Formazione

Shiavi di Internet nei gulag del web.

La prima inchiesta sui forzati della Rete. Migliaia di giovani disposti a tutto per un sogno impossibile: diventare Bill Gates

di Carlotta Jesi

Primo classificato, con 38 ore incollato al computer in un solo fine settimana, Boris Bagnovitch. Secondi a pari merito, con 22 ore consecutive di clic sul mouse, Jake Black ed Ed Gym. Che ritirano il premio, virtuale come questa competizione sulla maratona lavorativa più lunga della loro vita, commentando via posta elettronica il loro successo: «Dovevamo ridare un po? di vita all?orrendo sito web della StewNet. Che per l?intero gruppo di lavoro ha prenotato una stanza vicino ai suoi uffici dove, a turno, potessimo schiacciare un pisolino e andare in bagno. Grazie infinite». A Boris, il vincitore, spetta anche l?onore di una fotografia con occhiaie, barba di tre giorni, sessanta ore di straordinario, vitamine e scatole di viveri accumulate sulla scrivania. Una premiazione da far accaponar la pelle ai sindacati dei lavoratori, sociologi, mamme e papà. Ma seguita in diretta e differita da migliaia di spettatori suwww.netslaves.comIl sito Internet creato diciotto mesi fa da due newyorchesi, Bill Lessard e Steve Baldwin, decisi a svelare l?altra faccia del boom tecnologico e delle azioni Hi-tech che fanno volare Wall Street: i netslaves, gli schiavi di Internet. «Dietro a ogni miliardario della Silicon Valley, ma anche indiano, giapponese, europeo o arabo», spiega Lessard, «ci sono centinaia di ?manovali? di Internet. Uomini e donne che, nonostante gli stipendi più che decenti, lavorano in condizioni disumane». Ai lavori forzati, in open space stipati di brandine e letti a castello, straordinari non pagati e una vita sociale via e-mail e cellulare. Possibile? Ma quelle Hi-tech non erano solo storie di successi e portafogli pieni? Non è vero, sono solo le uniche ad essere raccontate rispondono i paladini degli schiavi del web. Che in un anno, sul loro sito Internet, hanno visto arrivare migliaia di denuncie oggi raccolte in un libro, ?NetSlaves?, uscito il mese scorso in America. Quelli che devono ripulire la rete «Sono un cyber cop della Prodigy, una specie di poliziotto delle autostrade informatiche incaricato di stanare pedofili, pervertiti, neo nazisti e persone violente che cercano di entrare nelle chat room dedicate alle famiglie con orrendi messaggi», spiega un netslave che si firma Kilmartin nella sezione del sito www.netslaves.com dedicata alle brutte esperienze all?ombra della rete. «Per ore e ore il mio compito è di leggere i messaggi che arrivano e, in un istante, decidere se approvarli o censurarli per i loro contenuti. Osceni, violenti o razzisti, che assumono toni davvero insopportabili e aumentano di numero quando uno dei visitatori del sito capisce di essere stato censurato. Una razione giornaliera di violenza, orrore e devianza che cambia e indurisce nel profondo». Kilmartin e tutti gli altri impiegati sono costretti a sorvegliare siti porno e messaggi pericolosi che circolano in rete. Finiti a fare un lavoro che agli amministratori delegati consente di vendere un prodotto finito ?pulito e senza rischi? e a loro di ripagare bollette e fatture. Ma non certo i sogni e le aspettative che avevano riposto in Internet. E che, nonostante tutto, non sono disposti ad abbandonare. «I netslaves sono responsabili della loro situazione al 90%», spiega Steve Baldwin, «perché si fanno incastrare in offerte di lavoro dai nomi altisonanti che si rivelano tutt?altro. Ma, soprattutto, non vogliono rinunciare all?idea di essere parte di un?élite». Quella, per intenderci, che ha davvero messo a segno un bel colpo tecnologico e, di fatto, li tratta come rifiuti da buttare nella spazzatura al primo segno di ribellione. Così Dee Dee finì nell’angolo Come è accaduto a Dee Dee, assunto come web designer in una delle più grandi agenzie pubblicitarie degli Stati Uniti, con vista sul palazzo di vetro dell?Onu. «Non ci potevo credere. Eppure sono bravo, funziono, le mie proposte piacciono e in sei mesi raccolgo una lista di congratulazioni e ?ottimo lavoro? nel mio archivio di posta elettronica. Insomma, una stella nascente». Fino al giorno in cui Dee decide, come previsto dal suo contratto, di chiedere un aumento. «Sembra che all?improvviso nessuno abbia tempo per me, chiedo appuntamenti rinviatimi per oltre tre mesi e, dopo una raffica di messaggi via posta elettronica in cui chiedo spiegazioni, mi ritrovo con un bel ?i tuoi lavori sono troppo tradizionali?. E tutte le lodi ricevute fino a oggi? Perché non mi è stato detto niente in nove mesi? Più chiedo, più si arrampicano sui vetri. E al primo cliente che abbandona l?agenzia, lei trova una falsa ?giusta causa? per abbandonarmi in strada. Non cascateci anche voi. Non fatevi fregare, amici, non importa quanto bravo tu sia, per loro sei merce di seconda scelta». Oppure da riciclo. Soprattutto se all?Università hai imparato a costruire siti web che andavano moltissimo fino a poco tempo fa ma oggi sono alla portata di tutti grazie a qualche software facile da usare inventato da un altro schiavo come te. Che per la sua stessa invenzione non è più così necessario e viene ?usato? per disegnare e aggiornare banner pubblicitari. Dov?è finita la realtà? «Moltissime persone svolgono ogni giorno più di un lavoro», spiegano gli autori di ?NetSlaves?, «e la ragione è facile: Internet e le sue applicazioni non dormono mai. Così se al mattino ti trovi ad assistere uno sconosciuto che dall?altra parte del mondo compra una lavatrice e via e-mail ti chiede se è in garanzia, al pomeriggio ci sono utenti arrabbiati per le linee intasate e di notte bisogna sorvegliare che il server non cada». Risultato? Totale perdita di contatto con la realtà. Il manuale di sovravvivenza «Con quello che ti succede attorno», racconta a www.netslaves.com Mike. «Entrare in un?azienda di commercio elettronico californiana è stato il mio più grosso errore. Il primo giorno di lavoro, sul manuale aziendale, scopro che la settimana lavorativa va da lunedì a domenica. Sempre, non quando c?è una consegna urgente. E dopo i primi tre giorni mi accorgo che non esistono pause pranzo fuori dall?ufficio, solo panini di plastica recapitati direttamente sulla scrivania o piatti di plastica così sottili da scivolare sotto la porta di un ufficio senza perder tempo ad aprirla. E guardie che tutto il giorno fissano lo schermo del tuo computer per controllare cosa fai. Me ne sono andato poco dopo, non posso sopportare che tanti ragazzi brillanti cadano in questi tranelli. Non è tutto oro quello che luccica». Gli affezionati di Netslaves.com lo hanno capito sulla loro pelle, e hanno dedicato una sezione del sito a riconoscere cosa si nasconde davvero dietro a offerte di lavoro per executive manager del web, Internet editor e designer, responsabile del marketing ecc. Titoloni altisonanti e acchiappa polli, li definisce oggi chi ci ha creduto anche solo per poche settimane. Nel ?Manuale di sopravvivenza? per impiegati Hi-tech continuamente aggiornato dai visitatori del sito ci sono invece preziosi consigli per reagire a situazioni spiacevoli in cui è quasi sempre la Firm, o un superiore, ad avere la meglio. Come è accaduto a Paula, ex impiegata nel servizio assistenza clienti di una impresa americana: «Sono entrata in servizio a mezzanotte per il turno di notte, ma poi mi hanno chiesto di fermarmi altre otto ore perché cinque colleghi erano ammalati. Stanchissima e senza possibilità di replicare ho poi finito per stare lì fino alle 20.20 della sera perché il ragazzo incaricato non si era fatto vedere. Risultato? Il management dell?azienda mi ha convocato per discutere con me come mai caricassi tanti straordinari. Insinuando che non svolgessi il mio lavoro abbastanza velocemente». Denuncie pesanti, sguardi spenti e vite impossibili. Che qualcuno ha la forza di lasciare e qualcun altro no. «Perché di Internet ti dicono che tutto è possibile, e rimane la speranza che il prossimo Bill Gates potresti essere tu, che ti basta un codice di programmazione azzeccato per diventare il capo di chi ti sta dando il tormento», spiegano Lessard e Baldwin. Le possibilità che davvero succeda? «Ci sono», rispondono gli autori di ?NetSlaves? che negli Stati Uniti è già un best seller, «ma costellate di rischi e moltissime frustazioni. Dei quali in pochi ti avvertono perché al progresso, soprattutto tecnologico, piacciono più i vincitori dei vinti. La meritocrazia, è vero, qui funziona. Ma, insieme alla concorrenza, su Internet scorre più veloce che altrove». Come gli insuccessi, i soprusi e una schiavitù che poco ha a che fare con sottosviluppo e povertà.


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