Famiglia

“Caro Gesù, mamma adesso la fai tornare a casa?”

Lo dice Francesco, 9 anni, che cinque anni fa ha perso la mamma. Le ha sparato papà: un nome che Francesco non è più riuscito a pronunciare. Lui e il fratellino vivono con i nonni. «A volte mi sembrano sereni, ma subito mi prende il dubbio: lo saranno davvero? Me lo chiedo sempre. Perché una cosa così non si cancella», dice nonna Adele. Un libro per dare parola a chi resta, dopo un femminicidio: solo così le cose cambieranno

di Sara De Carli e Sabina Pignataro

A 9 anni ha già le idee chiare: da grande vuole fare il poliziotto, «così arresterò tutti quelli che fanno male alle donne». Sa di che parla. Suo papà era così. Faceva male alla mamma. Dopo aver litigato, a volte, lo prendeva con sé senza dire niente e se lo portava via per giorni: per punirla, per gettarla nell’angoscia. Suo papà, una mattina, alla mamma ha sparato.

«Dicono che sono speciali, ma io non vedo niente di speciale. Sono bambini con un handicap e il loro handicap è la mancanza della mamma. È una cosa a cui non c’è rimedio, guarigione. Orfani lo possono diventare tutti, ma non così. Non in questo modo. Hanno ricevuto una punizione troppo brutta dalla vita»: le parole a nonna Adele non fanno più paura.

Il piccolo ancora non accetta che la mamma sia morta e l’idea che si è fatto per spiegarne l’assenza è altrettanto dolorosa. Dice che “Mamma non sta con Gesù, mica è morta. Noo, mamma sta a casa sua”. È come se pensasse che la mamma lo abbia abbandonato. È su queste cose che abbiamo bisogno di aiuto

Nonna Adele


Da più di cinque anni, dall’istante in cui suo genero le ha ucciso la figlia, sono lei e suo marito che si occupano dei bambini: era una precisa volontà della figlia, che ha lasciato lettere strazianti, scritte anche tre anni prima di essere uccisa.

Francesco e Fulvio oggi hanno 9 e 6 anni. «Il piccolo aveva solo 19 mesi quando è successo, era con me. Il grande era a scuola. Sono andati a prenderlo i Carabinieri e lo hanno portato da una vicina», ricorda la nonna. Francesco, racconta con orgoglio Adele, è un bambino dolce e solare. È bravo a scuola ed è amico di tutti. Pochi giorni fa le ha chiesto due euro: «Tu non ti preoccupare, sono cose mie». Era il compleanno di Adele, le ha comprato le candeline da mettere sulla torta. «Festeggiare senza mia figlia mi mette sempre tristezza, mi sembra di farle un torto. Ma quando la sera l’ho visto arrivare con la torta, cantando… mi sono emozionata. La loro gioia per noi è tutto. A volte li guardo e mi sembra che siano sereni, ma subito mi prende il dubbio: lo saranno davvero? Me lo chiedo sempre. Perché una cosa così non si cancella».

Francesco ha fatto un percorso con uno psicologo, perché Adele ha capito presto che frottole e bugie, pur se dette a fin di bene, rischiano di fare danni enormi. Quando si è ritrovata a dover spiegare al nipote che la mamma non c’era più, gli ha raccontato che siccome lei era molto brava con “i suoi vecchietti”, Gesù le aveva chiesto di andare ad aiutarlo a far star bene gli angeli anziani. Sulle prime Francesco ha detto “ok”, ma dopo qualche giorno è tornato dalla nonna restituendole l’urgenza della verità: «Penso che Gesù adesso abbia imparato come si fa. Mamma può tornare?». No, Francesco, mamma non torna. E papà è in prigione, per sempre. Ma se desideri gli puoi scrivere e più avanti lo puoi pure incontrare, vuoi? «No». Lo psicologo aiuta ad affrontare altre questioni spinosissime.

«Lui è stato condannato all’ergastolo. Un sollievo. Era la nostra paura più grande, ritrovarcelo davanti a casa, a pretendere di incontrare i bambini», confessa Adele. «Mia figlia non siamo riusciti a proteggerla, ma i bambini…». Per il resto la famiglia, come tutte, vive anche di ricordi: «Non abbiamo mai cercato di cancellarli, nemmeno quelli relativi al padre. Anche se non hanno molti ricordi belli di questa persona. A volte il grande tira fuori qualcosa: “Nonno, dai, perché non corri un po’?”. “Che dici, gioia, non si corre in auto”, “Ma nonno, un pochino”. E sottovoce, un po’ complice, aggiunge: “Tu lo sai che quello correva?”», racconta Adele. Quello, perché Francesco la parola “papà” non l’ha più usata. «Allora ridiamo con loro, seppure a malincuore. Cerchiamo in tutti i modi di costruire una loro tranquillità, che la nostra ormai è solo apparente».

Da circa un anno i bambini hanno cambiato cognome, prendendo quello della mamma: «Sentirsi chiamare in quel modo gli faceva male, cambiavano immediatamente espressione». Fulvio, il piccolo, fino a poco tempo fa si limitava a fare spallucce se qualcuno gli chiedeva chi fosse sua mamma, una cosa che fa sbottare il grande: «Ma l’hai capito o no che noi siamo orfani?», gli dice. Lui ancora non accetta che la mamma sia morta e l’idea che si è fatto per spiegarne l’assenza è altrettanto dolorosa: «Dice che “Mamma non sta con Gesù, mica è morta. Noo, mamma sta a casa sua”. È come se pensasse che la mamma lo abbia abbandonato. È su queste cose che abbiamo bisogno di aiuto: noi siamo fortunati, non dobbiamo pagare l’affitto, da mangiare lo abbiamo ogni mese, ma davanti a cose così, che possiamo dire?».

Adele ha ragione, che possono dire? Fare, paradossalmente, è più facile. Lei e suo marito hanno tirato fuori tutte le loro risorse per fare da genitori ai nipoti, lui ha chiesto il prepensionamento, lei è tornata ai pannolini e ai compiti. «Tempo per piangere non ne abbiamo avuto. Dobbiamo dare il meglio, per i bambini. Anche se ogni volta che viviamo un momento bello, il pensiero è sempre che non è giusto, doveva esserci la loro mamma, qui con loro, a provare quella gioia», confessa Adele.

Tempo per piangere non ne abbiamo avuto. Dobbiamo dare il meglio, per i bambini. Anche se ogni volta che viviamo un momento bello, il pensiero è sempre che non è giusto, doveva esserci la loro mamma, qui con loro, a provare quella gioia

Nonna Adele

Lo Stato riconosce 8mila euro a ogni figlio di vittime di femminicidio: i soldi sono arrivati, ma ci hanno messo parecchio tempo. «Ci sta aiutando un’associazione con delle borse di studio e da quest’anno riceviamo 300 euro al mese per ciascun bambino, fino alla maggiore età», dice Adele. Gran parte di quei soldi vanno in un “salvadanaio” che i nonni hanno creato per i nipoti: «Li usiamo per il corso d’inglese, lo sport, il computer… per le spese quotidiane facciamo noi. Dobbiamo pensare al loro futuro, a quando noi non ci saremo più. È il mio tarlo. “Signore, non sono pronta a morire, devo crescere ‘ste creature”, lo dico ogni mattina». Adele si chiede come avrebbero fatto se suo marito non avesse avuto la pensione che ha. Se avessero dovuto fare i conti anche con il pensiero di dover mettere insieme il pranzo e la cena. «Campare si campa, ma che avvenire avremmo potuto costruire per loro? Per questo io penso che forse oggi per lo Stato ancora più invisibili siano i ragazzi che arrivano ai 18 anni, come se quel giorno tutti i problemi sparissero per magia. Non è così».

Adele e suo marito si sono assunti il carico della testimonianza oltre a quello della cura. Partecipano a incontri pubblici, soprattutto vanno nelle scuole. Vogliono dare il loro contributo perché ovunque ci siano problemi di violenza giunga il messaggio che chiedere aiuto non solo si può: si deve. «Vale per le donne ma soprattutto per gli uomini. È a loro che dobbiamo arrivare. Devono riconoscere che la violenza nell’amore non è normale, mettere da parte l’orgoglio e cercare aiuto. Francesco me lo ha chiesto: “Ma mamma, perché non se n’è andata? Perché non ha cambiato marito?”. Eh, forse perché mamma amava papà tuo. Che gli vuoi dire? Ma lui no, l’amore non è questo».

(I nomi usati nella storia sono di fantasia)

Questa testimonianza è una delle sei raccolte nell'instant book “A braccia aperte. Un faro acceso sui figli delle vittime di femminicidio”, a cura di Sara De Carli e Sabina Pignataro, scaricabile gratuitamente da www.conibambini.org e dallo store di vita.it registrandosi da questo link. Il volume è realizzato in collaborazione con l’impresa sociale Con i Bambini, che con il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile ha stanziato 10 milioni di euro per quattro peogetti in favore degli orfani delle vittime di crimini domestici.

Il Fondo, di cui Con i Bambini è soggetto attuatore, nasce nel 2016 grazie a un accordo tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, Governo e Forum del Terzo Settore, per il sostegno di interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Con i Bambini è una società senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione Con il Sud.

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