Mondo

La guerra e i suoi rumori (anche) nello smartphone

È negli smartphone di questo popolo in guerra che si depositano non solo mille app di difesa - e pure quella per il traduttore simultaneo per intendersi con gli agenti umanitari stranieri - ma anche le immagini della devastazione che avanza, le notifiche di allarmi, le mappe dinamiche, le notizie degli orrori, le chat con amici e parenti lontani

di Maria Laura Conte

Quando entri in Ucraina i locali ti suggeriscono di scaricare sul cellulare l’applicazione che segnala gli allarmi aerei. Il paese è grande, le sirene si sentono nei centri delle città, ma non sempre raggiungono le periferie e i sobborghi, al contrario dei missili.

Il consiglio ha il suo perché: il tuo smartphone diventa così il tuo security advisor. L’applicazione va impostata a secondo della regione in cui ti trovi, e appena un oggetto non identificato varca i cieli sotto cui ti trovi, parte la sirena nella tua tasca.

Non c’è foto, reportage, analisi che produca lo stesso effetto di questo rumore quanto a immedesimazione con quel che vive il popolo ucraino ora. Un’insopportabile e destabilizzante sequenza di suoni, di volume sempre più alto, che porta un messaggio sintetico: “sei in pericolo/cerca un riparo”. Rintanati in bunker, una cantina, un luogo sicuro lontano da siti sensibili, industrie, ferrovie, snodi stradali… E ricordati di verificare che ci sia un varco per fuggire, nel caso in cui tutto l’edificio crollasse.

L’Ucraina conta su una comunità vivace di software house ( come GSC Game World, Frogwares e Vostok Games noti in tutto il mondo per la produzione di video giochi), e i suoi sviluppatori si sono convertiti in creatori di strumenti di sostegno alla popolazione, di applicazioni evolute che servono a tenere in allerta gli ucraini e mappare l’evoluzione della situazione degli attacchi. Come Air Alert: un’app che riporta la mappa dell’Ucraina regione per regione.


Queste si colorano di rosso quando scatta l’allarme aereo, tornano bianche una volta che l’allarme cessa. La regione all’estremo oriente, al confine con la Russia, è perennemente rossa in queste settimane. Quelle confinanti si colorano più di una volta al giorno. Capita che la macchia rosso-allarme si allarghi, minuto dopo minuto: comincia una regione, poi quella vicina, e via, a volte fino a coprire tutta l’Ucraina.

Tenere gli occhi su questa app, controllare se e quanto velocemente questo puzzle della paura si completa, diventa un gesto compulsivo quando sei dentro al paese.

Un’incalzante e costante tensione si condensa negli smartphone di questo popolo in guerra: qui si depositano non solo mille app di difesa – e pure quella per il traduttore simultaneo per intendersi con gli agenti umanitari stranieri – ma anche le immagini della devastazione che avanza, le notifiche di allarmi, le mappe dinamiche, le notizie degli orrori, le chat con amici e parenti lontani, scappati all’estero o rimasti nella loro città.

È con questo cellulare in mano che moltissime delle persone sfollate ti avvicinano. Desiderano mostrarti le prove, il loro villaggio, scatti che si aggiornano giorno dopo giorno sulla situazione che hanno lasciato indietro nella fuga. Quasi volessero convincerti che la guerra è vera, perché anche loro stentano a crederci, e dividere con te il peso insostenibile della foto delle macerie del loro quartiere.

Tu che non sei ucraino, quando sei lì ascolti, registri, documenti, condividi il condivisibile, ma resti sempre straniero, estraneo a quel dolore. Infatti, sbrigato il lavoro, te ne torni a casa.

Ti riaccomodi nella tua normalità, su un treno o in ufficio, al supermercato di giorno o a letto di notte, e accade che la app dell’allarme aereo rimasta sul tuo cellulare si attivi. Torna la sirena e tu per una frazione di secondo sei a Lviv, Cernitzi, Kiev, Karkhiv. Erano città sconosciute fino a due mesi fa. Avrebbero potuto essere casa tua.

*direttrice della comunicazione di Fondazione AVSI

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