Famiglia
L’amore non si misura in performance. Troppi “sei bravissimo” fanno danni
Cosa accomuna Carlotta Rossignoli, (che si è laureata in Medicina a tempo record al San Raffaele di Milano), la ginnasta Giulia Galtarossa e Riccardo Faggin, morto in un incidente stradale alla vigilia della laurea, inesistente? «La paura di non essere abbastanza amati, e un amore confuso con una performance di successo», dice la pedagogista Emily Mignanelli
«In una relazione viziata – spiega la pedagogista Emily Mignanelli – l’amore si guadagna con le prestazioni: quando faccio qualcosa bene, mi vien detto bravo. Quando mi vien detto bravo gli adulti che ho accanto sono felici. Quando gli adulti che ho a fianco sono felici tengo stretta la mia vita. In pratica: se sono bravo sono amato. Attenzione, però: a quale prezzo psicologico si ottiene un "bravo bambino"?».
Mignanelli mette in guarda genitori, educatori, allenatori e in generale tutti gli adulti che hanno a cuore la crescita armonica dei bambini e dei ragazzi. «Tutti questi “sei bravissimo possono fare danni enormi», perché «riempire il bambino di lodi, di bravi, di giudizi entusiasti, costruirgli un’immagine di sé elevatissima, ineccepibile è la miglior via per renderlo un adulto fragile, insicuro, spaventato, nevrotico, con un senso di inferiorità costante verso quello standard costruitogli. La paura di non essere più bravo sarà direttamente collegata alla paura di non essere amato e quindi di non sopravvivere».
Tutti questi “sei bravissimo possono fare danni enormi. Riempire il bambino di lodi, di bravi, di giudizi entusiasti, costruirgli un’immagine di sé elevatissima, ineccepibile è la miglior via per renderlo un adulto fragile, insicuro, spaventato
Emily Mignanelli
«La vita del bambino – chiarisce l’esperta- è appesa ad un filo tenuta nelle mani del genitore e il piccolo sa che per sopravvivere deve ricevere lo sguardo benevolo di quelle che a tratti alterni sono custodi, divinità e sequestratori. Spesso la strategia che il bambino trova per esser amato, visto e protetto è quella di aderire all’immagine che i genitori ne hanno, un’immagine che si è plasmata molto prima della sua nascita, che raramente ha a vedere con lui, ma riguarda la loro di infanzia, la loro personalità e il prolungamento di questa. Arduo è il compito genitoriale, ancor di più lo è riuscire a vedere il bambino per quel che è, ripulito dalle nostre considerazioni, desideri e costruzioni anatomiche di sogni».
Secondo Mignanelli, «l’esperienza di Carlotta Rossignoli, (la 23enne veronese che si è laureata in tempo record in medicina al San Raffaele di Milano), la ginnasta azzurra Giulia Galtarossa e Riccardo Faggin, morto pochi giorni fa in un incidente stradale alla vigilia della laurea, inesistente, hanno un denominatore comune: «la paura di non essere abbastanza amati, e un amore confuso con una performance di successo».
Carlotta Rossignoli, la 23enne veronese che si è laureata in tempo record in medicina al San Raffaele di Milano, chiarisce Mignanelli, «fa storie su Instagram dove riprende la madre che legge articoli di giornale in cui si parla di lei e le chiede se sia orgogliosa di sua figlia. La madre risponde che è la figlia migliore del mondo e qui si consuma sotto gli occhi di tutti gli spettatori il dolore del “dover essere”. Carlotta cerca quello sguardo. Anziché concentrarsi sui presunti illeciti iter di conseguimento della laurea, ciò che era da raccogliere era il sacrificio di questa giovane che per amore ha bruciato tappe, sacrificato tempo per dare ciò che percepiva esser chiesto: la figlia migliore del mondo. Un atto d’amore per rimanere in vita».
Giulia Galtarossa, una dell'ex campionesse mondiali che ha denunciato gli abusi nella ginnastica ritmica, ha parlato di umiliazioni, vessazioni psicologiche per vincere medaglie, per aderire al sogno della campionessa, per intingere di sangue una parete con medaglie colanti. «La polemica è giustamente sulla federazione, ma la domanda è perché una bambina abbia potuto tacere, accettare, come i genitori non abbiano percepito e salvato la piccola. È forse l’aspettativa del successo più potente dell’intima percezione del dolore e della conseguente azione protettiva?»
Emily Mignanelli lo chiarisce: «pongo domande, non lancio invettive: perché quel genitore potremmo esserlo tutti e lo siamo quando ad esempio lasciamo i nostri figli a scuola dicendo loro “Fai il bravo mi raccomando”, e non “Sii te stesso e ascolta ciò che si muove dentro di te”. Quella di queste madri e di questi padri è la storia di molti di noi adulti di quest’epoca che diamo stipendi di amore ai figli operai delle fabbriche delle nostre aspettative. Noi siamo l’operazione e loro il risultato».
Quel genitore potremmo esserlo tutti e lo siamo quando ad esempio lasciamo i nostri figli a scuola dicendo loro “Fai il bravo mi raccomando”, e non “Sii te stesso e ascolta ciò che si muove dentro di te
Emily Mignanelli
«I figli – prosegue- hanno bisogno di un amore incondizionato, di un accompagnamento nel riconoscimento delle emozioni, di un allenamento alla frustrazione che non mette mai in dubbio la propria personalità. Il successo è un inciampo e conseguenza naturale della realizzazione di sé, non può mai essere obiettivo tout court o diverrebbe una tragedia annunciata della percezione di sè, della dispersione delle intime connessioni con se stessi.
Forse è quello che potrebbe essere successo a Riccardo Faggin, morto pochi giorni fa in un incidente stradale alla vigilia della laurea in infermerie, inesistente. Lui, osserva Mignanelli, «accelera fino a schiantarsi perché non sa più come uscirne dal grande palinsesto delle menzogne raccontate a genitori e parenti. La madre dice “Dovevamo ascoltarlo di più” ed è vero, ma non sempre basta ascoltare se non abbiamo prima creato le condizioni per una libera manifestazione di se stessi. Riccardo aveva lanciato segnali e ora i puntini i genitori li uniscono, ma non poteva parlare di più se sentiva che l’immagine che doveva fornire era quella del risultato, del portare a casa un voto o un piccolo successo per ottenere un sorriso, un “sono orgoglioso di te”. Non conosco i dettagli della loro storia, ma anche questa è una storia che potrebbe essere quella chiunque, di Giulio, Paola, Sabrina, ecc..
Talvolta, aggiunge ancora la pedagogista, «la paura di non essere più bravo è direttamente collegata alla paura di non essere amato e quindi di non sopravvivere».
«Provate a farvi un giro sul libro “iI dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, (Bollati Boringhieri), due pagine al giorno non di più. Alice Miller spiega nei dettagli quali possono essere le conseguenze dell’esser stato dei bravi bambini, ovvero dei bambini estremamente sensibili che sono accorsi in soccorso delle fragilità dei genitori. Sacrificandosi sull’altare dell’amore hanno smarrito se stessi. Contateli i bravi che dite ogni giorno ai vostri figli, poi contate i bravi che ricercate per voi».
Contateli i bravi che dite ogni giorno ai vostri figli, poi contate i bravi che ricercate per voi
Emily Mignanelli
Già… ma allora che fare?
«Semplice, iniziate a cambiare», conclude Mignanelli. «Ogni volta che state per dire un bravo pensate per cosa lo state dicendo e verbalizzate il processo mentale completo che avete fatto.
Alcuni esempi:
– Giulia vi porta a far vedere un disegno, invece di lodarla provate a dire “Sembra che tu ti sia divertita moltissimo, è così?”
– Se il bravo vi sta uscendo per un nuovo progresso del bambino provate a nominarlo e esprimere la vostra vicinanza, es: Luca ha appena fatto una capriola dopo tanto che ci provava, potete dirle “Che bello che sei riuscito a fare una capriola dopo così tanto esercizio devi essere orgoglioso di te stesso!”;
– la mattina quando lo portate a scuola, invece di dirgli “fai il bravo oggi”, provate a dire “spero che tu trascorra una splendida giornata. Sii te stesso".
Mi raccomando non confondete il riconoscimento e il bisogno di esser visti con la gratificazione dell’adulto.
E’ molto semplice condurre un bambino dove vogliamo noi, è difficilissimo riportare un adulto smarrito da dove tutto era partito».
Foto in apertura: Emily Mignanelli
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