Welfare
Orgoglio (tecnologico) sordo
Una start-up toscana usa l'intelligenza artificiale per creare il primo assistente virtuale capace di parlare la Lingua dei segni italiana - Lis. Uno strumento per aumentare le possibilità di dialogo e di informazione dei non udenti. Parla l'amministratore delegato
«Possibile che nessuno ci avesse pensato prima?». Viene spontaneo chiedersi quando ci si trova difronte al primo “virtual human” italiano capace di comprendere e produrre la Lingua dei segni italiana – Lis, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Questo assistente virtuale è un’innovazione avveniristica ideata dalla company toscana QuestIT, spin-off dell’Università di Siena e specializzata nella realizzazione di tecnologie proprietarie d’intelligenza artificiale, che per l’occasione ha stretto una partnership strategica con il Santa Chiara Fab Lab proprio dell’Ateneo senese, l’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche -Cnr e il Gruppo per lo studio e l’informazione della Lingua dei Segni Italiana – Lis.
«Fino a questo momento», spiega Ernesto Di Iorio, ceo di QuestIT, «mancavano le tecnologie giuste, la potenza di calcolo e la grandissima disponibilità di dati di cui queste macchine si nutrono. Ecco perché solo ora è stato possibile realizzare questo sistema tecnologico».
Per entrare in comunicazione con l’assistente virtuale bisogna posizionarsi difronte a un dispositivo (un computer o uno smartphone oppure dei totem multimediali) e alzare un dito. Tramite una webcam la macchina riconosce che la persona sta chiedendo di parlare e inizia la registrazione della domanda in Lis. Poi elabora i segni, li traduce in parole e inizia a cercarle nel suo data base. Successivamente restituisce la risposta alla domanda dell’utente in Lingua dei segni.
«La nostra soluzione in questo momento» prosegue il ceo di QuestIT, «funziona solo per due domini applicativi: quello bancario e quello della Pubblica amministrazione. Questo vuol dire che nella banca dati del sistema abbiamo inserito solo parole di queste due aree tematiche. Stiamo, però già lavorando all’estensione dei domini, anche, ai vocaboli sanitari, culturali, scolastici e universitari. Il tutto in una logica inclusiva. L’obiettivo è andare a “coprire” quegli ambiti in cui c’è maggiore bisogno di equità sociale. Infatti, in un’ottica di sostenibilità, riteniamo che l’equità non è dare le stesse risorse a tutti ma mettere tutti nelle stesse condizioni per poter vivere al meglio. Dunque non basta solo avere sportelli bancari aperti al pubblico se non sono a misura di tutti i fruitori».
Il team che ha lavorato al progetto è formato da dieci professionisti dei quali: quattro non udenti, tre interpreti e tre ingegneri.
«È stata un’esperienza che ci ha arricchiti umanamente», prosegue Di Iorio, «Quando circa due anni fa abbiamo avviato il progetto la prima cosa che abbiamo fatto è stato creare un team multidisciplinare con all’interno ricercatori del Cnr non udenti. Infatti ci piace dire che è una tecnologica progettata con persone sorde e non per persone sorde. Ricordo che prima di iniziare il lavoro abbiamo stilato una lista dei termini corretti da usare durante le riunioni. Per esempio parlare di linguaggio dei segni non è corretto. È come dire linguaggio italiano. Non accetteremmo mai che si parlasse dell’italiano come di un linguaggio. Ci sembrerebbe sminuente. Non è corretto neanche parlare di persona sordo muta perché non necessariamente chi non sente è anche muto. Lavorando a questo progetto siamo rimasti impressionati dalle numerose sfumature che un segno può avere nella Lingua dei segni italiana».
Inizialmente il team di ingegneri non era preparato a cogliere queste piccole differenze «in alcune occasioni», racconta Di Iorio, «la sala si riempiva di risate durante la visione di un gesto compiuto dall’avatar, perché la parola nella Lingua dei segni era completamente insensata per la frase in cui era inserita. Magari il segno era corretto ma ambiguo e dava un significato diverso al concetto che diventava una battuta invece di un’informazione».
Forse per la prima vota nella loro vita gli ingegneri, che hanno lavorato al progetto, hanno avuto modo di constatare quanto i numeri da loro usati per creare la tecnologia hanno avuto un’importante contenuto di inclusione sociale.
«C’è un’anima dietro questo avatar», conclude Di Iorio «un’anima realizzata con il cuore d tutti i professionisti che hanno lavorato al progetto. Siamo fieri di aver realizzato tutto questo».
«Orgoglio sordo» era uno slogan, una campagna che, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha rappresentato la voglia dei sordi di chiedere inclusione e soprattutto la diffusione della Lis. Questo upgrade italiano idealmente la rinnova: un nuovo orgoglio sordo e tecnologico.
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