Volontariato
A Castel del Giudice l’unica strada per fare le cose è farle
Disoccupazione zero. Spopolamento frenato. Uscita dalla fascia dei comuni marginali d'Italia. Lino Nicola Gentile è il sindaco del municipio in provincia di Isernia. In questo dialogo spiega come ha fatto a trasformare il "borgo che visse due volte" in una comunità che guarda al futuro con piedi certi e testa pensante: «Avverto nei ragazzi e nelle ragazze di Castel del Giudice una forte consapevolezza che le cose possono essere fatte e che farle sia l’unica strada che tutti abbiamo, è una grande soddisfazione»
Terzo appuntamento del format di VITA “Piccoli comuni, grandi Sindaci”. Dopo Gianfilippo Mignogna, sindaco di Biccari e Lucilla Parisi, sindaca di Roseto Valfortore, oggi con noi Lino Nicola Gentile, sindaco di Castel del Giudice, provincia di Isernia.
Continua anche a Natale il nostro viaggio nei piccoli comuni italiani, quelli dello spopolamento ma anche quelli del "controesodo". Oggi siamo in uno di questi ultimi.
Castel del Giudice ha origini incerte e per lo più avvolte nel mistero. Manca totalmente il materiale cartaceo che documenti la sua storia. Questa assenza di reperti è dovuta principalmente ai numerosi terremoti che hanno distrutto nel tempo gli edifici del paese. Durante la seconda guerra mondiale, inoltre, il borgo molisano fu preso di mira dai tedeschi nel 1943, per la sua posizione strategico-militare. Fu quasi distrutto ma poi ricostruito, diventando esempio di sacrificio e affermazione di libertà e democrazia. Incontro Lino Nicola Gentile online, la puntata in Molise non mi riesce purtroppo, così mi sono dovuta destreggiare tra email ed sms per raggiungerlo perché lui non ha cellulare collegato a whatsapp, che per noi è pura mancanza di ossigeno. Ma lui, sorridente, si offre alla telecamera molto serenamente e per tutta l'intervista mi colpisce la sua assenza di distrazione dallo schermo, mai una volta che abbia guardato il cellulare o altrove, resta ben piantato nel nostro dialogo. Fermo.
Castel del Giudice è famoso come il paese che visse due volte perché è sopravvissuto alla distruzione tedesca del 1943. Sembra però che di rinascita ce ne sia un’altra, quella di questi ultimi anni: un piccolissimo comune che sta sopravvivendo allo spopolamento e alla scomparsa…
Castel del Giudice negli ultimi anni ha compiuto grandissimi passi in avanti, ha ragione. Le dico subito per esempio che siamo usciti ufficialmente dalla fascia dei “comuni marginali” perché abbiamo realizzato quasi il cento per cento dell’occupazione, quindi il reddito medio si è alzato, facendoci uscire dal range dei marginali.
Il cento per cento dell’occupazione?
Sì, l’obiettivo che ci siamo posti in questi anni è stato sicuramente quello di combattere lo spopolamento, ma anche di garantire il lavoro.
Se attrai nuovi abitanti, devi anche garantire loro una ottima qualità della vita, che parte dal lavoro. Noi chiudiamo il 2021 con un saldo positivo di abitanti, più 2,5%, ma sicuramente siamo riusciti anche a creare politiche di sviluppo concrete che hanno migliorato la qualità della vita dei cittadini e delle cittadine di Castel del Giudice. E lo abbiamo fatto valorizzando le “marginalità” che sono diventate elementi di forza e vantaggio competitivo che ha consentito sviluppo economico.
Questo da quanto tempo?
Io sono sindaco dal 1999, venivo da cinque anni di esperienza come consigliere comunale. Nel 1999 noi cominciamo a preoccuparci del nostro Comune che era sul punto di non ritorno, non avevamo neanche più il bar del paese, non avevamo l’alimentari, non avevamo più niente. Eravamo poco più di 300 abitanti nel 1999, ora siamo poco più di 350, ma abbiamo una qualità di vita migliore ed una età media migliore. Se non avessimo messo in campo le iniziative che abbiamo fatto in questi anni noi avremmo oggi massimo 150 abitanti. Abbiamo puntato sulla qualità della vita degli abitanti, più che sulla quantità. A parità di condizioni, dobbiamo far capire che vivere a Castel del Giudice conviene.
Bene, ma da dove siete partiti e cosa avete fatto?
Castel del Giudice da decenni era il simbolo della marginalità di un territorio già marginale. Da qualche decennio le scuole di Castel del Giudice erano chiuse per mancanza di bambini. Siamo partiti dalla prima iniziativa, una struttura socio-sanitaria per gli anziani. Avevamo due strutture scolastiche, materna ed elementare, chiuse per mancanza di iscritti e che rappresentavano anche un costo di manutenzione e depauperamento del patrimonio comunale. Li abbiamo trasformati in una RA, residenza per anziani, ed una RSA, Residenza Sanitaria Assistenziale. Siamo stati per vent’anni l’unica RSA di tutto il Molise che non aveva alcuna norma, prassi o procedura in materia. È stato complicato, ma oggi lì, ad esempio, abbiamo oltre venti dipendenti…
Lei mi sta dicendo che all’improvviso, nel comune più marginale del territorio più marginale d’Italia, un sindaco decide di mettere su due strutture sociosanitarie e tutto cambia come per magia? Sembra incredibile, deve ammetterlo…
È il “come” lo abbiamo fatto, ad essere la vera innovazione sociale: una public company, una società partecipata dal comune, da 25-30 cittadini e da quelli che io chiamo “imprenditori affettivi”. Gli “imprenditori affettivi” sono il rovescio della medaglia dell'emigrazione che ha depauperato i nostri territori, ma che ha consentito ai nostri compaesani di eccellere altrove e di trasformarsi in un “patrimonio relazionale” per tutti noi. Il primo “imprenditore affettivo” che abbiamo coinvolto peraltro non era neanche di Castel del Giudice ma di Capracotta, qui vicino, ed aveva un'azienda a Lainate, in provincia di Milano. Quando gli ho raccontato della RSA se ne è innamorato e ha deciso di investirci. Anzi, non solo ci ha aiutato con la RSA ma addirittura ha collocato qui da noi un segmento della sua azienda in cui lavorano adesso 35 ragazzi.
Ma come l’ha convinto?
Lui aveva grande voglia di dare una mano al suo territorio di origine, poi è stato convinto dall’idea di questi 25-30 cittadini che si stavano mettendo in gioco e poi, cosa non da poco, c’era un terzo attore: una Banca di Credito Cooperativo di Castel di Sangro che ci ha creduto e che ha concesso tassi e condizioni di interessi sostenibili ed etici, oltre alla facilità di concessione del credito, fermi restando i principi di restituzione ovviamente. Quando la RSA è partitaabbiamo acquisito quella "autorevolezza", quella capacità di raggiungere un obiettivo a breve termine insieme alla “visione”.
Le persone hanno fretta di risultati, insomma…
Il tempo non è un alleato dei nostri territori, non possiamo più aspettare. A maggio 2000 abbiamo costituito la società partecipata da Comune, 25-30 cittadini e l’imprenditore affettivo, nel 2001 abbiamo aperto. Abbiamo fatto anche un piccolo prestito alla società attraverso un finanziamento partecipativo, assicurando ai cittadini che partecipavano una “restituzione” sul modello del “dopo di noi”: o con abbuono sulle rette scolastiche o sulle rette stesse della RSA.
Ha un pool di commercialisti ed esperti di finanza, sindaco?
Io sono un commercialista (sorride), quindi qualche strumento dovrei conoscerlo…
Dunque tutto parte da queste due strutture trasformate in RA e RSA, con un’occupazione di circa venti dipendenti e una società partecipata a tre gambe…
Devo aggiungere una cosa che mi sta molto a cuore. Noi non abbiamo mai fatto alcuna distinzione se i lavoratori erano o no abitanti di Castel del Giudice. Da qualche tempo invece ci stiamo ponendo attenzione. Di recente, ad esempio, è entrata a lavorare nella RSA la terza infermiera venezuelana, arrivata con un corridoio umanitario. Oggi dunque sono quattro le famiglie venezuelane che vivono stabilmente a Castel del Giudice, di cui tre sono famiglie di lavoratori e lavoratrici della RSA, stiamo facendo il riconoscimento giuridico con le norme Covid sugli operatori sanitari. Dopo la RSA, però, non ci siamo fermati: c’è Melise, c’è Maltolento, c’è Borgo Tufi.
Sindaco, ma così spoilera tutto…
Mi piace questa idea di raccontare proprio tutto com’è nato, alle volte si vedono solo i singoli pezzi, mentre la storia è unica.
Va bene, perdonato! Melise è il progetto dell’azienda agricola sulle mele, giusto?
Avevamo terreni abbandonati ed esposti al rischio idrogeologico: un imprenditore di Monselice, in provincia di Padova, cercava terreni vocati ad agricoltura biologica di mele e gli era stato detto “vai a Castel del Giudice, se bussi qualcuno ti risponde”. E infatti abbiamo risposto.
Sindaco, ma non è che se io sono di Padova e ho da investire in mele, guarda caso il primo passante mi suggerisce il nome di Castel del Giudice…come ci arrivo da voi?
Lui era in Molise alla ricerca di territori fertili e qualcuno gli ha indicato Castel del Giudice perché sapeva che noi avevamo nel Dna la facilitazione e l’atterraggio di progetti di sviluppo e di nuova economia. Il sindaco è l’unico attivatore di sviluppo locale nel proprio territorio. Non abbiamo soggetti intermedi, non abbiamo neanche la forza di una struttura comunale. Noi siamo soli, pur all’interno di una visione siamo da soli, non c’è qualcuno che ci indica la strada, lo sforzo che facciamo lo facciamo da soli, a mani nude.
Quando l’imprenditore delle mele è arrivato a Castel del Giudice e mi ha descritto la sua idea, era fine aprile. Noi non abbiamo molti terreni e io gli dissi che ad agosto sarebbero rientrati tutti i paesani che vivevano fuori, che avrei fatto un’indagine e che sicuramente avremmo “fatto nostra” la sua idea. Era una domenica, lui mi chiamò il mercoledì successivo dicendomi che aveva già comprato dodicimila piante. Lui mi disse “appena siamo pronti, anche se non abbiamo tutti i semafori verdi partiamo lo stesso”. Vede il nostro problema è che siamo abituati a parlare per intere generazioni di una cosa e a non avere mai il coraggio di partire per farla, sporcandoci le mani e scendendo il campo. Ma il punto è che noi tempo di aspettare non ne abbiamo più. Europa, Pon, Psr, PNRR: per noi sono sempre “il sabato del villaggio”, sono la grande prospettiva che non arriva mai, una “attesa salvifica” che aspettiamo per tutta la vita. Ma il futuro non sta in questo, sta nel cuore oltre l’ostacolo…
Sta in quelle mele, insomma…
Esatto! L’impresa parte e nasce sul modello della prima, quella della RSA, ed è stato facilissimo: cittadini-imprenditori-banche. Settanta cittadini, si sono uniti anche quelli di paesi vicini, altri imprenditori affettivi e abbiamo ripetuto il modello, ma su 40 ettari di mele e da due anni produciamo anche orzo per la birra agricola.
E l’orzo da dove spunta?
La tradizione agricola di Castel del Giudice ci vedeva produttori di orzo per alimentazione animale. Quindi era un nostro genius loci. Ma dal momento che negli ultimi anni la cultura della birra si è molto diffusa abbiamo pensato di recuperare una vecchia tradizione votandola però alla maltazione per la produzione della birra.
E nasce un’altra impresa: Maltolento…
Sì. Anche qui, un altro imprenditore affettivo: il presidente della CNA di Torino che è originario di Castel del Giudice. Sempre a Torino conosciamo Nicola Rossi che stava frequentando un corso per diventare mastro birraio e che è di San Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento, ma che oggi vive a Castel del Giudice. Il logo di Maltolento è stato creato a Torino, lo start-up ce lo garantisce un birrificio agricolo in provincia di Torino. Le relazioni sono una potenzialità straordinaria della “imprenditoria affettiva”, da soli non andremmo da nessuna parte. Ora stiamo sperimentando la produzione di luppolo, che si produce nelle zone più fredde d’Europa: Repubblica Ceca e Germania. A noi il freddo non manca e così abbiamo un nostro campo sperimentale. Produciamo anche zafferano e more, stiamo diventando un’azienda agricola multifunzionale.
Job placement?
Tra mele, malto e luppolo, in Melise, l’azienda agricola, lavorano dieci-dodici ragazzi autoctoni e due ragazzi del progetto SAI (Sistema di Accoglienza Integrazione), del quale siamo al secondo triennio di progetto. La birra agricola possiamo produrla perché la fa Melise.
Quindi: 30 lavoratori nella RSA, dieci-dodici nell’azienda agricola, sei-sette nel progetto SAI, 35 nell'azienda dell'imprenditore affettivo. Un centinaio di posti di lavoro su 350 abitanti è davvero “disoccupazione zero”…
Sì, disoccupazione zero. A Castel del Giudice è disoccupato solo chi vuole esserlo.
E poi c’è Borgo Tufi…
Borgo Tufi è l’investimento più imponente di Castel del Giudice. E anche quello più “iconico”.
L’ho visto…Quanti soldi sono stati investiti?
Molti. Ad oggi, dieci milioni di euro di investimento e sono in corso lavori per altri cinque milioni. Siamo tra pubblico e privato. Anche qui abbiamo messo insieme: marginalità, debolezza, abbandono dell’uso delle stalle del paese. Castel del Giudice aveva la caratteristica di avere le stalle concentrate su una parte del paese, adiacente al centro. Erano cinquanta stalle utilizzate in modo marginale, ma che rappresentavano un elemento di forte autenticità di Castel del Giudice. Abbiamo subito pensato di rigenerarlo in una struttura ricettiva, un albergo diffuso.
E arriva un altro imprenditore affettivo…
(ride) No no, qui arriva da uno strumento che dà soluzione alle problematiche tipiche delle aree interne, tipiche delle aree appenniniche: la frammentazione e il disordine fondiario. Ogni stalla era iperfrazionata nella proprietà: non c’erano successioni, accatastamenti non fatti, immobili che non si trovavano. Abbiamo applicato l’articolo 120 del Testo Unico degli Enti Locali-TUEL, che prevede le società di trasformazione urbana: i Comuni possono costituire con i privati, scelti con bando pubblico, società che hanno per oggetto sociale la rigenerazione di pezzi del proprio territorio. E così abbiamo fatto. Comune e due soci qualificati: l’imprenditore affettivo storico e poi una impresa di costruzioni di Castel di Sangro. La società l’abbiamo costituita nel 2003, abbiamo aperto al pubblico nel 2017: lei immagini trasformare le stalle in un albergo! Immagini le pratiche amministrative, le varianti d’uso, le progettazioni…
E i proprietari delle stalle?
Li abbiamo chiamati a raccolta il giorno della inaugurazione della RSA per far capire loro che sul progetto del Borgo avremmo messo lo stesso identico impegno. Ma abbiamo chiesto se erano d’accordo: il 90% disse di sì, soprattutto gli anziani. Noi crediamo sempre che gli anziani siano “nemici” dell’innovazione. Invece per tanti anni sono stati i miei principali alleati. La spinta maggiore che ho avuto nella mia vita da sindaco è sempre arrivata dagli anziani. Le racconto questo episodio: c’era un anziano il cui figlio non era d’accordo sull’operazione Borgo Tufi. Ne hanno discusso a lungo, ma niente, il figlio era irremovibile. Quando, dopo tanto tempo, abbiamo raggiunto un accordo, il signore anziano si presentò al Comune per firmare con il vestito della festa, “lu giacchett”, per dare proprio la rappresentazione estetica del momento solenne, importante, in cui anche lui stava progettando il futuro della sua comunità.
Da dove sono arrivati i quindici milioni di euro per il Borgo?
Il Comune si è preoccupato della parte infrastrutturale, il privato si è preoccupato della parte alberghiera, trasformando le stalle in albergo. Un piccolo comune deve concentrarsi su un unico progetto: quindi abbiamo canalizzato tutti i finanziamenti che ci sono capitati in questi anni su quell’unico progetto. A Castel del Giudice mancava non solo la ricettività, ma anche la attrattività. Borgo Tufi è un albergo diffuso di 33 camere e due ristoranti, è anche centro convegni, ci hanno finanziato un ampliamento della sala formazione per realizzare la biblioteca chiamata “Casa della conoscenza”. E, su tutto, intendiamo farlo diventare un laboratorio per start-up, a cui i giovani possano rivolgersi per mettere le loro attività.
E ci sono anche la Cooperativa di Comunità e il SAI…
La Cooperativa “della” comunità, dico io! Ha l’obiettivo di garantire alcuni servizi di comunità: servizi comunali, accompagno scuolabus, l’unico emporio del comune, affitto biciclette, turismo esperienziale e gestisce il Sai. Tenga conto che col primo progetto SAI due famiglie sono uscite dal progetto e hanno trovato lavoro in Melise, altre due nell’azienda che l’imprenditore affettivo ha impiantato qui da noi. Con il secondo Sai sono arrivate e rimaste due famiglie afghane e una venezuelana. E tutto ruota intorno alla Cooperativa di comunità, anche perché adesso abbiamo più di trenta bambini.
Sì, ma non avete più la scuola però, perché ci avete fatto la RSA.
È vero, ma la Cooperativa di comunità fa servizio navetta e li portiamo ad Ateleta, però abbiamo aperto il doposcuola in un immobile che ci hanno donato e con un finanziamento del PON legalità. Il doposcuola è un presidio per tutti.
Ma, a parte il figlio del signore anziano, lei un’opposizione l’ha avuta? Perché sembra tutto rose e fiori…
Guardi, non nascondo che la mia professione mi agevola molto: bilanci, questioni fiscali, consapevolezza degli aspetti amministrativi. Sì, certo, minoranza ne ho avuta, anche molto forte, che poi però ha preso coscienza di quello che stavamo facendo. Le racconto un altro episodio: nei piccoli comuni quando viene eletto il sindaco si usa che si vada a “portare gli auguri”. Quando sono stato eletto, nel 1999, da me venne un anziano del paese, mi fece gli auguri e mi disse “sindaco, si ricordi che in questo paese per una persona che vuole fare qualcosa ce ne sono tre che non gliela vogliono far fare”. Oggi avverto nei ragazzi e nelle ragazze di Castel del Giudice una forte consapevolezza che le cose invece possono essere fatte e che farle sia l’unica strada che tutti abbiamo.
In queste immagini il tappeto di stelle che si ammira nel cielo di Castel del Giudice. Se potete, spegnete le luci intorno, per guardarle.
Buon Natale
Sabato 31 dicembre chiuderemo l'anno con Dino Ambrosino, il sindaco di Procida Capitale italiana della Cultura 2022. Vi aspettiamo!
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