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La guerra toglie il pane
Secondo gli esperti di “Oasis” il Libano, per fare un esempio, ha una dipendenza alimentare elevatissima da Ucraina e Russia: si arriva al 90 per cento del fabbisogno. Si ripete il meccanismo perverso di essere legati ad un’unica fonte di rifornimento. Un po’ come accade all’Italia e alla Germania per il gas russo. Ma mentre i gasdotti continuano a pompare, le coltivazioni sono state bloccate in tutto o in parte. Ed è anche difficile prevedere se e come il grano potrà tornare disponibile
Pochi sanno che i due napoletani “posteggiatori” (nell’Ottocento l’espressione stava per musicisti), Giovanni Capurro ed Edoardo Di Capua, composero la canzone “O Sole mio” ad Odessa, in Ucraina. Che cosa li aveva portati lì? Erano in tournée fra i nostri connazionali, in gran parte partenopei, che acquistavano il grano per la pasta più buona del mondo: quella fabbricata nel Golfo di Napoli, da Torre Annunziata a Pozzuoli. Una curiosità, una coincidenza, che ben fotografa che cosa abbia rappresentato, e non da oggi, l’Ucraina. Davvero, come si studiava nelle scuole elementari di una volta, “il granaio d’Europa”. Presi dalle considerazioni della geo politica e dagli orrori bellici, siamo stati portati a trascurare nelle ultime settimane le conseguenze economiche di un conflitto che ha tagliato fuori dal mondo, in una stagione chiave come quella primaverile, uno dei più grandi produttori di grano e di cereali. Conseguenze poi che in gran parte ricadono sui popoli del Nord Africa e del Medio Oriente.
Negli ultimi decenni infatti è accaduto che il grano dall’Ucraina, e anche dalla Russia, diventasse indispensabile proprio per questi Paesi. Pochi giorni fa Karima Moual per La Repubblica ha raccontato la drammatica situazione della Tunisia (qui il pdf) ma è un’eccezione rispetto ad una stampa italiana che sta ampiamente sottovalutando il tema, come ha scritto qui Vita.it. Prendete il caso del Libano. Secondo gli esperti di “Oasis” il Paese dei cedri ha una dipendenza alimentare elevatissima da Ucraina e Russia: si arriva al 90 per cento del fabbisogno. Si ripete il meccanismo perverso di essere legati ad un’unica fonte di rifornimento. Un po’ come accade all’Italia e alla Germania per il gas russo. Ma mentre i gasdotti continuano a pompare, le coltivazioni sono state bloccate in tutto o in parte. Ed è anche difficile prevedere se e come il grano potrà tornare disponibile.
Stiamo parlando poi di Paesi, la cui catena di approvvigionamento alimentare e la cui capacità di magazzino sono sotto stress, già al limite. Nel caso del Libano la grande distruzione della zona del porto, dovuta all’esplosione di due estati fa, ha reso inservibili o ha fatto scomparire le infrastrutture, i silos, dove il grano poteva essere stoccato. Teoricamente il grano potrebbe essere reperito da altri Paesi in grado di aumentare la produzione: gli USA, l’Australia, l’India… Ma sono Paesi più lontani e che comunque alla fonte hanno prezzi molto più elevati.
Alla crisi bellica si sovrappone poi la crisi climatica con il riscaldamento del pianeta. Un esempio? Il "granaio della Siria" ad esempio, nella zona nordorientale del Paese, fatica a produrre grano, perché la siccità rende tutto più complicato. In molti dei Paesi del Medio Oriente il pane che si trova oggi ha un colore quasi giallino, perché in assenza della quantità necessaria di farina viene integrato con il mais.
Lunghi mesi di siccità nel Corno d'Africa hanno devastato raccolti e bestiame e costretto molte persone a lasciare le loro case in cerca di cibo e acqua. Un mese dopo l'inizio teorico della stagione delle piogge, “il numero di persone che soffrono la fame a causa della siccità potrebbe salire alle stelle dall'attuale stima di 14 milioni a 20 milioni entro il 2022”, hanno detto gli esperti del World Food Program.
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