Non profit

Il crowdfunding? Un’opportunità che non si improvvisa

Racconti, ragionamenti e testimonianze sono stati il cuore del convegno “Il crowdfunding al servizio del Terzo settore” che ha voluto offrire al mondo delle organizzazioni non profit e dei fundraiser l’occasione di una riflessione sul dono e sui cambiamenti innestati dagli ultimi due anni. A organizzare l’evento Ginger Crowdfunding

di Antonietta Nembri

Il crowdfinding è un tema che appassiona e lo testimoniano gli oltre 400 iscritti online al convegno “Il crowdfunding al servizio del Terzo settore”che si è tenuto, in streaming e in presenza a Bologna, nel pomeriggio di venerdì 8 aprile.
A promuoverlo Ginger Crowdfunding – realtà nata nel 2013 – per stimolare un costruttivo dibattito su uno strumento di raccolta fondi che ha perso sempre più piede e che è esploso negli ultimi due anni. Un convegno che non voleva essere celebrativo, ma che ha messo sul tavolo una serie di riflessioni che hanno riguardato sia le modalità di utilizzo dello stesso strumento, sia la necessità di una riflessione sul fundraising in generale, sulla trasparenza e sull’opportunità di certificare il buon fine della donazione attraverso le piattaforme (su Vita si è proposto un “bollino di garanzia” qui la news ). Del resto Agnese Agrizzi, ceo di Ginger Crowdfunding ha raccontato come la genesi dell’incontro bolognese fosse stato proprio il dibattito che nei mesi scorsi si è sviluppato su Vita.it e su Vita Magazine e il suo riscoprire il saggio sul dono di Marcel Mauss.

Dopo l’intervento del padrone di casa – l’evento si è tenuto a Mug, Magazzini generativi a Bologna – Daniele Ravaglia, direttore Generale Emil Banca che ha ricordato l’avvio nel 2015 della collaborazione tra Emil Banca e Ginger e le 100 campagne lanciate che hanno saputo coinvolgere la comunità, i diversi protagonisti del dibattito: Stefano Arduini, direttore di Vita.it & Vita magazine; Stefano Vezzani, direttore Fondazione Policlinico Sant'Orsola Onlus di Bologna; Ivana Pais, professoressa di Sociologia Economica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore; Luca Borneo, responsabile della piattaforma Ideaginger.it; Paolo Venturi, direttore di Aiccon & The FundRaising School e Natascia Astolfi, consulente di fundraising & Responsabile Astolfi 15.70 hanno posto l’attenzione su diverse sfumature di un fenomeno che è esploso in periodo pandemico, dal quale hanno concordato «non si torna indietro» e che a fronte delle molte opportunità che offre alle organizzazioni del Terzo settore richiede anche formazione e strumenti adeguati: l’improvvisazione non paga.


Sopra da sx: Paolo Venturi, Stefano Arduini e Stefano Bezzani – In basso Agnese Agrizzi


E lo dimostrano i risultati di Ideaginger.it la piattaforma di Ginger Crowdfunding che in 9 anni ha seguito 750 campagne che hanno raccolto 8 milioni di euro. «Fin da subito abbiamo scelto un modello d’azione che non contemplasse solo la piattaforma, ma prevedesse anche un team di consulenti che affiancano la progettazione delle campagne» ha raccontato Agrizzi che ha sottolineato la necessità di un lavoro culturale che non snaturi lo spirito del crowdfunding e di come l’essere rimasti fedeli al tema del “tutto o niente” «che fa comprendere al donatore il valore di ciascun contributo al progetto» e delle “ricompense” abbia contribuito a un tasso di successo superiore al 90%, quando Kikstarter (principale piattaforma internazionale) si attesta sul 37,40%.

«Come Vita abbiamo messo una lente di ingrandimento su un momento di grande pathos durante il quale gli italiani sono molto generosi e sul cambiamento dei meccanismi del dono che sono divenuti più digitali e con la presenza sulle piattaforme internazionali di una vetrina non perimetrata in cui il non profit si è trovato a competere con “buone cause” private», ha osservato Arduini ricordando le polemiche dello scorso anno sul “caso Malika” e sulla necessità di trasparenza sull’atterraggio delle donazioni per non tradire la fiducia dei donatori «serve una cultura del dono».
Nei due anni di pandemia sono esplose le donazioni a favore del settore sanitario e sul tema Vezzani ha osservato come nell’esperienza della sua fondazione il crowdfunding abbia rappresentato solo il 5,46% degli oltre 4 milioni raccolti «è stato però un acceleratore». Ma l’esplosione della generosità ha portato a una riflessione: delle 505 campagne a favore degli ospedali durante l’emergenza Covid solo il 21,9% era stata presentata da un ente di Terzo settore e solo il 28% era andata in goal «mancavano progetti, c’erano solo emozioni», ha chiosato Vezzani che ha osservato «quando abbiamo fatto un bando per progetti al Sant’Orsola ci siamo rivolti a Ginger e le otto campagne selezionate per il crowdfunding hanno tutte raggiunto il risultato perché abbiamo visto che era stata stimolata una comunità che era in sonno, ma c’era. Quello che va fatto è costruire un rete e il crowdfunding può essere lo strumento per farlo».

Dal canto suo Pais ha anticipato alcuni dati della ricerca sull’accountability e la trasparenza del donation-crowdfunding in periodo Covid «abbiamo analizzato 20mila campagne delle 100mila attive su GoFoundMe e osservato l’andamento delle donazioni in relazione alle restrizioni e alle curve dei morti», ha detto la docente della Cattolica mostrando le slide sui diversi Paesi europei in cui emerge come per l’Italia il picco delle campagne sia coinciso con l’avvio del lockdown. Dalla parte qualitativa della ricerca è emerso come l’effetto Ferragnez e la sua emulazione ha avuto diverse ricadute non tutte positive sul fronte dei promotori delle campagne, soprattutto se singole pesone, mentre sul lato ospedali ha mostrato strutture non organizzate per accettare i fondi. Pais ha infine osservato sia il fatto che molte piattaforme hanno fatto azione di «alfabetizzazione» agli aspiranti fundriser sia in tema di accountability che «l’innovazione che nasce dal bisogno deve avere basi solide».


Nel video la riproduzione integrale del convegno

Il metodo di Idea Ginger e in particolare il percorso di formazione è stato illustrato da Borneo che ha riassunto il suo valore nel rapporto che si crea con i progettisti con le due caratterizzazioni: far comprendere alle piccole organizzazioni che non ci sono miracoli e alle grandi più strutturate che pensano di proporre in salsa digital campagne riuscite «il crowdfunding ha caratteristiche specifiche». Fondamentale in questa azioni creare «una buona cultura della raccolta fondi online, ma per farlo servono competenze, non c’è spazio per l’improvvisazione», ha insistito ricordando come la piattaforma deve essere la «prima garante di una campagna nei confronti dei donatori». Un lavoro preparatorio che dà buoni frutti e da al Terzo settore uno strumento in più per il quale «occorre però investire in trasparenza e cultura della rendicontazione».

«Il crowdfunding non è una tecnica, ma un meccanismo di valore per un’organizzazione. È un mezzo, non il fine» ha osservato Venturi che ha indicato tra le necessità quella di passare dall’emergenza a una fase «emergentista, cioè a qualcosa che ha a che fare con il dopo». In un dopo in cui il crowdfunding diviene uno strumento per la creazione di valore sociale che può agire in diversi ambiti dall’innovazione sociale alla territorializzazione, alla democratizzazione e ha a che fare con la community e la comunità, è policy making e spinge a nuove strategie di funding mix «cambiamenti e trasformazioni che dilatano in modo prospettico le strategie e non solo le competenze». Il direttore di Aiccon ha concluso osservando che occorre decidere «quale valore si vuole generare».

Per Astolfi, che ha chiuso gli interventi, il crowdfinding è un’opportunità, «una porta di accesso al fundraing» che non si esaurisce nella piattaforma, come il fundraising nei suoi strumenti. Se per le grandi organizzazioni il crowdfunding funziona come uno stress test dei propri processi di raccolta fondi, per le piccole è un andare in piazza, ma per entrambe ci sono elementi ricorrenti che sono la community che si deve attivare e gli alleati. Per Astolfi, infine, per far sì che una campagna funzioni serve una risorsa dell’organizzazione che vi si dedichi e un accompagnamento strategico con la consapevolezza che al termine del processo resta un metodo, una community che si è attivata e la presa di coscienza che «il punto di partenza è il donatore non tanto la donazione».

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