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Quell’abbraccio di pace sotto la Croce

Nessuno dovrebbe protestare per un abbraccio, nessuno dovrebbe chiedere di impedire una preghiera, nessun peso nell’animo e persino nella carne può giustificarlo. Neppure quando ciò che è successo e succede ti ha tolto tutto, il passato, il presente e il futuro, puoi chiedere che le Albine e le Irine di tutta la terra non si tengano per mano. Altrimenti che uscita dall’oscurità e dalla violenza sarà mai possibile? Rilanciamo la campagna #abbraccioperlapace

di Riccardo Bonacina

Colpiscono e addolorano le proteste ucraine per la decisione che nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo due donne – una ucraina e una russa, già amiche tra loro – portino la croce insieme. Non piace all'ambasciatore presso la Santa Sede Andriy Yurash, e non piace all'arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, che con un duro comunicato definisce «questa idea inopportuna e ambigua che non tiene conto del contesto di aggressione militare russa contro l'Ucraina».

Colpiscono e addolorano perchè dicono in tutto il suo spessore cosa sia il veleno che la guerra diffonde, la rottura delle relazioni, il deserto delle relazioni, una Mariupol dell’umanità oltre che dell’urbanizzazione.

Albina e Irina, già amiche fra di loro, nel venerdì santo porteranno la Croce. Non diranno una parola. Neanche una richiesta di perdono o cose del genere. Niente. Sono sotto la Croce. «Scandalosamente insieme», sottolinea padre Spadaro in un post, «un segno profetico mentre le tenebre sono fitte. Ed è una invocazione a Dio perché ci dia la grazia della riconciliazione. La loro presenza insieme – proseguiva il post – è una preghiera scandalosa per chiedere una grazia che solamente Lui può dare. La profezia si incunea nei cuori e nelle ombre della storia». Il gesuita concludeva: «La domanda per il credente resta: che cosa significa oggi in questa situazione "amare il nemico"»?

Albina e Irina porteranno la croce alla XIII stazione, quando Gesù muore subito dopo aver gridato «Dio mio, perché mi hai abbandonato. E su questo insiste anche la meditazione scritta a quattro mani. «Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?». Domande che preludono a una preghiera di riconciliazione. «Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare». Preghiera tanto più necessaria alla luce delle prese di posizione di ieri».

Nessuno dovrebbe protestare per un abbraccio, nessuno dovrebbe chiedere di impedire una preghiera, nessun peso nell’animo e persino nella carne può giustificarlo. Neppure quando ciò che è successo e succede ti ha tolto tutto, il passato, il presente e il futuro, puoi chiedere che le Albine e le Irine di tutta la terra non si tengano per mano. Altrimenti che uscita dall’oscurità e dalla violenza sarà mai possibile.

Con Angelo Moretti, Giuseppe Notarstefano e i protagonisti della campagna #abbraccioperlapace sappiamo e conosciamo le difficoltà di promuovere spazi di dialogo. Inizialmente la società civile ci ha un po’ snobbato, ha pensato che proporre i tavoli di dialogo nelle città potesse risultare una proposta romantica e distante dall’urgenza di raccogliere viveri e medicinali, altri ci segnalavano che nelle città italiane tutto sommato le due comunità non si percepivano come nemiche. Invece no, il nemico era in agguato e man mano che la guerra avanzava sono arrivate agli organizzatori di #abbraccioperlapace lettere e messaggi di ucraini che dicevano “non chiamateci popoli fratelli, questo è quello che sostiene la propaganda russa, non invitateci al dialogo, lasciateci odiare almeno ora”. E sui muri di qualche nostra città offese che non distinguono i governanti dai popoli.

Conosciamo la difficoltà non solo all'abbraccio ma persino al dialogo. Siamo testimoni di questa frattura pazzesca tra due popoli fratelli non solo nel comune credo religioso, non solo nella cultura e nella storia ma persino nella biografia e nei gradi di parentela. Sappiamo che tutto questo è stato spazzato via da un bombardamento interiore e raso al suolo come il teatro e la città di Mariupol. Ma proprio per questo ringraziamo il Papa per il coraggio di aver proposto nel cuore della preghiera del giorno della Passione e morte di Cristo, proprio questo tema, proprio questo, urlo, proprio questa preghiera.

Insieme ad Albina e Irina, ringraziamo Inna e Alona, Tatiana e Dina, Valerio, un giovane bielorusso e Maria una giovane ucraina protagonisti dei Tavoli di dialogo per la pace che si sono svolti sino ad ora e che invitiamo a riprendere in ogni città e in ogni scuola con i materiali della campagna #abbraccioperlapace. Le scuole hanno solo un mese di funzionamento davanti e se non coglieranno questo mese per una campagna di pace e riconciliazione il veleno si diffonderà anche tra noi.

Bisogna farlo per raccogliere quanto papa Francesco dice nella sua introduzione al nuovissimo volume “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace” (Libreria Vaticana) «Se avessimo memoria, sapremmo che la guerra, prima che arrivi al fronte, va fermata nei cuori. L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza»

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