Famiglia
Quando nasce un bambino: sì al bebè in stanza, no alla condivisione del letto
Il recente tragico episodio di morte neonatale all'ospedale Pertini di Roma è l’occasione per condividere alcune considerazioni sull’assistenza sanitaria fornita nei reparti di maternità in Italia e fare chiarezza tra tante pericolose dicerie. Sì al rooming-in (il bebè nella stanza della madre), no alla condivisione del letto. A chiarirlo sono la Società Italiana di Neonatologia (Sin), la Società Italiana di Pediatria (Sip), la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (Sigo) e l’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi)
Il recente tragico episodio di morte neonatale è l’occasione per condividere alcune considerazioni sull’assistenza sanitaria fornita nei reparti di maternità in Italia e fare chiarezza tra tante pericolose dicerie.
La Società Italiana di Neonatologia (Sin), la Società Italiana di Pediatria (Sip), la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (Sigo) e l’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi), come principali società scientifiche italiane d’area perinatale, hanno diffuso oggi una nota congiunta che speriamo possa essere d’aiuto.
Sì al rooming- in
«La moderna organizzazione delle Maternità attualmente prevede la gestione congiunta di madre e bambino, il cosiddetto rooming-in, che va proposto fornendo il necessario sostegno pratico e psicologico alla nuova famiglia», scrivono gli esperti. Il rooming- in, è la possibilità di tenere nella propria stanza d’ospedale il bambino dopo il parto, giorno e notte, senza limiti di orario. Il documento condiviso non lo esplicita, ma i vantaggi del rooming- in si legano anche al corretto avvio dell’allattamento, oltre che alla cura e alla gestione del neonato. Tuttavia il rooming in deve però essere una scelta libera della mamma, che non deve quindi essere imposto dalla struttura.
Non va confuso con la pratica di tenere il bambino sulla propria pelle (che in inglese si dice Skin), che si chiama invece skin to skin (come nella foto qui sotto). Su questo sono numerosi gli studi che ne mostrano gli enormi benefici.
A proposito della presenza del padre
Alcuni ospedali consentono il rooming in anche al papà che può così stare in camera con mamma e neonato senza vincoli di orario. Purtroppo però questa non è la norma e molte strutture non permettono la permanenza del padre in stanza e la pandemia non ha aiutato a migliorare la situazione: le strutture sanitarie si sono infatti trovate costrette a ridurre gli orari di visita non solo dei famigliari ma anche del padre. Il documento SIN, SIP, SIGO-AOGOI non lo menziona, ma l’impatto sulle donne è stato notevole, dato che spesso le neomamme si sono trovate completamente sole e senza un sostegno adeguato da parte del proprio compagno o di una persona cara.
L’associazione Salvagente Italia offre supporto legale gratuito alle famiglie che dovessero trovarsi negli ospedali dove la presenza del padre sia fortemente limitata (la mail a cui scrivere è presidente@salvagenteitalia.org)
No alla separazione madre – neonato
«La gestione separata di madre e neonato, prevalente in epoche passate – chiariscono i medici- ostacola invece l’avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, è contraria alla fisiologia, anche dell’allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici»
Co- sleeping meglio di no
«La condivisione del letto fra una madre vigile ed un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile. Le società scientifiche però attualmente raccomandano di evitare la condizione del co-sleeping, giudicata non sicura, suggerendo di riporre il bambino a fine poppata nella propria culla, in particolare quando non siano presenti altri caregiver (familiari o operatori sanitari). Questa prudenza è giustificata ben oltre la permanenza di mamma e bambino nel Punto Nascita e interessa tutti i primi 6 mesi di vita».
E se la mamma si addormenta?
«È inevitabile che, nonostante tutte le cautele, mamma e bambino possano spontaneamente addormentarsi nello stesso letto. Si tratta di un evento che più che essere drammatizzato, richiede un rinforzo di informazione alle famiglie sulla sicurezza del bambino durante il sonno».
Morte in culla
A proposito di sicurezza del sonno SIN, SIP, SIGO-AOGOI fanno riferimento in particolare al “collasso post natale” conosciuto come SUPC (Sudden Unexpected Postnatal Collapse). «Si tratta di un evento improvviso ed inaspettato, molto raro (colpisce 8 neonati ogni 100 mila), ma documentato a livello internazionale. Si verifica nella prima settimana di vita, a volte a causa di patologie sottostanti non diagnosticate, ma il più delle volte in bambini apparentemente sani. Le attuali indicazioni delle società scientifiche per prevenirla si basano sull’eliminazione nei limiti del possibile dei fattori di rischio associati».
Come prevenire la morte in culla?
Scrive l’Istituto superiore di sanità (qui il link) che «ai genitori si raccomanda di far dormire i propri bambini sulla schiena, in posizione supina; non utilizzare cuscini soffici, o altri materiali che possano soffocare il bambino durante il sonno; allattare al seno il bambino nei primi sei mesi di vita. E’ stato dimostrato che una immunizzazione corretta riduce il rischio di Sids; limitare la co-presenza del bambino nel letto con altre persone durante il sonno. Casi di Sids si sono verificati per soffocamento del bambino da parte della madre o del padre durante il sonno».
A chi chiedere aiuto in caso di morte del bambino?
CiaoLapo, l'associazione italiana fondata nel 2006 dalla dottoressa Claudia Ravaldi, è la più specializzata e competente nell'offrire supporto ai genitori e alle famiglie che dovessere vivere la morte di un bambino quando ancora in grembo o subito dopo la nascita, a prescindere da quale siano le motivazioni. La stessa associazione è impegnata a 360 gradi in progetti di formazione e informazione che coinvolgano anche i sanitari. Se hai perso il tuo bambino e non sai cosa fare puoi trovare informazioni utili qui: https://www.ciaolapo.it/faq/
Per entrare in contatto puoi scrivere una email a primosostegno@ciaolapo.it; telefonare al numero verde 800601660 (lun-ven ore 13-15). Potrai ricevere inolte informazioni in merito alle possibilità di sepoltura.
Il silenzio, quando non è la voce della pace, è un nemico atroce.
A chi chiedere sostegno se ti sembra di non farcela?
Nel nostro Paese esistono molte realtà che si dedicano al supporto dei bisogni dei neogenitori, ma le risposte sono spesso lacunose, frammentarie, limitate e nascoste. Prima di tutto perché ogni Amministrazione (locale e Regionale) ha attivato una serie di iniziative con l’obiettivo di sostenere la delicata fase post partum, ma manca, in generale, una strategia integrata che metta in contatto i servizi sanitari con quelli sociali. Così come manca un raccordo tra chi si occupa di gravidanza e chi si occupa del post. Inoltre, spesso i progetti e le iniziative nascono a livello territoriale grazie al finanziamento di un bando e terminano con esso: oggi ci sono e magari tra un anno no. E nel frattempo non sono nemmeno facilmente individuali. Specialmente quelli offerti dal sistema sanitario. A farne le spese sono soprattutto quei genitori che, una volta a casa, hanno difficoltà, pratiche, fisiche od emotive. A chi possono rivolgersi? Al ginecologo? Allo psicologo? Al pediatra? All’ospedale? Al medico di base? La verità è che il percorso non è per nulla chiaro e gli specialisti spesso lavorano a compartimenti stagni: chi si occupa della salute della mamma non parla con chi si occupa della salute del neonato; chi si occupa di infanzia non dialoga con chi si occupa di genitorialità.
Save the Children ha avviato in 9 ospedali italiani il progetto Fiocchi in Ospedale, che prevede interventi di sostegno a mamme e papà attraverso una collaborazione con l’ospedale e il territorio. (Il servizio è attivo al Niguarda e Sacco di Milano; al Maria Vittoria di Torino; al San Giovanni, San Camillo e Madre Giuseppina Vannini di Roma, al Cardarelli di Napoli e al Policlinico di Bari; all' Ospedale Salesi di Ancona).
Sono poco conosciuti i consultori famigliari, i quali vengono ancora considerati come presidio di riferimento solo per le persone svantaggiate. E’ un peccato, dato che spesso svolgono un ottimo (e gratuito) servizio di prevenzione, ascolto ed accompagnamento durante la gravidanza e anche nei primi mesi.
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