Cultura
Battaglia, non la “fotografa della mafia” ma della vita
Letizia Battaglia, la più grande fotografa italiana, si è spenta a 87 anni. Ha raccontato le stragi di mafia nella sua città, Palermo. Città che amava in modo viscerale, da cui è fuggita e poi tornata. Qui ha aperto il Centro internazionale di fotografia ai cantieri culturali della Zisa. Con le sue fotografie ha abbracciato la realtà, sorprendendola
di Anna Spena
Con Vita l’abbiamo intervistata diverse volte, e nel 2018 siamo andati ad incontrarla nella sua amatissima Palermo. Dicono di lei che sia la più grande fotografa di mafia, e in effetti lo è stata. Ha raccontato come nessuno l'inizio degli anni di piombo della sua città. Ha scattato foto dei delitti di mafia, dei clan, è stata la prima fotoreporter ad arrivare sul luogo dove è stato assassinato Piersanti Mattarella. Ma è stata, ed è, molto di più. Prima di tutto una donna di una generosità straordinaria che davanti alla chiamata dell’altro non è mai rimasta in silenzio. Letizia Battaglia è una che si è sempre data. E non solo con le foto che ha scattato, ma lo ha fatto ogni volta che agitava le mani mentre raccontava storie quasi a voler tracciare dei percorsi dentro l’aria. Si è data con tutto il corpo che l’ha portata fino alla fine a muoversi sempre. Girare l’Italia, l’Europa, il mondo per incontrare le persone, i ragazzi soprattutto. Se potessimo fotografare noi Letizia Battaglia, attraverso le parole che ci ha regalato, ne avremmo un’immagine precisa, sincera e naturalmente in bianco e nero. Un’immagine con dentro tutta la forza, la malinconia e il desiderio che la vita impone. È una donna nata con la grazia dentro, capace con le sue fotografie di abbracciare la realtà, sorprendendola.
«Da piccola volevo fare la scrittrice», ci ha detto in un’intervista nel 2018. «Ma a 10 anni per strada a Palermo un uomo si abbassò i pantaloni e mi fece vedere il sesso. Quando lo raccontai a mio padre lui mi chiuse in casa, mi tolse la libertà. E io non desiderai altro che andarmene». Per farlo si sposa a 16 anni: «E ho tre figlie: Cinzia, Shobha e Patrizia. Io le volevo, le allattavo, sono una madre. Le ho amate moltissimo ma chissà quanti errori ho fatto. Ero una madre ma volevo anche andare a scuola. Mio marito mi disse no. Che ero una signora ben vestita, avevo la cameriera. A scuola non potevo andare. Quel matrimonio non fu felice». A 35 anni Letizia Battaglia inizia a cercare lavoro e, quel sogno intimo e mai abbandonato per la scrittura la porta alle prime collaborazioni con il giornale palermitano L’Ora. «Dopo tre anni di psicoanalisi meravigliosa che mi ha salvato ho avuto la forza di lasciare mio marito e mi sono trasferita a Milano». Un’amica, Marilù Balsamo, le regala una macchina fotografica. «Ho cominciato a fotografare senza passione per vendere gli articoli e pagare l’affitto. A Milano stavo benissimo. Ma Palermo per me era l’avventura. Così sono tornata e ho continuato a fotografare. Anzi ho incominciato a fotografare. Con passione».
Palermo è stato il suo grande amore. Qui, ai quartieri culturali della Zisa ha inaugurato il Centro Internazionale di fotografia. «Io amo molto questa città», aveva raccontato nell’incontro del 2018. «È questo il punto: che io amo molto questa città. Ma Palermo è malata. Un posto dove hanno ammazzato i migliori della nostra terra. Per guarire dalla malattia ognuno fa quello che può. Noi facciamo questa lotta con la fotografia, con la cultura. A prescindere da qualsiasi riconoscimento degli altri dobbiamo camminare seriamente ognuno con le proprie cose. È un impegno che nasce per andare al di là della fotografia. È un impegno di vita. Morale. Etico. Perché se cresci culturalmente non sei già un poco più guarito? Io sono una fotografa è vero. Ma ognuno ha il proprio specifico. Io con la fotografia ho fatto molto, ho denunciato la mafia. Ma si può fare tanto con la musica, la scrittura, il cinema. Con tutto. Ogni volta che si fa qualcosa bene si può raccontare il mondo. Lo si può onorare, lo si può difendere. Mi interessa accogliere gli altri. Ho sempre avuto il desiderio di voler fare le cose con gli altri. Anzi ho fatto sempre cose con “le altre” perché io lavoro molto con le donne, mi piacciono le femmine. Mi piace impegnarmi con loro. Fotografarle. Le ho fotografate nei manicomi, al teatro».
Qui una delle ultime interviste che ci ha rilasciato
Letizia, ma non è mai stanca?
Io sono sempre stanca. Nel corpo. Nella testa. Mi affatico in fretta, respiro poco e male. Però la vita non la posso trascurare, devo viverla. E rispondere alle richieste, alle attese, alle persone.
Perché?
Sento che devo esserci per gli altri, contribuire. Ma non perché sono brava e buona. Lo faccio perché è bellissimo.
Lei non si ferma mai, gira come una trottola l’Italia e l’Europa. Ma alla fine torna sempre a casa, la sua Palermo. Dove ha anche aperto un centro internazionale di fotografia ai cantieri culturali della Zisa…
Io amo molto Palermo. È questo il punto: io amo molto questa città. Ma è una città complessa, difficile, a tratti malata, e per guarire dalla malattia ognuno deve fare quello che può. Io faccio questa lotta con la fotografia e tutto quello che vedo nel mondo poi lo riporto qui. Il centro l’ho aperto per tutti, giovani e anziani. La fotografia mi ha salvata da tante cose. Ed è un fatto serio, non il selfie che si pubblica su Facebook. È il racconto del percorso della vita.
Cosa dice ai ragazzi che vengono al centro o che spesso incontra nelle scuole?
Che la macchina fotografica serve per raccontarti e mescolarti al mondo. “Tu ci sei dentro. Io mi ci metto e mi ci mescolo”. Tu devi fotografare: se sei giovane dalle tue fotografie deve trasparire che è ancora tutto vago, in divenire. Questo centro internazionale di fotografia che accoglie, e che tanto riceve indietro, è una parte fondamentale della mia vita, ma un giorno dovrà andare avanti anche senza di me.
Che relazione ha con i giovani?
Continua. Quando vado nelle scuole a parlare, o quando vengono al centro — e arrivano da tutta Italia — poi me li ritrovo con le lacrime agli occhi perché sentono che è possibile cercare la felicità. È possibile ottenerla nonostante la fatica, i dolori, i tradimenti. Nonostante tutto. I giovani lo percepiscono che esiste questa forza, un “non buttarsi via” per banalità e sciocchezze. E io le incontro queste lacrime e questo amore assoluto. E poi
mi abbracciano. E lo vedo che percepiscono, nonostante abbiano più libertà rispetto alle vecchie generazioni, che gli mancano i modelli di una società gloriosa che gli vuole bene.
Cosa le chiedono?
Delle foto, ovviamente. Se avevo paura quando scattavo foto che raccontavano la mafia. E non mi dicono mai che sono vecchia (sorride ndr).
La vecchiaia, ecco di questa non ha paura?
Sono molto avanti con l’età, lo so. Ma questa cosa non mi tocca. Il mio corpo non è più quello di prima, ma la testa è potente. Questa vecchiaia, la mia, è bella e struggente come tutte le cose vere della vita.
È felice?
Felice è una parola un po’ difficile. So che cos’è la felicità e la cerco. E scappo dai rancori. Però posso dire che sono felice nel senso che ho quello che voglio.
La fotografia?
La fotografia e non solo. Ho me stessa e mi appartengo. E per tanti anni non mi sono appartenuta. Riconoscersi, invece, è una cosa bellissima. Io oggi ci sono per me e per gli altri e questa cosa non cambierà. Non ho vergogna di non aver fatto qualcosa. Ho fatto il possibile. Potevo fare di più, ma il possibile l’ho fatto.
Cosa fotografa oggi?
Le donne nude. Fotografo le donne nude come potrei fotografare la terra: con rispetto. Nei corpi nudi delle donne c’è tutta la grandiosità e il coraggio della vita. Queste foto hanno un grande valore sociale. Fare le cose bene con rispetto e disciplina significa anche lottare contro le mafie che ti nutrono di ignoranza e indifferenza. Le donne nude sono una battaglia contro le mafie. Io vengo da una società patriarcale. Il padre, il fratello, il marito, tutti avevano qualcosa da dire sulle donne. Per scappare mi sono sposata a 16 anni e rinchiusa per altri venti in un matrimonio infelice con un uomo che non voleva che studiassi e non mi capiva. Ecco io gliele sbatto in faccia queste foto ai mafiosi e a questi uomini che vogliono stroncare una donna che cresce. “Letizia fotografami” me lo chiedono le signore di 70 anni e le ragazze di 20. Ah sì. Una donna nuda vuol dire coraggio. Donne semplici e bellissime che mescolo con le piante e con la terra. Queste foto significano sfida. E con la sfida ci costruiamo un mondo diverso. Penso che sarà il mio ultimo lavoro. Se tra un anno o due ne avrò abbastanza ne farò un libretto.
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