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Gli adolescenti? Da ribelli a sofferenti, perché gli abbiamo tolto il futuro
Sono aumentate le minacce di suicidio e i comportamenti autolesivi, i disturbi del comportamento alimentare, i conflitti fra genitori e figli, i ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla scuola e dalla vita sociale. Ma cosa c’è alla base della sofferenza psichica adolescenziale, oggi? Le risposte di Matteo Lancini
«Ci sono stati adulti che hanno fatto pensare ai giovani che stessimo pensando a loro e al loro futuro? Ci sono adulti in grado non solo di ascoltare ma di essere pronti a sentire davvero cosa hanno da dire gli adolescenti e le adolescenti, cosa vivono e come si sentono?» A chiederselo è psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente dell’associazione Minotauro di Milano, docente di psicologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Queste stesse domande sono state al centro di un seminario che Il Minotauro ha promosso pochi giorni fa per cercare di capire perché fra gli adolescenti a seguito della pandemia Covid serpeggi un malessere che in alcuni casi diventa grave manifestazione di dolore psichico e di blocco evolutivo. «Il corpo – spiega l’esperto – è il megafono di un dolore muto, inesprimibile ai propri adulti di riferimento, spesso troppo fragili per poter accettare le difficoltà e gli inciampi di figli e studenti».
Prof. Lancini, sono aumentate le minacce di suicidio e i comportamenti autolesivi, i disturbi del comportamento alimentare, i conflitti fra genitori e figli, i ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla scuola e dalla vita sociale e tante altre manifestazioni di sofferenza psichica adolescenziale. Tutti Servizi per l’età evolutiva sono alle prese con un eccezionale numero di richieste di intervento, alcuni dei quali molto preoccupanti. Prof. Lancini, secondo lei è davvero un’emergenza?
Lo era prima della pandemia, lo è ancor di più adesso. Il corpo è il megafono di un dolore muto, inesprimibile ai propri adulti di riferimento, spesso troppo fragili per poter accettare le difficoltà e gli inciampi di figli e studenti. La pandemia ha esacerbato un malessere che già intercettavamo da tempo nei servizi pubblici e privati. È arrivato il tempo non solo di ascoltare ma di essere pronti a sentire davvero cosa hanno da dire gli adolescenti e le adolescenti, cosa vivono e come si sentono, per poi svolgere una funzione adulta davvero autorevole. I ragazzi e le ragazze hanno accumulato crediti, non debiti, ed è ora di pensare a qualche forma di ristoro anche per loro, anche se non posseggono una tessera elettorale.
Secondo lei il disagio degli adolescenti è lo stesso di sempre, anche se sono cambiati i modi di manifestarlo, oppure qualcosa è cambiato?
Gli adolescenti hanno perso la tendenza a trasgredire e a opporsi agli adulti ed esprimono il proprio disagio e le sofferenze evolutive attaccando sé stessi e il proprio corpo. In passato prevalevano manifestazioni sintomatiche legate alla difficoltà nell’accettazione del corpo erotico e sessuale. Ora la sofferenza ha a che fare con il corpo estetico, e infatti non si percepiscono mai sufficientemente belli, e la mancanza di notorietà, cioè non ci si sente mai abbastanza popolari. Gli adulti, difensivamente, accusano internet, ma la società degli iper-ideali e del “successo a tutti i costi” non è attribuibile solo alla rete. Internet è un ambiente che ha amplificato miti affettivi e modelli di identificazione adulti che transitano quotidianamente anche da altri mass-media e, soprattutto, dalla quotidianità dei nostri atteggiamenti.
Lei ha diverse volte evidenziato il dissesto sociale ed economico provocato dalla pandemia. In che modo questo dissesto ha impattato sui giovani?
In adolescenza non si soffre esclusivamente per ciò che è accaduto in passato, ma soprattutto per ciò che si percepisce non potrà accadere. La sofferenza, il disagio adolescenziale dipende moltissimo dall’assenza di prospettive future. Il dolore deriva dalla sensazione di non poter realizzare i propri compiti evolutivi, di non riuscire a costruirsi una propria identità, di non intravedere la possibilità di realizzazione di sé e di sé nella società di cui si fa parte. Lascio al lettore l’analisi di ciò che è accaduto negli ultimi anni rispetto al pianeta, ai mari, all’atmosfera e all’economia. Ci sono stati adulti che hanno fatto pensare ai giovani che stessimo pensando a loro e al loro futuro? Ognuno risponderà come crede a questa domanda, magari anche cosi: "Ma chi se ne frega dei giovani e del loro futuro”.
In adolescenza non si soffre esclusivamente per ciò che è accaduto in passato, ma soprattutto per ciò che si percepisce non potrà accadere. La sofferenza, il disagio adolescenziale dipende moltissimo dall’assenza di prospettive future. Il dolore deriva dalla sensazione di non poter realizzare i propri compiti evolutivi, di non riuscire a costruirsi una propria identità, di non intravedere la possibilità di realizzazione di sé e di sé nella società di cui si fa parte. In questi due anni ci sono stati adulti che hanno fatto pensare ai giovani che stessimo pensando a loro e al loro futuro?
Come può un malessere diventare un blocco evolutivo?
L’adolescenza è una “seconda nascita”, non è una scelta, è una necessità. A questa età si è chiamati, in primis dalla biologia, a realizzare dei nuovi compiti evolutivi, ad accettare trasformazioni del corpo non richieste e a lavorare mentalmente sui processi di separazione e individuazione. Se il corpo portato in dote dal cambiamento puberale non ti piace, se senti di non riuscire a realizzare i processi separativi dai tuoi genitori, se non riesci a investire nel ruolo di studente e ad avere una presenza riconosciuta all’interno del gruppo dei coetanei, soffri enormemente. Il blocco evolutivo dipende moltissimo dal sistema di rappresentazione del ragazzo o della ragazza, dai propri vissuti e dal proprio modo di guardare a sé stessi e alla propria realizzazione. Rappresentazioni proprie ma costruite all’interno di un contesto familiare, scolastico e sociale. Quando un adolescente è incastrato nel canale del parto della seconda nascita è meglio trattare seriamente la vicenda, non banalizzare: “Ma si, cosa vuoi che sia, passerà”; “Non dire stupidate, sei bellissima”. Sono risposte difensive provenienti da adulti troppo fragili per poter diventare qualcuno a cui chiedere aiuto, per poter essere un riferimento davvero autorevole per un adolescente.
Il suo ultimo libro si intitola “L'età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti”. Quali sono questi luoghi comuni?
Direi che sono spesso trattati come se fossero ancora bambini e invece andrebbero responsabilizzati e non infantilizzati. Non sono onnipotenti ma, anzi, hanno paura della morte. Non sono né trasgressivi né ribelli ma parecchio allineati. Sono sempre meno interessati al sesso, e siamo solo all’inizio di un processo di recessione della sessualità giovanile. Non organizzano risse per picchiarsi ma per riprendersi con lo smartphone alla ricerca di audience. Non si suicidano per colpa di una challenge in internet o perché trascorrendo troppo tempo davanti allo smartphone dormono poco, ma perché non intravedono un futuro e ne hanno tanto davanti a loro. Farebbero di tutto per rendere immortali i loro nonni e le loro nonne, che li hanno cresciuti mentre i genitori lavoravano… altro che trasmettergli il virus pur di bersi un aperitivo, come diverse volte si è insinuato.
Ci aiuta a fare un ritratto più aggiornato di come sono oggi i giovani e i giovanissimi?
Credo che quello su cui ci troveremo a interrogarci maggiormente nei prossimi anni sia proprio quello relativo al progressivo disinteresse verso la sessualità. Agli adolescenti interessa sempre di più essere presente nella mente dell’altro, non di compenetrarne il corpo. La precocizzazione di bambini e bambine, che si vestono come ci vestivamo noi negli ultimi anni delle scuole superiori, non deve far pensare a un debutto anticipato del rapporto sessuale completo e a un desiderio senza freni. La società del futuro è fatta di compenetrazione nella mente dell’altro, il piacere è nell’essere sempre presenti nei pensieri dei tuoi coetanei. Per questo già ora contano di più i selfie e il sexting che il rapporto sessuale completo. Anche qui il discorso meriterebbe approfondimenti, accenno solo al fatto che non è responsabilità di internet ma di come gli adulti hanno sostenuto la crescita dei bambini odierni e utilizzato loro internet.
Nei prossimi anni ciò su cui ci troveremo a interrogarci maggiormente sarà il progressivo disinteresse verso la sessualità. Agli adolescenti interessa sempre di più essere presente nella mente dell’altro, non di compenetrarne il corpo. Per questo già ora contano di più i selfie e il sexting che il rapporto sessuale completo.
Molti studiosi delle scienze sociali sostengono che l’adolescenza non esista. Margaret Mead ad esempio ripeteva che la fase di "tormentosa incertezza, sgomento e ribellione" che caratterizza l'adolescenza dei popoli civilizzati dell'occidente sia di fatto solo fenomeno storico, l'effetto di una determinata formazione culturale, dell'organizzazione e dei tratti distintivi di una società specifica. Cosa ne pensa?
Il contesto all’interno del quale le generazioni crescono conta eccome. Infatti i disagi più diffusi degli ultimi anni sono il disturbo della condotta alimentare femminile e il suo equivalente maschile: il ritiro sociale, a cui ho dedicato un testo un paio di anni addietro. Si tratti di modalità di soffrire che hanno a che fare con le richieste provenienti dai miti affettivi e culturali della nostra società. Sono disagi e patologie etniche, presenti solo in alcune regioni del nostro pianeta. Non esiste l’anoressia nei luoghi dove il cibo scarseggia, così come non esiste il fenomeno degli Hikikomori laddove il corpo dei figli non è sotto sequestro delle angosce adulte.
Se potesse dare tre consigli ai genitori di oggi cosa suggerirebbe loro?
- Alla sera a tavola chiedere ai figli “come è andata oggi in internet”, non solo interessarsi della scuola
- Condividere insieme ai figli il tema del dolore, della sofferenza, degli inciampi e della morte come parte costituente e creativa della vita.
- Smetterla di farsi attrarre dalle facili soluzioni sotto forma di ricette (tipo: “i 10 consigli per essere un bravo genitore”, “fate spegnare il cellulare la sera a cena a vostro figlio”) e interessarsi autenticamente a chi si ha davanti: ogni figlio/a è unico e non merita semplificazioni e una mamma e un papà “da ricetta".
In apertura, foto di Steve Johnson per Unsplash
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