si sono spostati verso le città a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Circa 2.3 milioni di sud sudanesi vivono invece in Kenya, Uganda, Etiopia e altri Paesi limitrofi».

Il Sud Sudan è scivolato, dopo due anni dall’indipendenza, in una vera e propria guerra civile. Il 15 dicembre 2013 si sono infatti verificati, nelle strade della capitale Juba, scontri a fuoco che hanno visto contrapporsi le forze governative a fazioni ribelli.

«Nel 2016», continua Bianchessi, «il conflittio si è riacutizzato coinvolgendo anche il Sud, l’area che garantiva la maggior parte dell’approvvigionamento alimentare del Paese. Instabilità politica, grave carestia, frequenti alluvioni alternate a fasi di grande siccità contribuiscono a mantenere il Sud Sudan tra i quattro paesi con la più grande crisi nutrizionale del mondo insieme a Siria, Iraq e Yemen. Poi nel 2018 si è creato un governo di unità nazionale, questo accordo è stato esteso fino al 2025, fondamentale è stato il ruolo del Vaticano». Infatti il 27 giugno 2018 le parti in conflitto concordarono una tregua a Khartum, in Sudan, e il 12 settembre conclusero un nuovo trattato di pace ad Addis Abeba; il moderatore della chiesa presbiteriana scozzese John Chalmers in questa attività è stato affiancato dai vertici della chiesa anglicana e della chiesa cattolica romana e, in un incontro svoltosi a Roma il 10 aprile 2019, papa Francesco ha dato il suo sostegno agli sforzi per rafforzare il processo di pacificazione.

«Questo è un Paese», continua Biancassi, «che ha delle potenzialità enormi, ma gli scontri interni non gli permettono di crescere». Educazione, malnutrizione infantile, accesso all’acqua pulita, il fenomeno delle spose bambine «sono le problematiche più presenti nel Paese. Di fatto tutti i servizi a favore della popolazione sono forniti dalla comunità internazionale, dalle ong». Fondazione Avsi è presente negli stati del Lakes, dell’Eastern e Central Equatoria, con uffici a Juba, Torit, Isohe e Rumbek. Uno staff di circa 140 persone, tra locali e espatriati, lavora per garantire assistenza alla popolazione con progetti in ambito educativo, sicurezza alimentare e sviluppo rurale e nutritivo. «Qui la sfida è quella di cercare di promuovere sviluppo in un contesto di continua emergenza». Dal 2013, Avsi sostiene anche il Saint Mary College che cura la formazione di insegnanti di scuola primaria, uno dei bisogni più urgenti del Sud Sudan. «La popolazione di entrambi i Paesi», chiosa Biancassi, «guarda con grande speranza all’arrivo del Papa, si aspettano un contribuito per la pace e Francesco è l’unico che può parlare in modo chiaro».

Credit foto apertura Alessandro Grassani per Avsi

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