Famiglia

Genitori che perdono un figlio: chi aiuta il “dopo di loro”?

«Ci serve un aiuto per accettare che si può stare al mondo, nonostante tutto», dicono. Che sia per un incidente stradale o per una malattia, quando un figlio muore, i genitori vivono un lutto innaturale: una voragine che risucchia tutto. Nel 2021, secondo l'Istat, sono morti 3.832 under30 di cui 1.101 sono bambini sotto i 4 anni. Sui bisogni di questi genitori non c'è adeguata attenzione, basti pensare che il congedo dal lavoro è di soli tre giorni. A chi si può chiedere aiuto? L'esperienza unica in Italia di Save the parents

di Sara De Carli

Il figlio di Olimpia, Gabriele, è morto a 29 anni mentre andava in ospedale a trovare sua figlia nata da due giorni. Era in scooter, è stato investito da un taxi. Carlotta invece ha perso suo figlio nel 2016: aveva 21 anni ed era un rapper, Cranio Randagio, è morto a una festa di compleanno, per overdose. La causa fa poca differenza: «La morte di un figlio comunque ti devasta. E ogni volta che succede a qualcun altro, rivivi quel dolore. Istintivamente, leggendo della nuova strage avvenuta a Fonte Nuova, con i cinque ragazzi morti, penso a quei genitori, che stanno vivendo un inferno», dice Carlotta.

Olimpia Riccardi oggi è la presidente di Save the parents, Carlotta Mattiello la vicepresidente. Save the parents è un’associazione di promozione sociale nata a Roma nel 2019, finalizzata all’accoglienza e al sostegno dei genitori che hanno perso un figlio. È la prima in Italia ad avere questa mission unica e specifica: sostenere i genitori “defigliati”, un aggettivo forse brutto ma segno di come la nostra cultura poco consideri queste persone, tanto da non avere nemmeno una parola per indicarle. Offrono percorsi di psicoterapia, fatti in gruppo. A seguirli è la professoressa Angela Guarino, esperta di psiconcologia pediatrica, responsabile scientifico dell’associazione: ha iniziato nel 2005 a seguire genitori che avevano perso un figlio per patologie oncologiche, con un progetto finanziato dalla Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio e poi a poco a poco il perimetro si è esteso. «Il bisogno è enorme, basti guardare le tabelle Istat sui morti con meno di 30 anni: per ognuno di loro ci sono dei genitori in lutto», spiega. Da poco sono stati introdotti anche dei percorsi online, per rispondere alle richieste di aiuto che arrivano dalle altre regioni d’Italia, «ma ci hanno scritto anche da Austria e Croazia», dice. Le tabelle parlano chiaro: 1.101 bambini sotto i 4 anni morti nel 2021, più altri 150 fra i 5 e i 9 anni. Tra i 15 e i 19 anni si sale a 573 decessi e altri 769 giovani sono morti tra i 20 e i 24 anni. In tutto, in un anno, sono 3.832 under30 deceduti. Per ciascuno di loro, verosimilmente, ci sono due genitori distrutti dal dolore. Così ogni anno.

Più persone potranno essere raggiunte grazie ai 50mila euro in arrivo dal Dipartimento per le Politiche per la Famiglia: l’allora ministra Elena Bonetti, dopo un incontro proprio con la professoressa Guarino, nel dicembre 2021 lanciò un bando per il finanziamento di progetti di assistenza psicologica o psicosociologica a favore dei genitori che subiscono gravi disagi sociali e psicologici in conseguenza della morte del figlio. A settembre 2022 è stata pubblicata la graduatoria e Save the parents è una delle non profit selezionate. «Il bando si rivolgeva a realtà che svolgono esclusivamente attività di assistenza psicologica per i genitori defigliati. Le domande ricevibili sono state solo nove e questo dice già molto di quanto poco questo tema sia attenzionato», afferma Guarino.

Non ci sono parole per dire il dolore di una mamma o un papà che perdono un figlio. «Ti svuoti completamente. Entri in un circolo mentale per cui rivivi costantemente l’evento. Vorresti parlare sempre e solo di tuo figlio e allo stesso tempo ti rendi conto che gli altri ti guardano strano e non sanno cosa dirti. Si creano situazioni di imbarazzo, con tutti, perché le persone non trovano le parole per parlarti. Chi non ci è passato, per fortuna, non sa. Ti ritrovi solo, hai bisogno di qualcuno che parli la tua stessa lingua», racconta Carlotta Mattiello. Il gruppo così diventa un supporto fondamentale: «Tu continui a chiederti perché proprio a tuo figlio, perché proprio a te. Senti di essere l’unico su cui si è abbattuto un destino crudele. Invece inizi a vedere che ci sono tanti altri genitori come te. Si dice sempre che la morte di un figlio è innaturale, ma guardando i dati non è così vero. O meglio, è una cosa terrificante e devastante ma che purtroppo esiste e che capita più spesso di quel che si crede. Dire che è innaturale ci allontana dalla possbilità che capiti a noi, ma non la elimina». Nel gruppo – continua – «puoi parlare con una libertà che mai oseresti, puoi fare battute che in un altro contesto sarebbero indicibili, puoi litigare. Nel nostro gruppo per esempio ci siamo molto scontrati fra chi diceva “fortunata te che di figli ne hai altri due” e chi diceva “sei fortunata tu che avevi solo quel figlio, non devi più esserci per nessuno, non vedi costantemente altri soffrire, puoi vivere in pace il tuo dolore”. Sono pensieri che si fanno, ma che fuori da un contesto del genere non si potrebbero neanche dire». Il punto – afferma Mattiello – è che «il genitore, perdendo un figlio, perde la sua identità, la sua funzione. Invece noi siamo qui e dobbiamo andare avanti a vivere. Ma ci serve un aiuto per accettare che si può stare al mondo, nonostante tutto». Anche i fratelli sopravvissuti hanno bisogno di un supporto, spiega Olimpia Riccardi: «Vanno aiutati, ma i genitori non sono in grado di farlo perché devono aiutare se stessi».

Bisogni per cui, in Italia, non ci sono risposte. «C’è il nulla», dicono le due mamme. Di certo nelle Asl e nella sanità pubblica non c’è traccia di servizi in grado di dare risposte specifiche. «Ci sono iniziative legate alla Chiesa, con alcuni sacerdoti anche molto bravi che si dedicano all’ascolto. Ma l’ascolto non basta, serve un percorso psicologico e psicoterapeutico specialistico perché il dolore è enorme», precisa la professoressa Angela Guarino. «A macchia di leopardo in Italia esistono dei gruppi di auto mutuo aiuto ma la ricerca scientifica ci dice che questi gruppi, che funzionano molto bene per l’alcolismo o il tabagismo, non funzionano con il lutto. C’è empatia tra i partecipanti, ma manca la leva esterna che li aiuti con tecniche appropriate a superare le resistenze, a procedere. Questi genitori hanno bisogno di un sostegno specialistico per farsi meno male: dire per elaborare il lutto è già troppo. Un supporto prima di tutto per non suicidarsi – perché tanti lo pensano e lo dicono – e poi per fare i conti con “il buco” che vivono nella propria persona, perché la perdita di un figlio è come la perdita di un arto, una voragine al confine con il corpo. Se ci sono altri figli, poi, bisogna ricordare che anche loro subiscono in pieno la perdita, anzi una perdita doppia: quella del fratello e quella dell’attenzione dei genitori». Guarino ha seguito almeno 150 genitori che hanno perso un figlio, in questi vent’anni: «Sono percorsi lunghi, che richiedono una formazione specifica anche da parte del terapeuta. Non è così facile trovare colleghi preparati e disponibili». Questo supporto è la specifica mission dell'associazione, che si differenzia in questo da altre realtà nate "in nome" di un figlio perduto, che si dedicano più alla sensibilizzazione dei giovani rispetto ad alcune tematiche delicate.

Save the parents ha presentato un Manifesto politico per il “dopo di loro”, che vorrebero diventasse la base per una proposta di legge. Australia, Spagna e Inghilterra hanno interventi legislativi ad hoc, l'Italia ancora no. «Questi genitori hanno bisogno di essere visti e riconosciuti dalle istituzioni e dalla società, mentre oggi sono invisibili. Serve una legge che li tuteli. Lo sa che oggi chi perde un figlio ha diritto a tre giorni di congedo lavorativo? Tre giorni, come per qualsiasi altro lutto. Ma chi affronta la perdita di un figlio, per elaborare lo shock di questo lutto ha bisogno di modi e tempi adeguati», racconta la professoressa. Inoltre il lutto per la perdita di un figlio spesso ha delle ripercussioni post-traumatiche che arrivano a compromettere la salute fisica e psichica dei genitori, ripercuotendosi anche sul loro lavoro: «C’è anche un declino cognitivo conseguente al lutto, con riflessi sulla capacità di attenzione e di concentrazione. Oggi questo viene del tutto ignorato, abbiamo avuto casi di persone che si sono dimesse da posizioni di responsabilità perché non riuscivano più a fare il loro lavoro. I genitori, dopo il lutto, diventano pazienti fragili. Fragili e al momento invisibili».

foto Agenzia Sintesi

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