Famiglia
Famiglie solidali Fs, i Fratelli della Stazione
Sono in quattro, tutti giovani ed entusiasti. gestiscono una mensa per poveri alla stazione di Foggia. Trascinando anche mamma e pap
di Mara Mundi
Non vogliamo che la gente pensi a noi come a dei bravi ragazzi, punto e basta. Quello che facciamo è alla portata di tutti: è la carità la vera protagonista delle nostre azioni». Leo Ricciuto, 26 anni, è il fondatore dei Fratelli della stazione, di Foggia, un gruppo di ragazzi e di ragazze che distribuisce pasti caldi ai barboni abituati a trascorrere la notte in vagoni fermi sui binari.
Tutto cominciò quattro anni fa. Non vorrebbe parlare di sé questo ragazzo con i capelli biondi e gli occhi vispi e un cappellino di lana tirato giù sulla testa. «Servono altre coperte, maglioni e giacche a vento», dice Leo a voce bassa. Insieme con i suoi amici distribuisce indumenti, minestra e sorrisi: parlano, raccontano e ascoltano chi da tempo ha perso la voglia e il coraggio di vivere. Ci sono marocchini e tunisini, molti uomini dell?Est, qualche italiano che ha scelto la strada come casa itinerante. Pochissime le donne. A fare i turni, ogni sera alla mensa, allestita nei locali offerti in comodato d?uso da Trenitalia, ci sono anche i fratelli di Leo, la mamma e il papà. «Siamo una famiglia come tante», continua Leonardo, che nel progetto è affiancato da sua moglie Ivana. Ha riunito intorno a sé mamma Agnese, papà Francesco e i fratelli Sergio, 19enne, futuro missionario scalabriniano, Raffaele, un anno più grande e Antonio, 27 anni. Assieme a loro, altre persone che sin dall?inizio hanno creduto nell?aiuto ai più bisognosi: un veloce passaparola e il gruppo si è ingrandito. «La carità è contagiosa», ammettono soddisfatti i Fratelli della stazione. È passato tanto tempo da quella domenica in chiesa, da quell?annuncio di don Walter Arrigoni: «Preparate un po? di cibo per i poveri». Quella frase girava nella mente di alcuni fedeli, tutti giovani. Poi, Leo partì per Londra, alla ricerca di se stesso, di un?identità perduta, smarrita nella ricerca di un lavoro, di un posto in società. Nella città bagnata dal Tamigi succede qualcosa di strano. Segni, segnali, un messaggio, chissà. Nel quartiere giamaicano di Brixon, ogni giovedì, gli abitanti del posto preparavano la cena per i senzatetto, gli homeless, come si dice da quelle parti. Di nuovo il pensiero corre a quel messaggio lanciato in una chiesa foggiana, alcuni mesi prima. Una città abbandonata troppo in fretta da troppe persone che si arrendono alla disoccupazione, a una soglia di povertà ancora piuttosto alta.
«Sono circa un centinaio i senza tetto, qui», precisano i Fratelli. «Qualche volta ci sorge il dubbio che siano trasparenti, forse fantasmi, nessuno sembra accorgersi di loro». Leo e Ivana cominciano a riscaldare il latte: lo distribuiscono nella sala d?aspetto della stazione ferroviaria, in piazza Vittorio Veneto. Passa qualche settimana, si aggiungono altre persone: dal latte alla cena, ci vuole poco. Quattro chili di pastasciutta, carne o pesce, frutta e verdure, la domenica anche il dolce: in molti attendono con ansia che le lancette dell?orologio si spostino sulle dieci di sera. Nell?aprile 2001, arriva il no da Trenitalia: «I responsabili ci dissero che non potevamo più utilizzare la sala d?attesa: questione di ordine e rispetto per i viaggiatori». I Fratelli non si arrendono: distribuiscono la cena nel piazzale antistante, le panchine imbandite come una tavola e i portici per proteggersi dalla pioggia.
Sacrifici, serate trascorse in compagnia del freddo e del vento. Poi, la grande sorpresa, inaspettata, molto gradita. Trenitalia affida ai Fratelli dei locali, sul primo binario, vicino alla toilette. La cerimonia ufficiale di consegna è stata celebrata poco prima di Natale, il 22 dicembre. «Che bel regalo», dicono, quasi in coro. «Li gestiremo sino al prossimo 31 gennaio, ma già si parla di una proroga». È diventato il loro quartier generale: conservano abiti, plaid, giacconi da consegnare insieme con il pranzo. Il servizio aumenta e migliora, giorno dopo giorno, sera dopo sera. Quando il sole tramonta e il silenzio cala sul destino di gente senza nome, i Fratelli raccolgono le confidenze, ascoltano i silenzi, parlano poco o tanto, secondo le necessità.
La loro mascotte si chiama Vito, 65enne, della provincia di Bari. Quindici anni passati per strada, poi il recupero in una casa di cura. La riabilitazione, la guarigione, il volontariato insieme agli altri. Ogni sera, incontrano anche un gruppo di ucraini: «Siamo diventati amici, ci capiamo con uno sguardo. Quando andiamo via siamo pieni d?amore. Noi abbiamo bisogno di loro, così come loro di noi». Il martedì, i Fratelli s?incontrano da Daniele, un ragazzo affetto da sclerosi multipla. Pregano insieme a lui, che è diventato il collaboratore spirituale del gruppo. Fede, determinazione e carità sono gli ingredienti migliori per la loro ricetta. Una ricetta contro l?indifferenza. E la famiglia si scopre ancora più unita. Una famiglia straordinariamente normale.
Info: tel. 0881.707490
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