Welfare

In carcere è guerrama nessuno la vede

La cronista di Vita nei penitenziari più duri e dimenticati del Paese. Un incredibile campionario di abusi, violenze e arbitri che sembrano non interessare il ministro Diliberto.

di Cristina Giudici

All’indomani della sparatoria avvenuta nel centro di Milano, il 6 febbraio scorso, per opera di un pluriomicida in semlibertà, il pentito Aurelio Concardi, il ministro della Giustizia ha dichiarato «Ci vogliono nuove regole per rispondere alle richieste di sicurezza, ma non si deve abbassare la guardia delle garanzie». A quali garanzie si riferisce Diliberto? A quelle dei sucidi inspiegabili e delle morti inspiegate che quasi ogni giorno avvengono nelle carceri italiane? O forse parla delle botte, dei maltrattamenti subiti dai detenuti negli istituti di pena più sovraffollati? O forse della mancanza di legalità, assistenza medica, dell’assenza di educatori, di volontari, di operatori sociali sostituti dalla squadre speciali? No, il signor ministro si riferisce alle garanzie concesse a killer pentiti, gli unici che ormai possono ottenere il diritto a lasciare le loro celle. Altro che legge Gozzini. Come dimostra l’inchiesta condotta da Vita nelle carceri italiane è iniziata una guerra. Ecco le prove. Rebibbia nuovo complesso 1421 Sono soprattutto gli stranieri e i tossicodipendenti a soffrire di più . Nel reparto di transito G7, per esempio, dove i “comuni” dovrebbero stare solo per qualche ora prima di essere destinati alle sezioni o trasferiti in altri istituti, non c’è riscaldamento, le celle sono umide e sporche, i blindati delle celle non si aprono mai. Contrariamente alle norme dell’esecuzione della pena che impongono l’abolizione di questa sezione, in questo piccolo e buio “braccio” di Rebibbia finiscono i cosiddetti “puniti”. Inutile la protesta di un albanese che dopo un litigio è finito al “transito” per ben 56 giorni! Da un anno a Rebibbia il Tribunale del malato ha istituto un osservatorio a cui partecipano gli stessi detenuti. I casi di malasanità sono già un centinaio. «I detenuti sono vittime dell’incuria dei medici penitenziari e della discriminazione degli ospedali esterni», ci dice Corrado Stillo del Tribunale del malato di Roma, «ci sono carcerate con la mascella fratturata aspettano da mesi una radiografia, cardiopatici che non trovano un ospedale diposto a ricoverarli, ma accadono anche fatti gravissimi come la somministrazione di farmaci sperimentali scaduti». Vogliamo fare nomi e cognomi? La vicenda inaudita subita da Giulio Vanacore, recluso a Rebibbia è arrivata sulla scrivania dell’associazione. «Si tratta di un seminfermo di mente a cui è stata somministrata in via sperimentale la rivapirina», si legge nella denuncia «anche dopo la data di scandenza». Ma non è finita qui. Nel settembre scorso Pastolino Lopez immobilizzato a letto da una totale incontinenza, con le gambe ricoperte da ulcere vine è stato trattato unicamente con fleboclisi per l’alimentazione mentre Mario Frappetti di 77 anni (!!) anche lui immobilizzato a causa di gravi problemi alla prostata da tempo è in attesa di trattamento chirurgico. Parma , uno strano suicidio É qui che i detenuti vengono mandati da vari istituti penali per essere puniti con il regime ristrettivo 14 ter che sospende ogni attività trattamentale, colloqui e possibilità di chiedere ogni beneficio di legge. Ed è qui che il 15 gennaio scorso, un condannato extracomunitario esasperato ha capeggiato la rivolta di sette detenuti prendendo in ostaggio un agente. Nel supercarcere di Parma, dove Antonio Fabiani, inchiodato sulle rotelle a causa di un intervento chirurgico andato male in un centro penitenziario, è arrivato il 14 gennaio, pieno di astio, a scontare la sua punizione del 14 ter. Viene ritrovato mercoledì 19 gennaio impiccato con un calzino nel centro clinico. La moglie Paola Attili e il suo avvocato Claudio Sforza denunciano la stranezza del suicidio di un uomo che non poteva neanche alzarsi dalla carrozzella e che dal carcere aveva inviato un fax in cui diceva: «qualsiasi cosa avvenga, fatemi fare l’autopsia». La direzione smentisce ogni irregolarità, ma sul carcere pesano molte ombre, a partire dalle proteste dei 20 carcerati paraplegici che da un anno chiedono al ministero di essere trasferiti in una sezione senza barriere architettoniche. I carcerati disabili infatti vivono al primo piano di una sezione collegata a pian terreno solo da uno stretto montacarichi, fanno fatica ad uscire dalle celle anguste e non possono usare il bagno perché inadatto alle loro condizioni. il loro dissenso respingendo il carrello del vitto, si lamentano «di essere trattati come bestie» e di non I detenuti dicono ogni giorno di «non sopportare la durezza della detenzione». Nel carcere di Parma che ospita 650 detenuti, di cui 450 definitivi, ci sono solo 50 condannati che possono usufruire dei benefici di legge. Bologna : vessazioni quotidiane Vetri divisori durante i colloqui, divieto di tenere più di cinque libri in cella o adirittura di introdurre pietanze o dolci commestibili dai parenti. L’ottusità delle piccoli vessazioni quotidiani da parte degli agenti penitenziari adottati durante l’assenza del direttore dell’istituto, ha fatto scoppiare l’ira di 60 detenuti del reparto penale. Secondo i detenuti le circolari adottate sono mirate a una continua mortificazione dei loro diritti che va dalla mancanza dei famaci di base fino alla limitazione di indumenti, generi alimentari o addirittura il permesso di fumare una sigaretta durante il colloquio. Le celle “liscie” di Regina Coeli Botte da orbi. Ecco come si traduce la rieducazione nella casa circondariale romana di Regina Coeli dove Franco Calabrese, è stato portato il giugno scorso con l’accusa di guida senza patente e oltraggio al pubblico ufficiale. Afflitto di epilessia, Calabresi viene rinchiuso in una cella “liscia” dell’ottava sezione: dentro solo una branda e un materasso sporco di escrementi. «Alle quattro del mattino», ha raccontato il detenuto nella sua denuncia,« sono entrati in cella e mi hanno svegliato tirandomi un calcio nelle gambe. “Cesso svegliati”, urlavano,” perché hai tolto il materasso?” Poi hanno cominciato a picchiarmi, rompendomi anche un dito del piede». Preso dalla disperazione, Calabresi si è attaccato alla sbarra della finestra per chiedere soccorso ed è riuscito ad incontrare l’ispettore Antonio Massimi a cui ha confidato «Mi vogliono far morire». In breve arriva la seconda punizione. Con schiaffi, calci e una sbarra di ferro, quella che viene usata per battere contro le sbarre delle celle. Secondo la versione del detenuto, che è stato processato con l’accusa di aggressione nei confronti degli agenti, lui avrebbe cercato di difendersi staccando il tubo del rubinetto e tirandolo in testa ad un agente, ma la diagnosi dei medici non lascia molti dubbi: Franco Calabresi è stato massacrato. Possibile che per fermare un uomo inferocito e disperato si debba arrivare a tanto? Calabresi, condannato a otto mesi per aggressione, perde un occhio. Poggio reale e Secondigliano Sono i due carceri napoletani noti per episodi di maltrattamento. A Poggioreale tutti sanno della cella “0”, dove si pratica il celebre motto «punire per prevenire». è una delle carceri più affollate d’Italia con celle da 4 a 16 detenuti. I reclusi imparano subito a stare sugli attenti o guardare per terra in presenza degli agenti. Mille in più rispetto alla capienza del fatiscente istituto. Nel reparto Avellino non c’è riscaldamento né acqua calda e i detenuti devono scegliere se fare la doccia o incontrare i propri familiari, visto che entrambi i “privilegi” (previsti una volta alla settimana), sono sempre concomitanti. A Secondigliano, carcere napoletano di massima sicurezza, incominciano ad emergere fatti gravissimi. Dopo le denunce (archiviate) nei confronti di agenti nei primi anni ‘90, il 27 marzo si aprirà un processo in cui sono imputati 20 poliziontti penitenziari, accusati di maltrattamenti. : «A. V. cagionava a E. P. lesioni personali, percuotendolo con un cinturone più volte sulle gambe, in particolare all’interno della coscia destra nella zona inguinale…» si legge nel decreto di citazione a giudizio. La querela è del 18/11/’98. Ma gli agenti, gli stessi che il ministro Diliberto ha elevato al ruolo di eroi, preposti per legge alla rieducazione del condannato, hanno istituito un regime di terrore. «Tu non hai capito che qui comandiamo noi», dice, secondo la denuncia, uno dei poliziotti al carcerato autore dell’esposto, «non hai capito che io ti posso rovinare, che i magistrati non possono fare niente perché non ci sono le prove». (ha collaborato Maura Gualco)


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