Salute
Vialli, Mario Melazzini: «Non si è fatto affogare dalla malattia»
Mario Melazzini ricorda l'incontro col campione scomparso: lui malato di Sla, Vialli colpito, insieme all'amico Massimo Mauro, da come quella patologia facesse vittime fra i calciatori. Ne nacque Fondazione Arisla, che ancora oggi Melazzini presiede. E un'amicizia speciale, in cui capitava di ritrovarsi dopo mesi «ma era come se ci si fosse salutati la sera prima»
«La scomparsa di #GianlucaVialli ci addolora profondamente. È stato un fuoriclasse sia in campo che fuori. Ha costituito Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca, tra i fondatori di Fondazione Arisla, perché credeva nella ricerca. Per il suo convinto impegno e grande umanità gli diremo sempre Grazie!». Con un tweet di Fondazione Arisla, che presiede, Mario Melazzini era stato tra i primi, stamane, a esprimere il proprio dolore per la morte di Gianluca Vialli. Poi, più avanti, ne aveva aggiunto uno personale: «Mi e ci mancherai tanto Luca Vialli ma il tuo sguardo, la tua forza ed il tuo coraggio mi accompagnerà e sarà sempre con me. Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi. Ce lo siamo detti spesso e me lo hai insegnato: non mollare mai, ciao Luca».
Melazzini, classe 1958, pavese, medico, noto in tutta Italia per essere un paziente Sla, impegnato da anni sul fronte della ricerca, fino a creare la Fondazione Arisla, proprio insieme alla Fondazione Mauro e Vialli. Manager della sanità, Melazzini guida da poco più di un mese il grande ospedale di Morelli di Sondalo, in Valtellina.
Alla proposta di scrivere lui, per VITA, un ricordo di Vialli, Melazzini recalcitra garbatamente: «Ma no la prego, Luca era un amico, non vorrei dare l’impressione…, sa vedo che ci sono molti interventi, che molti sono amici». Dice «Luca», perché così lo chiamava da quando l’aveva conosciuto, «grazie a Massimo», ossia Massimo Mauro, l’altro calciatore che aveva voluto dedicare impegno e danaro alle buone cause alla ricerca, fino a diventerà presidente Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica – Aisla. Melazzini accetta però di parlare della sua amicizia con Vialli al telefono, in questa strana Epifania, venata di tristezza.
Melazzini, quando vi siete conosciuti, con Vialli?
Fu a Novara, insieme a Mauro. Eravamo intorno al 2004. Io mi ero ammalato da poco e da poco era morto di Sla Gianluca Signorini, ex-giocatore del Genoa, mentre si aveva notizia di altri casi di altri calciatori colpiti da questa patologia. Loro, Mauro e Vialli, avevano già cominciato a sostenere la ricerca sul cancro, specialmente quella del Candiolo di Torino (la fondazione ricerca creata dalla famiglia Agnelli, ndr) ma volevano fare qualcosa anche su questo fronte. Cercavano un’interazione con Aisla, nella quale io ero già impegnato: mi ero reso disponibile per il centro di ascolto, come paziente e come medico, per rispondere al bisogno dei malati e della famiglia. Favorii questo contatto e nacque l’amicizia con entrambi, anche se Luca stava in Gran Bretagna.
Poi nel 2007, l’idea della Fondazione per la ricerca sulla Sla, che lo coinvolse.
Sì, ebbi l’idea di chiedere a varie realtà filantropiche, alcune già impegnate sulle malattie rare e neurodegenerative ,di unire gli sforzi e fare massa critica: accettarono la Fondazione Telethon, la Fondazione Cariplo, la stessa Aisla e anche la Fondazione Vialli Mauro. Nacque così Fondazione Arisla, cui si devono tanti progetti di ricerca.
Allora Vialli era un campione reduce da una carriera sportiva di grandi successi, un commentatore apprezzato, un volto pubblico. Che impressione le fece?
Fra noi ci fu una simpatia immediata: era molto delicato nei miei confronti, direi affettuoso. Capitava di vedersi, in genere grazie a Massimo, ma poteva ovviamente succedere che non ci incontrassimo e ci sentissimo per mesi. Eppure ogni volta era come se ci fossimo salutati la sera prima. Per tornare all’uomo: una persona di rara educazione, gentilezza e anche di cultura.
C’è una bella foto che vi ritrae, nel 2012, a correre la Maratona di Milano “Corri contro la Sla”.
Me lo chiese lui: «Mario, dai facciamo la mezza-Maratona» (la voce di Melazzini si increspa per la commozione, ndr). Lui e altri spinsero la mia carrozzina.
Poi a un certo punto, Vialli si ammala. Lei per l’appunto è anche un oncologo-ematologo, non è capito che le parlasse della sua patologia?
Luca all'inizio è stato giustamente molto riservato sulla sua malattia: si era fatto prendere in carico da questo specialista britannico molto bravo. So che in Italia è venuto solo per qualche consulto. Personalmente non mi sono mai permesso di insistere, nel voler dare consigli: sono stato a mia volta molto discreto. Solo una volta era capitato che mi avesse chiesto se si era affidato alla persone giuste.
A un certo momento, lui decide di rendere pubblica la sua condizione di malato, di usarla per dare messaggi positivi…
Fatto che va, con maggior forza, a declinare che grande persona fosse. Era capitato, all’inizio della nostra amicizia, che mi chiedesse come riuscissi ad andare avanti dentro la malattia. «Come fai a esser così?», mi aveva chiesto una volta, intendendo il fatto che non mi lasciassi abbattere, che non mi arrendessi. E io gli avevo risposto quello che avevo imparato sulla mia pelle.
Vale a dire?
Che, nella vita, gli imprevisti possono accedere e che ti trovi davanti a un bivio: o affronti quello che ti capita e lo vivi, cioè anche la malattia o la rinneghi. Ma così ti fai affogare dalla malattia.
Vialli, a un certo punto, ha deciso di non farsi affogare.
Sì, ha avuto il coraggio di prendere in mano la sua vita, fiducioso che la ricerca e la medicina di può portare, di affidarsi alla scienza. E lui, soprattutto all’inizio, era convinto di potercela fare.
Un messaggio di coraggio, che forse può servire a questa Italia, spesso rancorosa.
Luca ha espresso una forza e una positività senza pari e lo ha fatto fino all’ultimo. Non ha mai mollato, come ci siamo detti tante volte, anche per alcune campagne sulla Sla (l'Ice Bucket Challenge, ndr). Oggi, in questo Paese, si è molto concentrati su tante cose materiali. Lui, Luca, ha dimostrato che l’essere conta molto più del fare. Se ci sei, se ti fai sentire, la tua voce può essere talmente rumorosa in senso positivo, anche da malato. E la malattia ti porta coi piedi per terra, a capire i veri problemi, perché coinvolge chi ti circonda, la tua famiglia, i tuoi amici. La malattia sfronda tutto, ti porta all'essenziale.
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