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Direttrice Caritas Gerusalemme: solo solidarietà porta la pace
Anteprima da Vita magazine in edicola da domani: Claudette Habesch racconta la vita dei palestinesi. Accusa Sharon "Non è interessato alla pace". E sull'uccisione di Ciriello dice...
Non vedo mia figlia da giorni. Eppure abita a nemmeno un chilometro da casa mia. Ma in quel chilometro ci sono tre posti di blocco militari israeliani. Vivere così non è facile». Claudette Habesch porta un ampio foulard francese intorno al collo e una spilla verde che raffigura un pappagallo sulla giacca nera. Lo sguardo è intenso, gli occhi verdi si illuminano.
Vita: Libertà, sicurezza e pace. Come raggiungere questi obiettivi?
Claudette Habesch: Con un?altra parola: solidarietà. Una parola bellissima se vissuta concretamente. La Caritas di Gerusalemme è l?espressione della Chiesa in Terra Santa e l?attività della Caritas è ampia, senza alcun tipo di discriminazione. Gli italiani si impegnano molto nella solidarietà. E sapete perché voglio parlare di solidarietà? Perché solo così si può smettere di parlare a favore dei palestinesi o contro Israele. Solo se si guarda avanti.
Vita: La guerra si fa con le armi. In Italia si pensa di facilitarne l?export…
Habesch: L?Italia ha firmato la Convenzione internazionale contro la vendita di armi, sono sicura di essere capita in Italia quando parlo di un futuro senza armi. Le armi sono produzione di morte e io voglio chiedere una riflessione sul problema umano delle madri palestinesi e delle madri israeliani, madri uguali, senza più i loro figli. È una tragedia.
Vita: C?è un?iniziativa del consorzio Etimos di Padova che la lega all?Italia…
Habesch: Stiamo realizzando un progetto di microcredito rurale a sostegno delle donne palestinesi nel villaggio di Ain Arik e, più in generale, in Cisgiordania. Il progetto è importante perché distrae dal conflitto persone che non chiedono altro che tornare a vivere, a vivere come persone normali.
Vita: Che cos?è per i palestinesi una vita normale?
Habesch: Andare a scuola senza problemi e paure, riunirsi liberamente con parenti e amici, andare a lavorare. Cose molto difficili perché 3 milioni di palestinesi oggi vivono sotto coprifuoco e l?economia perde 7 milioni di euro al giorno perché 170mila persone non lavorano più da quando i Territori occupati sono chiusi.
Vita: Quali sono i principali campi di intervento della Caritas in Palestina?
Habesch: Abbiamo progetti di sviluppo in campo sanitario, scolastico e sul terreno della prevenzione. Pochi forse sanno che i giovani palestinesi cominciano ad avere grossi problemi con la droga, ci sono molti tossicodipendenti. Mi chiedo: da dove arriva tutta questa droga? E poi c?è il problema degli anziani, che rimangono soli perché i giovani appena possono lasciano il Paese.
Vita: Non pensa che anche gli israeliani stiano vivendo nel terrore?
Habesch: Certo che sì, è difficile anche in Israele avere una vita completamente normale. Ma in Israele si continua a lavorare, ad andare a scuola, e il governo israeliano aiuta le persone che si sono trovate in difficoltà a causa del conflitto. Se si vuole una vita normale, però, non si deve occupare militarmente un altro popolo.
Vita: Perché i giovani palestinesi fanno attentati suicida?
Habesch: Scegliere di perdere la propria vita in un attentato è un qualcosa di drammatico che ci deve far riflettere su cosa c?è dietro, su cosa prova dentro di sé una persona che arriva a tanto.
Vita: Come pensa possa risolversi questo conflitto?
Habesch: Ci sono due popoli: uno è occupato, l?altro è occupante. I palestinesi chiedono il rispetto dell?accordo di Oslo del ?93. Ma da allora gli israeliani hanno continuato a insediare coloni nei Territori, e questa è una politica di occupazione, non di pace. Con la pace e la libertà dei popoli tutto il mondo può chiedere di fermare anche l?ultimo kamikaze.
Vita: Arafat è in crisi?
Habesch: È stato eletto democraticamente nel ?96. Israele lo ha tenuto per mesi agli arresti domiciliari, gli distrugge la residenza a Gaza, l?elicottero, l?aereo, l?aeroporto. E gli chiedono di avere il controllo totale della popolazione. Arafat rimane il simbolo della resistenza. Ci sono altri leader, alcuni farebbero comodo a Israele e per questo si cerca di mettere in dubbio il ruolo di Arafat. Ma deve essere il popolo palestinese a decidere, non Israele.
E su l’uccisione di Raffaele Ciriello ci dice: “Non e’ stato un errore perché sapevano che non era un palestinese. L’uccisione del fotoreporter e’ un episodio maturato in un contesto in cui si vuole impedire ai giornalisti di diffondere nel mondo le foto, le immagini e le testimonianze sulle atrocità che vengono commesse.
Sul numero di Vita magazine in edicola domani l’intervista completa e le storie degli italiani impegnati per la pace in Palestina
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