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Il Capitale Sociale? Trova valore nella vera accoglienza

L'importanza del Capitale Sociale e delle Reti Territoriali è alla base della ricerca condotta nell'ambito del progetto SAAMA, intervento che per 3 anni ha lavorato nei comuni di Agrigento, Marsala, Palermo e Termini Imerese con i minori migranti soli, con l'obiettivo di valorizzare le loro risorse e competenze, anche in un percorso volto a realizzare desideri e aspettative di ognuno di noi. A contribuire è stata una ricca rete di partner, soggetti pubblici e del terzo settore, ognuno con una specifica esperienza nell’inclusione sociale, nell’accoglienza e nella formazione

di Gilda Sciortino

Prendersi cura dei ragazzi e delle ragazze che sono arrivati in Italia da minori migranti soli, valorizzando le loro risorse e competenze, ma anche dando loro sostegno nella realizzazione dei desideri e delle aspettative di ognuno. È una delle consapevolezze a cui è giunta la ricerca sull'importanza del Capitale Sociale e delle Reti Territoriali, realizzata dal progetto SAAMA, intervento che sta per concludersi dopo 3 anni di intense attività portate avanti nei comuni di Agrigento, Marsala, Palermo e Termini Imerese.

Strategie di Accompagnamento all’Autonomia di Minori Accolti” è l’acronimo di questo progetto, realizzato da un ricco partenariato che ha visto scendere in campo realtà come: Send, associazione Arché, assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Marsala, Assistenti Sociali Senza Frontiere, CESIE, CIAI, Cooperativa Libera…mente, CPIA Agrigento, CPIA Palermo 2, Garante metropolitano per l’infanzia e l’adolescenza del Comune di Palermo, Libera Palermo, Moltivolti, Nottedoro.

Un’alleanza di soggetti pubblici e del terzo settore con esperienze nell’inclusione sociale, nell’accoglienza, nella formazione e nella creazione di reti che hanno messo a sistema le loro risorse e competenze per dare opportunità a ragazzi e ragazze arrivati in Italia da minori migranti soli.

d è grazie alla ricca esperienza dei diversi partner che la ricerca ha potuto verificare il bisogno di attivare percorsi di accompagnamento all’autonomia integrati e capaci di prevedere azioni in tutti gli aspetti fondamentali della vita di questi e queste giovani. In questo modo diventeranno delle risorse per i Paesi che li ospitano e non un peso.

«Quello che necessita – spiega Giulia Di Carlo, responsabile del CIAI Palermo – sono strumenti che possono essere risolutivi sia per la presa in carico dei minori sia per l’inclusione, l’orientamento e il percorso di formazione propedeutici all’inserimento lavorativo. In questi tre anni di attività abbiamo pensato e definito strumenti come la ricerca, ma anche come la cartella sociale e la “Rete delle Imprese Accoglienti” che doniamo alla Comunità Educante per sapere da dove partire al fine di uscire dall’ottica emergenziale che le amministrazioni usano per effettuare la presa in carico. Dobbiamo scongiurare la modalità in atto, per esempio, in alcuni CAS per minori della Sicilia, come Agrigento e Ragusa, nei quali il minore viene trattato come se non avesse bisogno di interventi specifici».

Tante le contraddizioni che hanno portato gli operatori a chiedersi qual è la logica che si utilizza nell'intervento sociale con questi minori.

«Molto spesso è una logica emergenziale – prosegue la Di Carlo – guidata dalla visione parziale delle amministrazioni. Lavoriamo ancora con i faldoni e ci sembra che non sia più possibile. Dobbiamo pensare a politiche di inclusione anche culturale, che non guardino più al migrante ma ai giovani che fanno parte della nostra società. Lo stiamo vedendo con la popolazione Ucraina. Li stiamo trattando tutti come se fossero diversi dal diverso. Anche la stratificazione dei diritti vede i bambini ucraini avere più diritti dei bambini africani. La ricerca ha, poi, sottolineato l’assenza di alcuni attori fondamentali quali le Questure e le Commissioni che non hanno risposto per nulla alle nostre richieste di dati e anche questo ci sembra incredibile. Fondamentale, infine, la formazione di questi giovani per ipotizzare un percorso di inclusione sociale che guarda al futuro. Che non tutti i ragazzi vogliano andare a lavorare lo dimostra il fatto che alcuni di loro hanno già intrapreso la strada dell’università».

Un progetto, Saama, che prosegue il lavoro di tessitura sui territori e che, grazie al coinvolgimento di enti del settore pubblico e privato, ha portato avanti le attività di inclusione sociale e lavorativa dei minori stranieri soli e neomaggiorenni cresciuti nei territori del Tribunale dei Minori di Palermo. Grazie alla messa a sistema delle esperienze del progetto “Ragazzi Harraga”, è riuscito a coinvolgere, lo dicevamo, 4 territori siciliani e 150 aziende che fanno parte della rete; ha attivato 45 tirocini curricolari e ha preso in carico 80 giovani migranti attraverso attività di orientamento al lavoro; ha formato 90 operatori dell’accoglienza e ha redatto 240 skills portfolio dei giovani migranti soli coinvolti nelle attività laboratoriali.
L’importante calo di presenze, avvenuto dal 2017 al 2020 (circa il 95% in meno di arrivi), ha di fatto creato un vuoto che ha portato alla chiusura di molti centri di accoglienza. Il passaggio alla maggiore età ha, poi, portato al trasferimento di molti giovani neomaggiorenni in strutture per adulti, con la conseguente interruzione dei percorsi avviati e la conseguente perdita di contatto con persone di riferimento per questi giovani, come hanno raccontato alcune delle assistenti sociali, operatrici e tutrici intervistate. Nel 2017 in Sicilia, infatti, erano 494 i minori presi in carico, mentre nel 2020 solamente 11. Nel 2020, nonostante l’emergenza sanitaria legata al COVID-19, SAAMA è riuscito ad attivare circa 30 tirocini extracurricolari e a far si che, malgrado le imprese fossero in sofferenza, i settori meno precarizzati si assumessero la responsabilità di contrattare alcuni dei tirocinanti all’interno di alcune delle imprese selezionate.

Dalle attività di follow up condotte nell'ambito del progetto, dei 300 ragazzi accompagnati in percorsi di autonomia nei progetti citati, a 12 mesi dalla conclusione del percorso progettuale il 30% risultava ancora nel mercato del lavoro: Circa l’80% ha valutato come “molto importante” l’appartenenza a reti relazionali ampie, mentre il 60% ha indicato il responsabile dell’azienda in cui ha svolto il tirocinio una delle persone di riferimento più significative conosciute nella città di accoglienza.

Un sistema di accoglienza che, a causa del susseguirsi dei numerosi decreti, è stato in un certo senso smantellato, evidenziando anche le differenze territoriali tra le città nei quali sorgono i SAI.

«I centri che da subito prendono in carico i ragazzi e le ragazze – afferma Loriana Cavalieri, vice-presidente di SEND – riescono a proiettare in una progettualità mentre ancora altre città, piccoli centri c’è ancora un sistema di prima accoglienza che rallenta, blocca il processo di inclusione. Oltre al fatto che, con il Covid, abbiamo avuto prima le navi quarantena e adesso le quarantene, fatte in spazi non adeguati ai diritti dei minori perché in centri promiscui in cui non ci sono separazioni e, quindi, protezione dagli adulti. Andrebbe risistematizzato tutto in un’ottica di accoglienza a 360 gradi. Dovremmo anche valorizzare quello che sta succedendo adesso con i profughi ucraini che ci sta insegnando come u' accoglienza dignitosa, rispettosa e non basata sulla paura è possibile. Sicuramente c’è bisogno di investimenti anche di formazione e culturali, che è un po’ quello che abbiamo provato a fare con la "Rete delle imprese accoglienti" attraverso un lavoro di sensibilizzazione e formazione delle imprese affinché questi ragazzi e ragazze possano spendere non disperderle loro risorse».

Problemi, carenze, da imputare solo alle amministrazioni?

«Abbiamo sempre puntato il dito contro le istituzioni – sottolinea Alberto Biondo, responsabile della ricerca – dicendo che non sono in grado di portare avanti percorsi di accompagnamento e di sostegno nei confronti dei minori non accompagnati, non essendo in grado di sistematizzare il dato quotidiano che raccolgono quando entrano in contatto con l’utente. La stessa cosa, però, l’ho riscontrata in molte associazioni del terzo settore, una parte delle quali ha le stesse difficoltà dei Comuni. Ma come possono fare se mancano le risorse? Come possono portare avanti le attività con una certa continuità soprattutto quando fanno volontariato? Purtroppo i dati che arrivano dalle associazioni sono pochi: solo il 10% ha dato riscontro rispetto alle 60 realtà interpellate. Succede perchè non esistono database. Ci sono profili altissimi, ma prevalentemente riferiti a volontari. Quando diciamo lo Stato non progetta, lavora nell’emergenzialità, dovremmo riferirci anche a una larga parte del Terzo Settore. Questa la criticità del sistema».

Criticità dalle quali partire per costruire nuove certezze. Traendo energia dalla positività che ci lascia la ricerca e cioè che, nonostante il Covid, nonostante il periodo di crisi vissuta e che stiamo vivendo ancora, parte della Rete ha dimostrato che, condividendo e mettendo insieme risorse e competenze, si ottengono risultati. Ci vogliono competenze, risorse e volontà politica di proseguire su una strada che porta benefici non solo ai minori ma anche alla collettività.

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