Sostenibilità

Makamom, un “I Care” senegalese

Da un grande amore nasce un'azienda di moda etica che fa dialogare la Puglia e il Senegal. I fondatori, Modu e Francesca, le hanno dato un nome che, in wolof, significa "mi appartiene"

di Veronica Rossi

Una grande gonna a ruota, con sei metri di tessuto e un inserto che la rende ancora più ampia e ricorda il movimento della pizzica e delle danze tradizionali africane: è questo il prodotto di punta di Makamom, boutique di moda che nasce dall’amore tra Modou Beye, sarto senegalese, e Francesca Carbone, antropologa pugliese.

“Ci siamo conosciuti e sposati in Senegal”, racconta la donna, “dove il progetto era iniziato come hobby, dalla nostra voglia di creare insieme prodotti artigianali. Poi siamo venuti in Italia e mio marito, dopo aver provato una serie di lavori malpagati e squalificanti, ha deciso di fare della sua passione una professione”. La parola Makamom in wolof – la lingua di Beye – significa «mi appartiene»: i materiali più utilizzati per realizzare vestiti e accessori sono il legno d’ulivo, simbolo della Puglia, e il wax, tessuto in cotone molto diffuso in Africa. Insomma, nel lavoro e nell’impegno di questa giovane coppia quel “mi appartiene”, suona come un appello alla responsabilità, riecheggia il celebre “I Care” donmilaniano.

“Questo tipo di stoffa”, spiega Carbone, “è stato importato nelle zone subsahariane dagli europei: ci piaceva utilizzare un prodotto dei colonizzatori per il riscatto di chi abita nelle ex colonie”. Il fine ultimo del progetto, infatti, è di tipo sociale. “Il nostro obiettivo”, conclude infatti la donna, “è tornare in Senegal e aprire una sartoria dove i ragazzi possano andare a imparare un mestiere, come ha fatto in passato mio marito. Vorremmo dare ai giovani la possibilità di far parte di un’impresa che abbia contatti con il Nord del mondo e che gli dia la possibilità di crescere professionalmente”.

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