Non profit

Un Patto per tutti nessuno escluso Neppure i deboli

Intesa fra imprenditori, sindacati (ma non la Cgil), Comune e Terzo settore. L’utilizzo della flessibilità e del part-time a livello locale. Il giudizio del sociologo del lavoro De Masi.

di Domenico De Masi

Per capire la portata innovativa del ?Patto per il lavoro? siglato pochi giorni fa a Milano bisogna partire da lontano e più precisamente dalle tre grandi rivoluzioni, dalle tre grandi onde lunghe, come le chiamerebbe lo storico francese Braudel, che hanno segnato la storia della nostra società. La prima, iniziata settemila anni fa, è quella che viene da noi identificata con la società rurale, in cui dominava la produzione agricola, il potere era nelle mani dei proprietari terrieri, il mercato aveva una dimensione locale. Le classi sociali erano identificabili nell?aristocrazia, nel clero, nell?artigianato, nei servi della gleba, nei contadini, nel sottoproletariato urbano. Oltre alle guerre di conquista e dinastiche, i conflitti – dai Gracchi a Masaniello – scoppiavano soprattutto per la fame e la ripartizione delle derrate alimentari. La seconda grande onda è iniziata alla fine del ?700, sotto la spinta del progresso tecnologico (vapore, energia elettrica) e delle ricchezze coloniali. È? quella che noi identifichiamo con la società industriale, in cui ha dominato la produzione manifatturiera in grandi serie di beni materiali come l?acciaio, le automobili, gli elettrodomestici. Il potere, di conseguenza, è passato dalle mani dei proprietari terrieri a quelle degli imprenditori, il mercato ha acquisito una dimensione nazionale, il conflitto prevalente è stato quello tra gli operai da una parte e i datori di lavoro dall?altra. La caratteristica principale di questo conflitto di classe è stata la chiarezza: delle parti in causa, della posta in gioco, del campo di battaglia, dei metodi di lotta delle alleanze possibili. Vi erano due interessi contrapposti e due blocchi antagonisti – proletariato e borghesia – che si scontravano in fabbrica; ognuno cercava di accaparrarsi la fetta maggiore del plusvalore che si creava nei reparti di produzione; quanto più potere e più ricchezza confluiva da una parte, altrettanta ne mancava nell?altra. I metodi di lotta erano la contrattazione, lo sciopero e, nei casi estremi, la rivoluzione. Questo scenario è profondamente mutato a partire dalla seconda guerra mondiale, che ha segnato l?inizio della terza grande ondata: quella dell?attuale società post-industriale. In questo terzo scenario domina la produzione di beni immateriali come i servizi, le informazioni, i simboli, i valori, l?estetica. Il mercato è divenuto globale. Il potere, di conseguenza, è passato dalle mani di industriali come Falk o Pirelli, produttori di acciaio o di pneumatici, a quelle di nuovi soggetti come Berlusconi, Armani, Monsignor Martini, il giudice Borrelli, dominanti per la loro capacità di produrre beni intangibili. In tale scenario, il conflitto ha cambiato ancora una volta i suoi connotati. Oggi la posta in gioco non consiste soltanto nell?accaparrarsi la fetta maggiore della ricchezza prodotta, ma nel potere di progettare il futuro e imporre tale progetto agli altri, attraverso la creazione del consenso. Per fare questo occorre soprattutto il sapere: scientifico, tecnico, tecnologico, sociologico, manageriale. Di qui l?importanza crescente dei professionisti, dei lavoratori colti, dei knowladge workers come li chiamano in America; del moltiplicarsi delle parti in causa: azionisti, dirigenti, esperti, consulenti, distributori, consumatori, opinione pubblica. Di qui la difficoltà di individuare la controparte e i possibili alleati e quindi la necessità da parte dei sindacati di tutelare non solo gli occupati, ma anche i disoccupati, soprattutto se svantaggiati dall?età o dal fatto di essere immigrati. È qui allora che emerge l?importanza e la novità di un patto come quello di Milano (?Milano Lavoro?), che crea un ambito di consultazione permanente tra le associazioni imprenditoriali, i sindacati e il Comune per promuovere una flessibilità adatta a procurare lavoro anche per le fasce deboli come gli extracomunitari e i disoccupati con più di quarant?anni, e anche, è una novità dell?ultima ora, i soggetti in situazione di disagio psicofisico o sociale. Un?imporanza e una novità che risottolinea quanto la partita dell?occupazione si giochi oggi a livello locale e in una visione concertativa diversa da quella tradizionalmente intesa. Una concertazione meno rigida che produce strumenti e servizi per i cittadini.


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