Famiglia

Con il mio violino canto le paure dei bambini

Mi chiamano la violinista dei morti, . Sono diventata amica di tanti piccoli malati «La verità è che ho visto troppi bimbi morire completamente da soli»

di Alessandra Costa

?D ominique Musique? è molto alta e molto bianca. Sembra una cicogna con gli occhi azzurri e le unghie blu elettrico. Accovacciata sul divano del suo più recente e sempre precario domicilio, parla agitando le lunghe braccia e le lunghe mani. Cerca di spiegare cose che a fatica si lasciano esprimere con le parole: la malattia, la sofferenza, la morte di un bambino. Infatti non sono le parole il suo strumento di comunicazione. Violinista, da otto anni lavora come volontaria negli ospedali, in mezzo a bambini malati di cancro, leucemia, Aids. In questi anni, attraverso la sua musica, in corsia ha conosciuto circa 500 bambini. A Bruxelles ?Dominique Musique? – all?anagrafe Dominique Schollaert, 36 anni – è ormai un personaggio conosciuto. Giornali, televisione, radio, parlano spesso di lei. Eppure, dichiara, a volte le sembra che nessuno capisca il suo vero obiettivo: «Mi conoscono come ?la violinista dei bimbi morti? ed è vero che ho suonato ai funerali di tutti i miei malati. Ma a me non interessa la morte, interessa la vita. Quello che vorrei è che ognuno avesse la possibilità di vivere bene fino all?ultimo istante». Le esigenze organizzative, il sovraccarico di lavoro, la routine che uccide il calore umano: dopo tanti anni Dominique conosce bene i problemi del servizio sanitario, ma alla sbrigativa indifferenza che circonda chi è ricoverato in ospedale non si è ancora rassegnata: «Come muoiono i bambini in Kosovo o in Ruanda lo sappiamo. Fa notizia, riempie i quotidiani e i telegiornali. Ma di come muoiono i bambini a casa nostra non parla nessuno. In Belgio, ma credo sia lo stesso più o meno dappertutto nelle ricche società europee. Il bambino che sta male, che soffre o che sta morendo è una realtà rifiutata. L?ospedale, la famiglia, la società in generale, negano la morte di un bambino, che muore quasi sempre solo. Sì, è vero, spesso c?è magari uno psicologo, ma quello si occupa dei genitori, che sono annientati e vivono come se il figlio fosse già morto. I medici passano e vanno, le infermiere hanno troppo da fare, e loro se ne stanno lì, nei loro letti, a guardare la tv. Ogni volta che entro e vedo quel televisore acceso, mi viene una rabbia…» Mi presento: sono Dominique Musique È questo spazio e questo tempo di solitudine che Dominique si sforza di riempire. Non con le parole – a questo punto ormai ?troppo pesanti? – ma con la musica. In mezzo alla musica lei c?è nata, in una famiglia della buona borghesia, dove il padre si dedicava al pianoforte per diletto e anche i suoi fratelli suonavano. Dominique comincia a studiare il violino a 8 anni. «All?inizio non mi diceva nulla». Poi, a 14 anni, la passione è nata improvvisa. Contro la volontà dei genitori, «sognavano per me l?università, il matrimonio, un futuro da brava madre di famiglia», se ne va di casa e decide di dedicarsi completamente alla musica. Studia e intanto si arrangia con lavori vari: accompagna al piano le prove del corpo di ballo del Teatro della Monnaie, si esibisce nei caffè e ai matrimoni, fa la musicista di strada e suona in un?orchestra sinfonica: «Sentivo che mi mancava sempre qualcosa. Sarei stata soddisfatta se avessi potuto suonare ininterrottamente, ma c?erano delle pause, dei vuoti. Quando non suonavo mi sentivo infelice». Un giorno scopre le opere della psichiatra Elisabeth Kübler-Ross e in particolare il suo lavoro con i malati terminali utilizzando l?arpa. Grazie al suo compagno dell?epoca, un medico, Dominique entra nell?ambiente dell?ospedale. All?inizio si occupa di anziani, poi di malati più giovani. Col tempo arrivano i bambini. Dominique scopre quanto per loro sia ancora più dura la morte in ospedale: «Quando si sente diagnosticare una malattia inguaribile, l?adulto è già morto. Da quel momento in poi per lui tutto cammina verso la fine. Per un bambino è diverso. La malattia, la sofferenza, l?ospedale, sono un?esperienza ancor più terribile perché non capisce. Non capisce perché d?un tratto gli è permesso fare cose che prima erano proibite e non farne altre che prima era obbligato a fare. Non capisce perché la mamma piange sempre e perché tutti sono così gentili. Sembra un paradosso, ma il dramma di un bambino che muore non è il morire, ma il non capire che cosa sta succedendo attorno. È l?incertezza, la lontananza da casa, dai fratelli e dalle sorelle, dagli amichetti, dal suo uccellino, dalla sua bicicletta… È avere tanti pensieri in testa e nessuno che ti ascolti». Io parlo con il mio violino Il segreto, dice Dominique, è tutto qui: prestare attenzione. «Quando mi presento per la prima volta con il mio violino, i bambini non sanno chi sono. Capiscono però subito che non rientro in nessuna delle categorie note: niente camice, niente tonaca. Abiti un po? buffi, colorati, magari una minigonna. Prima di entrare non so ancora che cosa suonerò. Seguo l?istinto. Cerco di farmi più piccola possibile, parlo a bassa voce. E poi suono. «Non Bach o Mozart, certo, ma melodie semplici, riconoscibili. Se vedo che non va, cambio, finché mi rendo conto: sì, questa funziona». Molto spesso sono i bambini stessi che dopo il primo momento di perplessità chiedono: la sai quella che fa…? «Canticchiano e io ripeto, a volte non conosco la canzone e così sono loro che mi insegnano». Pian piano, delicatamente, si annoda un filo: «In un mondo che muore dal bisogno e dalla mancanza di comunicazione, la musica è una ricchezza. Ciascuno di noi ha la sua musica. Bisogna solo ritrovarla. E quando il corpo è malato l?udito si acuisce al massimo. Dominique compone anche musica per i suoi bambini, ispirandosi al loro nome, a un colore che amano: «A loro piace enormemente: suoniamo, cantiamo, componiamo insieme…». Nella piccola stanza dai colori solari dove vive, alle pareti sono appese le foto di quelli che la laicissima Dominique considera alcuni dei suoi maestri di vita – George Ivanovich Gurdjieff, Aldous Huxley, Sri Aurobindo – e le foto dei bambini conosciuti nel corso degli anni, che indica mescolando nomi e storie. «La musica permette a chi sta lasciando la vita di non sentirsi prigioniero dell?agonia. E il fatto che ci sia qualcuno che suona, che interpreta questa musica, consente una comunicazione al di là delle parole. A volte si creano rapporti così intimi che i parenti rimangono sorpresi. I bambini con me parlano e dicono cose che non osano chiedere ai genitori. Il momento della morte è quello in cui ogni barriera cade. Se non c?è comunicazione in quel momento l?essere umano non ha più speranza». Con gli anni è cresciuta in Dominique l?insofferenza verso l?ipocrisia che circonda i malati: «Ti trattano come se fossi già morto, e al tempo stesso cercano di farti credere che hai ancora un futuro. Medici, infermieri, si appropriano della tua morte». ?Dominique Musique? è appassionata e perentoria, spontanea e irriducibile. Consapevole di essere un personaggio scomodo, estremo e contraddittorio. Ufficialmente disoccupata e ?senza fissa dimora?, da anni vive in casa di amici e conoscenti in situazione altrettanto precaria. Attualmente si mantiene con un sussidio che le è stato concesso dal comune di Etterbeck. Per sua stessa ammissione Dominique non sa e non vuole conciliare il suo impegno per i bambini malati con un altro lavoro ?regolare?. Vorrebbe che lo Stato riconoscesse l?attività che svolge e che invece non rientra in nessuna mansione o qualifica prevista e non è quindi retribuibile. Il suo rifiuto di aderire a qualsiasi ente ufficiale di volontariato, «Vogliono sempre stabilire regole, etichette, mentre perché questo lavoro funzioni bisogna essere disponibili fino in fondo, senza limiti, senza preclusioni, 24 ore al giorno», le preclude sostegni economici alternativi. Tempo fa le hanno tolto il sussidio perché rifiutava lavori retribuiti. Senza soldi né casa, Dominique è stata costretta ad accettare che i suoi due figli, che oggi hanno 15 e 17 anni, finissero in collegio. Una scelta difficile da capire, ammette, e che ancora resta sofferta: «Non so se i miei figli capiscono quello che faccio, ma credo che mi rispettino». La mia battaglia contro i ricoveri coatti Una battaglia in cui Dominique si è molto impegnata è quella contro il cosiddetto ?accanimento terapeutico?, per avere la possibilità, quando non c?è più nulla da fare, che i bambini tornino a casa, a morire vicino ai loro cari, in mezzo ai loro giocattoli. «In Belgio è molto difficile, perché se a un bambino viene diagnosticata una malattia grave o inguaribile, i genitori sono obbligati per legge a ricoverarlo. A volte del resto sono loro stessi che non se la sentono: che fare se il figlio poi sta male, se peggiora all?improvviso? Io dico: starò con voi, vi aiuterò, ma quasi sempre hanno paura. Io non sono né un medico, né un?infermiera. E loro in quel momento non riescono a capire che camice e qualifica non servono più. È così che il 99% dei bambini muore in ospedale». Solo in cinque casi Dominique è riuscita finora a ottenere dai medici il permesso di riportare a casa uno dei suoi bambini. E con orgogliosa commozione ricorda il piccolo Luc, che appena tornato è andato in giardino, è saltato sulla bicicletta e ha cominciato a pedalare, pedalare, pedalare. «Dopo un?ora è morto, sulla sua bicicletta». O Laurence, 13 anni, che ha trascorso le ultime tre ore della sua vita cantando ininterrottamente: «Tutti la guardavano allibiti. Abbiamo suonato e cantato tutte le canzoni che conosceva». Luc e Laurence, vivi fino a un attimo prima di morire: «Qualcuno dice che c?è qualcosa di morboso in quello che faccio. Ma questi bambini sono stati per me degli insegnanti straordinari. Ancora non ho imparato che cos?è la morte, ma ormai so che cosa è la vita». Anche la vita dei bambini che guariscono. «In un bambino che ha fatto la chemioterapia, lo sviluppo è compromesso. Esce dall?ospedale ?guarito?, ma per lui la vita non sarà mai più la stessa. Se poi magari viene da un ambiente familiare disagiato, il padre che beve, la madre sempre fuori, presto finisce per rimpiangere l?ospedale. La sofferenza, la malattia, si dimenticano una volta fuori, e resta il ricordo di un luogo dove non c?erano compiti da fare né piatti da lavare, dove mamma e papà erano sempre disponibili e tutti erano gentili. Un paradiso». Musica e cartoline L?idea è nata qualche anno fa, quando Dominique Musique si trovava in Grecia per una serie di concerti. ?Avevo promesso ai miei bambini di tenermi in contatto e loro sono stati talmente felici e orgogliosi di ricevere una cartolina con il proprio nome, che mi hanno chiesto di farlo ancora?. Scrivere decine di cartoline ogni settimana è diventato però con il tempo un impegno economicamente troppo gravoso. Dominique ha lanciato così attraverso i giornali l? ?Opération cartes postales?, chiedendo di inviarle cartoline allegre e divertenti e francobolli per poter continuare a scrivere ai suoi bambini. Chi volesse partecipare all?iniziativa o contattare ?Dominique Musique? per ulteriori informazioni può rivolgersi al seguente indirizzo: 10, rue Vandenbroeck, Ixelles, Bruxelles; telefono 0032-(0)477-797038.


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