Cultura

Servizi di biosicurezza

Altolà all’agricoltura da laboratorio. Gli Stati potranno impedire l’ingresso di prodotti anche in via precauzionale. Ma un blitz dei Paesi produttori di grano blocca l’obbligo di etichetta

di Carlotta Jesi

Organismi geneticamente modificati, no grazie. Per non ritrovarsi bistecche agli ormoni nel piatto, da oggi i nostri governi potranno chiudere le frontiere ai prodotti agricoli creati in laboratorio anche se la loro pericolosità non è stata provata scientificamente. Lo hanno deciso e messo nero su bianco i 700 rappresentanti di governi e organizzazioni non governative internazionali che il 28 gennaio, a Montreal, dopo sei anni di difficili negoziati hanno approvato il Protocollo sulla biosicurezza. «Un documento importantissimo», spiega Mauro Albrizzi di Legambiente precisando che il protocollo diventerà attuativo solo se almeno 50 Stati lo sottoscriveranno nel prossimo vertice dell?Onu sull?ambiente in programma dal 15 al 26 maggio a Nairobi, «perché protegge dai rischi che comporta il trasporto di organismi geneticamente modificati da uno Stato all?altro». Inquinamento atmosferico dovuto alla fuga di geni, diminuzione della biodiversità e rafforzamento involontario di batteri nell?ambiente; reazioni allergiche a geni sconosciuti immessi nel cibo per le persone. Rischi che prima di Montreal si trasformavano in terribili conseguenze perché, secondo gli accordi internazionali del commercio combattuti dalla società civile del mondo a Seattle, produzione, vendita e trasporto di organismi geneticamente modificati potevano essere vietati solo se, scientificamente, ne fosse stata provata la pericolosità. «Operazione praticamente impossibile», precisa Albrizzi, «perché mancano conoscenze e dati epidemiologici per farlo. Quando metti un gene dentro al cibo, potrebbe essere buono oppure no, ma il vero problema è che si scopre solo dopo che è stato mangiato. La vera conquista del vertice canadese è il riconoscimento del principio precauzionale: se un Paese ha anche solo il sospetto che i cibi transgenici sono pericolosi per il suo ecositema, potrà vietarne l?importazioni nei suoi confini». Proprio come avevano chiesto l?Unione europea e i 50 mila attivisti dell?ambiente e dei diritti umani a Seattle bloccando il vertice dell?Organizzazione Mondiale per il Commercio. I cui accordi internazionali oggi hanno lo stesso peso di quelli sulla protezione dell?ambiente. Per cui nessun Paese dovrà più accettare importazioni di prodotti agricoli che ritiene pericolosi perché così vuole il Wto e la globalizzazione. Una vittoria su tutti i fronti, dunque? «No», risponde Albrizzi, «all?ultimo momento i sei Paesi che detengono il 90% del mercato mondiale di granaglie geneticamente modificate – Usa, Canada, Argentina, Cile, Australia e Uruguai- hanno votato contro l?obbligatorietà di etichette chiare sui prodotti transgenici. Ma questo sarà solo l?inizio per una nuova battaglia di cui il protocollo di Montreal ha fissato le regole e futuri obiettivi». Tra cui un vero sostegno ai Paesi in via di Sviluppo che al secolo delle biotecnologie si affacciano senza i mezzi e le conoscenze necessarie per prevedere i principali pericoli. Come aiutarli? «Condonando il loro debito estero con programmi di sostegno vero», propone Legambiente. Che ha già in mente una proposta per trovare i finanziamenti necessari: la Tobin tax. «Ossia il prelievo dell?1% delle grandi speculazioni internazionali che si svolgono nei paradisi fiscali, come suggeriva il premio Nobel James Tobin. Una piccola percentuale sulle transazioni finanziarie che, in tutto il mondo, consentirebbe di raccogliere circa 11 milioni di miliardi per il Sud del mondo».


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