Economia
Cooperazione sociale, una storia di successo che deve voltare pagina
L’intervento di uno dei padri fondatori della legge istitutiva del 1991: «Usciamo dalla logica della fornitura di servizi. Si apre una stagione in cui potremo finalmente guardare innanzitutto ai bisogni della comunità, per portarli al tavolo della co-programmazione e della co-progettazione»
La legge 381 si presenta, a distanza di trent’anni dalla sua promulgazione, come una “incompiuta di successo”. Di successo perché rappresenta il fenomeno imprenditoriale più clamoroso — e sottovalutato — degli ultimi decenni nel nostro Paese. Oltre 16mila imprese, fra coop e imprese sociali, e quasi mezzo milione di occupati sono nati pressoché dal nulla nel giro di tre decenni. Certo in un settore, quello dei servizi di welfare, in espansione, ma non vi è dubbio che allo sviluppo abbia contribuito anche la formula imprenditoriale disegnata dalla legge e risultata particolarmente azzeccata. Incompiuta perché il disegno di cambiamento sociale e di originale sviluppo economico, che animava i pionieri della cooperazione sociale, si è realizzato soltanto in parte ed episodicamente. Infatti numerose realtà sono riuscite a costruire e sviluppare esperienze esemplari di coinvolgimento delle risorse della loro comunità, producendo forme originali di attività e servizi. Ma non altrettanto si può dire di un’altra, più consistente parte del sistema, progressivamente allineatasi sul fronte della partecipazione a gare indette dalle pubbliche amministrazioni e finalizzate alla più o meno qualificata fornitura di manodopera.
Basta sudditanza alla pubblica amministrazione
Ora però la più rilevante innovazione introdotta dal Codice del Terzo settore — l’art. 55 — permette di voltare pagina, tornando alle origini e riprendendo un disegno rimasto in buona parte incompiuto. Quello di dare finalmente piena attuazione al dettato dell’art. 1 della legge 381, là dove precisa che lo scopo della cooperativa sociale è “perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini”. Dopo trent’anni durante i quali per moltissime cooperative il prezzo dello sviluppo è passato attraverso la sudditanza alla pubblica amministrazione, ora si apre dunque una stagione in cui potranno finalmente guardare innanzitutto ai bisogni della propria comunità, per portarli al tavolo della co-programmazione e della co-progettazione. Elaborando e proponendo soluzioni e azioni su un piano di parità con gli enti pubblici e operando in collaborazione con le altre cooperative sociali in modo trasparente e costruttivo, perché non più costrette a competere. Si tratta di un cambiamento di non poco conto che imporrà, a chi vorrà perseguirlo, rilevanti trasformazioni tanto strategiche quanto operative.
Dal punto di vista strategico si tratterà di abbandonare la prospettiva di operare sul mercato competitivo della subfornitura pubblica, per riorientarsi verso lo spazio economico collaborativo dei produttori finali di servizi per le persone e le comunità. Come articolare questa nuova ipotesi di lavoro, come perseguirla nell’ambito di un rapporto nuovo, tanto con la pubblica amministrazione, quanto con gli altri enti del Terzo settore — in particolare le altre cooperative sociali — ed ancor più con le persone alle quali è destinato il servizio è, dunque, oggi la questione fondamentale. Si tratta di dare spazio a una strategia orientata a piani di sviluppo non antagonistici, ma coordinati con quelli degli altri attori sociali del territorio. Alla costruzione di sistemi integrati di prestazioni, supportati da sistemi professionali adeguati. Alla definizione di flussi economici non basati esclusivamente sul pagamento di fatture da parte di enti pubblici. E altri profili ancora.
Animatori di comunità & peopleraising
Il tutto con una evidente ripercussione organizzativa e operativa. Si tratta di smontare uffici gare e appalti per sostituirli con uffici capaci di programmare e progettare lo sviluppo dei servizi in una comunità̀, insieme a quelli di altri enti e con gli interlocutori pubblici. Al posto di consulenti legali, necessari per proporre o resistere ai ricorsi al Tar oggi corredo ormai frequentissimo delle procedure di gara, vanno ingaggiati esperti di pianificazione territoriale e anima- tori di comunità. L’attività di fundraising va completata con quella di peopleraising, volta e recuperare le disponibilità del territorio a integrarsi entro l’attività e i servizi della cooperativa. Saranno capaci le cooperative sociali di scegliere e sviluppare queste prospettive? Sapranno riconoscere in esse il profilo identitario loro consegnato trent’anni fa dalla legge 381. Lo spero. Significa immaginare che al prossimo compleanno, anche prima di altri trent’anni la cooperazione sociale si possa presentare non solo come uno straordinario fenomeno di sviluppo di servizi sociali, ma anche di trasformazione in meglio di una larga parte del tessuto sociale ed economico del nostro Paese.
Il social factor che cambia l’economia
Milano – 13 dicembre 2021
Dieci imprese sociali giovani e innovative saranno le protagoniste dell’evento di fine anno di Vita (appuntamento a Base Milano e in streaming dalle 16,30).
*Felice Scalvini è direttore della rivista Impresa Sociale e promotore della legge 381/1991
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