Economia

Jeffrey Sachs: transizione ecologica e inclusione sociale, ecco la via

Riproponiamo alcuni passaggi della Lecture di Jeffrey D. Sachs, professore e direttore del centro per lo sviluppo sostenibile della Columbia University in Università Cattolica a Milano

di Redazione

Ecologic Transition and Social Inclusion: Towards a New Economic Paradigm (Transizione ecologica e inclusione sociale: verso un nuovo paradigma economico) è stato questo il titolo della Lecture di Jeffrey D. Sachs, professore e direttore del centro per lo sviluppo sostenibile della Columbia University in Università Cattolica a Milano. Qui riportiamo alcuni passaggi della Lecture.

Quello che non era vero cent’anni fa è vero ora: le nostre attività economiche a livello globale minacciano la nostra sopravvivenza a causa della catastrofe ecologica. Eppure guardate come è difficile liberarsi di questo corso distruttivo che stiamo seguendo. Oggi abbiamo quattro volte la popolazione mondiale del 1921, quando appunto è stata fondata l’Università Cattolica che oggi mi ospita, la popolazione mondiale era di circa 2 miliardi di persone e ora è di 8 miliardi di persone e ovviamente le attività economiche per persona sono molto superiori a cent’anni fa. Quindi quanto moltiplichiamo la popolazione per la produzione di risorse naturali pro capite di uso del suolo, di uso delle materie prime vediamo quanto pesiamo sul pianeta e in che modo poco saggio lo facciamo. Siamo anche molto più ricchi di quanto eravamo cento anni fa, ma non siamo molto più buoni di quanto eravamo cento anni fa.

Non siamo un mondo buono da un punto di vista economico: un report recente della Fao per esempio, ha detto che 3 miliardi di persone non possono mangiare in modo sano, non se lo possono permettere. E questo non c’è però nelle news di tutti i giorni, non è una breaking news. Così come non è una news dire cento milioni di persone non hanno accesso alla sanità e tantissimi bambini ancora non hanno una scuola in cui andare e quindi cresceranno senza un’istruzione. Tutto questo non è registrato nel nostro sistema, non entra nella nostra geopolitica. E non sarà un problema che risolviamo con il G20.

Qui occorre un nuovo paradigma economico

Quindi il nostro mondo è un mondo in cui, rispetto a cento anni fa, c’è molta più ricchezza, molto più reddito pro capite, meno sofferenza economica globale ma date le nostre capacità di rispondere alle necessità umane, c’è una terribile negazione dei diritti umani. Da uno a tre miliardi di persone a seconda dell’argomento, un miliardo di persone vivono una fame straziante, altre persone non hanno accesso alla sanità, un miliardo di persone i cui figli non hanno un’istruzione scolastica, 3 miliardi di persone che non mangiano sano, miliardi di persone senza elettricità o servizi elettrici. Da qui il mio argomento di oggi: la mia tesi è che abbiamo bisogno di un nuovo paradigma economico che non solo faccia meglio di quanto stiamo facendo noi da salvare il pianeta dai nostri comportamenti peggiori, ma che ci allerti ogni giorno ai problemi che dovremmo risolvere e che invece che dica ai nostri studenti dal primo giorno di università queste sono crisi che devono essere risolte, non solo caratteristiche di background di un’economia. E noi non abbiamo ancora capito ciò, perché se guardiamo a quelli che sono oggi i testi correnti sì troviamo qualcosina sui cambiamenti climatici, un riquadro sulla povertà, ma questi sono come ho detto riquadri, box in un discorso che mira altrove. Papa Francesco, più di qualsiasi altra persona al mondo, ha sollevato questo problema con due encicliche bellissime “Laudato si’”, dedicata alla creazione e all’ecologia integrale, e “Fratelli tutti” che che è un invito ad essere buoni gli uni con gli altri, è dedicata all’incontro con l’altro, al prendersi cura di coloro che hanno delle necessità. E papa Francesco ha chiesto una nuova economia secondo san Francesco d’assisi e molto saggiamente ha chiesto ai giovani di formare una nuova economia, l’economia di San Francesco.

Ventinove anni di resitenza al cambiamento

Per me il concetto che abbraccia questa necessità di cambiare è “sviluppo sostenibile”, questa è una frase che è stata introdotta nelle politiche pubbliche già nell’87 quando l’allora primo ministro norvegese è stato a capo di quello che sarebbe stato l’Earth summit, il summit della terra di Rio del 1992 e l’idea dello sviluppo sostenibile della commissione Brundtland dell’87 (documento pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, WCED, in cui, per la prima volta, venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile). È da allora chiaro che il peso delle attività umane sul pianeta era diventato così oneroso che veramente mettevamo in pericolo le generazioni future quindi lo sviluppo sostenibile è stato sostenuto come lo sforzo per far sì che ogni generazione permetta alle altre generazioni di continuare a vivere e a soddisfarsi. È praticamente un compact intergenerazionale, un’etica – se volete – intergenerazionale. È stata la base per gli accordi diplomatici che sono stati poi siglati all’Earth summit del 1992. E questo su tre trattati principali, sul cambiamento climatico nella convenzione Onu, l’Unfccc (La Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nota anche come Accordi di Rio) sulla biodiversità e sulla convenzione per lottare contro la desertificazione, questo nelle regioni aride del mondo. Era il 1992. E per un attimo mi era sembrato che avessimo un nuovo paradigma, fu proposta l’Agenda 21 perché sarebbe stata appunto il simbolo del XXI secolo, ma abbiamo visto quanto poi il potere ha continuato a muoversi con il vecchio paradigma. Sono passati 29 anni e non abbiamo cambiato il nostro corso e neanche uno di questi trattati è stato implementato in modo pratico e concreto.

Di fatto il Trattato sulla biodiversità fino ad oggi non ha visto risultati eccetto la distruzione continua della biodiversità sul pianeta. Il Trattato sul cambiamento climatico ha, ventitre anni dopo la sua ratifica, prodotto gli accordi di Parigi nel dicembre 2015, ma fino ad oggi le forze che inducono il cambiamento climatico, cioè i gas serra continuano ad aumentare ogni anno, quindi non abbiamo neanche cambiato direzione e figuriamoci risolvere il problema. E il terzo Trattato che probabilmente non avete mai sentito nominare, la convenzione dell’Onu per combattere la desertificazione, è scomparso, nessuno la conosce. Eppure pensate la scarsezza d’acqua, la crisi dell’interazione tra i cambiamenti climatici e l’acqua, il terreno, l’uso del suolo: tutti problemi intensificati. Quando l’accordo di Parigi è stato firmato, 23 anni dopo Rio, diceva che dobbiamo mantenere l’aumento della temperatura la al di sotto dell’1,5 gradi nel 2050 ma oggi siamo già a 1,2 gradi e il riscaldamento procede a 0,3 gradi a decennio. Quindi fate voi i calcoli, la traiettoria attuale ci porterà a superare 10 anni prima quella soglia. Perché non si riesce a chiudere l’era delle fonti fossili? Perché l’industria del petrolio paga i parlamenti e i media. Noi diciamo sì siamo una democrazia ma è una democrazia del denaro, non delle persone, questo è il nostro sistema negli Stati Uniti, ma non solo. Quando l’accordo di Parigi è stato implementato, nella clausola di apertura di questo accordo diceva “noi governi del mondo concordiamo nel limitare il cambiamento climatico indotto dall’uomo nel contesto dello sviluppo sostenibile” e che cosa volevano dire con questo nel 2015? Non solo quello che ha detto la commissione Brundtland di proteggere il futuro ma anche qualcosa d’altro, la giustizia sociale e l’inclusione sociale perché l’altro fenomeno che è avvenuto oltre alla distruzione dell’ambiente è che le nostre società sono diventate ingiuste.

Ora abbiamo 3mila persone nel mondo che sono miliardari e loro hanno 15 trilioni di dollari di ricchezza. Se questa fosse un’eredità, questo denaro permetterebbe una spesa annuale di 750 mld di dollari all’anno che potremmo utilizzare per combattere la povertà sul pianeta, assicurarci che ogni bambino vada a scuola, che abbia accesso alla sanità ogni persona sul pianeta, che il cibo e la dieta siano decenti per tutti, che abbiano accesso all’acqua all’elettricità ai servizi digitali, alle rinnovabili Questo è quello che 3mila persone potrebbero fare. Lo fanno? No. Che cosa stanno facendo? Fanno dei voli nello spazio, perché sia Branson (Virgin Group) che Bezos (Amazon) o Musk (Tesla) preferiscono andare per 15 minuti nello spazio. 3mila persone potrebbero spegnere la sofferenza del pianeta e invece, Lo sviluppo sostenibile, come lo chiamiamo oggi nel contesto diplomatico generale significa un mondo in cui la prosperità è condivisa, in cui vi è giustizia sociale per tutti o, come dice l’Onu, in cui nessuno viene lasciato indietro.

Cominciamo dalla de carbonizzazione

In termini pratici questo oggi significa de carbonizzare il sistema energetico, porre fine al disboscamento riforestare e rigenerare i terreni degradati, proteggere la biodiversità, proteggere le risorse di acqua dolce che sono scarse, e vivere in sintonia con la natura di modo da non dover essere sottoposti a zoonosi, a tassi accelerati come abbiamo visto oggi con la pandemia di Covid-19 perché stiamo assistendo a un ritmo accelerato di zoonosi o di cosiddetto spillover con una minaccia devastante per l’umanità. La nuova economia, l’economia di Francesco a mio avviso dovrebbe essere l’economia dello sviluppo sostenibile per il XXI secolo La nostra economia si dovrebbe basare su obiettivi gli obiettivi devono essere quelli del benessere, della giustizia sociale della sostenibilità ambientale e di una collaborazione pacifica sul nostro pianeta. Ma è così difficile? È qualcosa di raggiungibile?

La risposta secondo me è sì, è raggiungibile. È fattibile. Le tecnologie digitali oggi ci consentono di farlo con una consapevolezza e una sensibilizzazione che fino a pochi anni fa non era possibile, potremmo produrre generi alimentari sani di cui avremmo bisogno in modo sostenibile senza distruggere le risorse del pianeta senza deteriorare e degradare centinaia di migliaia di ettari che abbiamo distrutto con un comportamento scorretto nel sistema agricolo mondiale. E sono convinto che potremmo fare tutto ciò a bassi costi con una bassa percentuale del nostro Pil che dovrebbe essere riorientato per il bene comune.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.