Cultura

Il Liga? Dazeroadieci si merita un bello zero

Recensione di Aurelio Picca del film "Dazeroadieci"

di Aurelio Picca

Io che amo le automobili quasi quanto gli uomini, ho pensato che si trattasse di un nuovo prototipo che polverizzasse tutti i record del vento del deserto. Mi ero illuso che con un titolo così, Dazeroadieci, la velocità pura della giovinezza potesse vincere almeno su un fottutissimo pomeriggio carnevalesco. «Mi è andata male» diceva De Niro in C?era una volta in America, ed è andata male pure a me con Luciano Ligabue che ora si è messo in grande (come regista) e monta un ospizio dei poveri, datato Settecento borbonico, e lo chiama Rimini. Liga vorrebbe schizzare con le telecamere per le discoteche di Rimini come se stesse correndo nella luce di Las Vegas, vorrebbe che Rimini di notte fosse Las Vegas e, invece, è così lontana anche dalla Rimini di Tondelli che pure l?audio sembra registrato per sfondare i timpani, ed è davvero tutto inconcepibile per essere stato pagato da un produttore. Insomma, Ligabue regista fa incontrare a Rimini un gruppo di ex ragazzi (uomini e donne) dopo vent?anni. Li assortisce bene: il medico, lo spiantato, la moglie, la lesbica, il gay, il malato e la divorziata. Le rondelle della trama le sceglie alla Grande Fratello. Ma poi? Poi gli ex ragazzi riprendono le storie interrotte in questo nuovo weekend della vita. Ma sono vecchi, appesantiti dalla povertà dei loro sogni. Sono bellissimi invece i vecchi veri, quelli che continuano i valzer nelle balere e alla fine del primo tempo, come me, decidono di alzarsi e andare via.


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