Mondo

Il mio diario di bordo (e di vita) da una nave umanitaria

Valentina Brinis è advocacy officer e project manager dell’ong Open Arms. Esce oggi il suo libro “Come onde del mare - Diario di bordo un'esperienza umanitaria”. «La propaganda contro l’aiuto umanitario ha creato danni seri, non solo al nostro lavoro, ma alla società intera», racconta l’autrice

di Anna Spena

Dal primo gennaio 2022 ad 13 aprile sono riuscite a sbarcare sulle coste italiane 8441 persone, 991 sono minori non accompagnati. Dall’inizio dell’anno si contano 476 vittime nel Mediterraneo Centrale. Il dato ufficiale, già drammatico, è sicuramente più alto. Morti evitabili, se lasciassimo libere le ong di presidiare il Mediterraneo. Evitabili se non avessimo firmato e poi riconfermato il memorandum Italia – Libia.

Esce oggi per Castelvecchi EditoreCome onde del mare – Diario di bordo un'esperienza umanitaria”, di Valentina Brinis, advocacy officer e project manager per l’ong Open Arms. Un libro che rimette al centro l’aiuto umanitario nel Mediterraneo, un racconto di come funziona quell’aiuto, di quanto è importante.

Nelle pagine la quotidianità di una missione e allo stesso una riflessione profonda sulla realtà dell’accoglienza nel nostro Paese. L’autrice racconta cosa significa lavorare per i diritti umani, chi sono le persone che operano in questo settore, cosa li muove e cosa li unisce, in una narrazione competente e intima allo stesso tempo.


«L’esperienza di chi salva vite via mare e via terra», dice, «è fatta di turni di guardia, corpetti salvagente e spazi ridotti, di scartoffie e lunghe ore di noia, di momenti campali che rischiano di sfociare nel dramma, di desideri e di frustrazioni, soprattutto è un mestiere fatto di persone. Quella dell’operatore umanitario è una figura spesso fraintesa: ridotta ai buoni sentimenti da un lato e alle statistiche dall’altro, si tratta in realtà di una professione che richiede sia altissimi livelli di competenza tecnica che la valorizzazione degli aspetti più umani del lavoro».

Quella di chi salva vite in mare è un’esperienza che porta a incontrare l’altro, ma anche e soprattutto a fare i conti con sé stessi. «Ho capito», racconta l’autrice, «che le storie incontrate nel vasto mondo si sono intrecciate alla mia più di quanto immaginassi, fino a diventare una parte fondamentale di me: quella più tenace e combattiva. Quella parte che corre il pericolo di diventare disincantata fino al cinismo perché è difficile riconoscere la sostanza vera di questo lavoro: umanamente faticoso, coinvolgente e sconvolgente».

Il filo conduttore del libro è missione 84 a bordo di Astral. «Siamo partiti», racconta Brinis, «nel primo pomeriggio del 23 agosto 2021 dal porto di Badalona, in Spagna.

Ogni “viaggio”, ogni sbarco, è la storia di una parte di umanità alla ricerca di una vita migliore, non sempre trovata, ma in ogni caso tentata. Da quando ho vent’anni, mi sono sempre e solo occupata di persone, tendenzialmente emarginate, spesso non per loro volontà ma perché la vita questo gli aveva riservato. Ho sempre cercato di alleviare le fatiche di alcuni, e quasi sempre ne ho avuto in cambio delle soddisfazioni non da poco. E ho sempre creduto fondamentale la condivisione di quelle storie con chi avrebbe, forse, potuto fare più di me. Con chi quel potere di cambiare, di modificare la rotta, ce l’ha. Ecco perché mi sono sempre ostinata a voler lavorare con le istituzioni, a volte da dentro e altre da fuori. Quando ho iniziato con Open Arms sono entrata in contatto con un mondo totalmente nuovo per me, composto da persone che hanno deciso di mettere a disposizione la loro professione per poter migliorare radicalmente la società in cui vivono. A guardare le persone incontrate, a passare tanti giorni in mare, è difficile immaginare che attraversare il mare in quelle condizioni possa voler dire mettersi in salvo. Siamo abituati a sapere di madri e padri che sperano, desiderano e fanno ben altro per i loro figli. Ma le immagini della migrazione di tutto il mondo ci trasmettono un messaggio diverso: l’impossibilità di potersi spostare liberamente quando si vive in contesti complessi fa sì che ogni occasione di salvezza venga colta, nonostante questa appaia agli occhi di molti la più pericolosa. Quello, a ben vedere, è il gesto massimo di protezione che le condizioni geopolitiche concedono».

In Italia si parla molto di migrazioni, ma si fa abbastanza? Quanto hanno influito tutte le informazioni false circolate, la retorica dei “taxi del mare” sull’idea che l’opinione pubblica si è fatta dall’aiuto umanitario? «La propaganda contro l’aiuto umanitario», dice Brinis, «ha creato danni seri, non solo al nostro lavoro, ma alla società intera. Impedire che il nostro lavoro venga svolto significa favorire processi di emarginazione che colpiscono ogni cittadino. Non sapere accogliere significa lasciare che più persone si abbandonino nelle stazioni delle nostre città e quindi significa anche città meno sicure. Non può essere una lotta tra chi lavora nell’umanitario e chi no. Dovremmo lavorare tutti per un obiettivo comune che è la costruzione di una società che non esclude, ma include».

Le immagini dell’’Afghanistan della scorsa estate, la guerra in Ucraina, ci mettono davanti all’urgenza di un confronto con la realtà delle migrazioni, delle politiche e della professionalità che riguardano l’accoglienza. «L’emergenza in Ucraina dovrebbe farci capire che le persone fuggono per necessità. E chi fugge lo fa rischiando la vita. Abbiamo più che mai bisogno di dispositivi europei in grado di tutelare la vita delle persone che si mettono in viaggio».

Valentina Brinis è laureata in Sociologia, si occupa di immigrazione e nello specifico di richiedenti asilo e rifugiati. E’ stata coordinatrice dello sportello legale di A Buon Diritto Onlus, collaboratrice della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e della Commissione parlamentare d’Inchiesta sul sistema di accoglienza. Fino alla fine del 2018 è stata Integration Expert presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati; attualmente è Advocacy Officer e project manager presso la Ong spagnola Open Arms. È autrice, insieme a Luigi Manconi, di Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati e di altri saggi e articoli sul fenomeno delle migrazioni.

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