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Ischia, tragedia fatta di incuria, crisi climatica e cementificazione

L'ultima vittima accertata, il fratello 15enne dei due bimbi trovati ieri, porta a otto il bilancio delle vittime. Ancora quattro i dispersi, mentre gli sfollati salgono a 230. Le associazioni ambientaliste concordano: «Tragedia climatica, ma soprattutto umana, un dramma dovuto all’incuria dell’ambiente naturale e della cementificazione»

di Luca Cereda

«Sono passati tre governi, tre ministri dell’Ambiente e siamo ancora senza un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), che fu approvato in bozza dal governo Gentiloni nel 2018 e da allora ammuffisce in un cassetto», segnala il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani. Perché la frana che ha scosso e ucciso a Ischia è il terzo evento estremo negli ultimi tre lustri sull'isola campana. Situazioni che la crisi climatica sta intensificando in tutto il Paese. «Ischia però dimostra che non abbiamo imparato abbastanza, a partire dalla vulnerabilità di un territorio fragile dal punto di vista naturale con un terreno fangoso e particolarmente colpito dalla cementificazione, sia quella autorizzata e che abusiva», spiega Ciafani,

Da inizio 2022 in Campania si sono registrati 18 eventi climatici estremi, 6 solo nel mese di novembre. Salgono, inoltre, a 100 i fenomeni estremi monitorati nella regione dal 2010 fino ai primi giorni di novembre 2022, tra questi sono 38 i casi di allagamenti e alluvioni e 4 le frane da piogge intense. «Eventi intesi come quello dell’altro giorno diventano ancora più pericolosi in un ambiente naturale argilloso e dove è chiaro a tutti gli abitanti, quale sia la causa principale del disastro: l’errata pianificazione urbana e la mancanza di cura delle rogge e gronde di scolo, così come dei sottoboschi dell'isola», spiega con semplicità disarmante Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania.

Certo, la cementificazione regolare e irregolare, ha giocato un ruolo decisivo nella tragedia di queste ore. Infatti sono preoccupanti anche i dati sull’abusivismo edilizio, in particolare ad Ischia sono circa 600 le case abusive colpite da ordinanza definitiva di abbattimento sull’isola maggiore dello splendido arcipelago partenopeo. Arriva a 27.000, invece, il numero delle pratiche di condono presentate in occasione delle tre leggi nazionali: di queste risultano negli uffici tecnici di Forio 8530 istanze, 3506 a Casamicciola e 1910 a Lacco Ameno. E dopo il Decreto Genova del 2018, contenente un condono per la ricostruzione post terremoto di Ischia, il numero di fabbricati danneggiati che hanno fatto richiesta di sanatoria sono ad oggi circa 1000. A diffondere i dati aggiornati sugli eventi estremi climatici in Campania e sulla piaga dell’abusivismo a Ischia è la stessa Legambiente che, con il suo Osservatorio CittàClima, all’indomani della tragedia che ha colpito l’isola, lancia un appello al Governo Meloni per chiedere tre impegni e azioni concrete, non più rimandabili, per la lotta alla crisi climatica e la mitigazione del rischio idrogeologico, garantendo la sicurezza dei cittadini: un piano nazionale di adattamento al clima, una legge contro il consumo di suolo, e l’istituzione di una cabina di regia nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico. «In Campania si deve essere chiari: sanatorie e condoni sono parole di condanna per chi vive in una regione dai piedi di argilla – aggiunge Mariateresa Imparato –. Nella nostra regione, ancora una volta, l’emergenza coincide con il malgoverno del territorio, quello che continua a condonare invece che abbattere gli edifici abusivi. In Campania il cemento legale e illegale ha reso il territorio ancora più fragile e con tristezza e rabbia oggi ritorniamo al decreto Genova del 2018 quando si è deciso di ricostruire con procedure più permissive i tre comuni colpiti dal terremoto ischitano del 2017, Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno, dove il numero di fabbricati danneggiati che hanno fatto richiesta di condono sono ad oggi circa 1000. La strada sbagliata in una regione dove su 6.966 ordinanze di demolizione ne sono state eseguite solo 1363, mentre solo il 19,6 % degli immobili colpiti da un provvedimento amministrativo è stato abbattuto».


Concorda anche l’altra grande associazione ambientalista italiana, il Wwf, ricordando che «la situazione dei sei Comuni dell’Isola è nota da tempo: le mappature delle aree a rischio sono pubbliche». E i numeri sono agghiaccianti, soprattutto alla luce di quanto accaduto e con le immagini di queste ore negli occhi: Sulla base del Piano di Assetto Idrogeologico, nel Comune di Ischia (il più grande dell’isola) si stima che quasi 3.700 persone vivano nelle aree con pericolosità di frana elevata o molto elevata. Nel Comune di Barano un terzo della popolazione vive in zone considerate a rischio frane elevato o molto elevato, percentuali sostanzialmente analoghe si registrano anche nel comune di Serra Fontana. Nel Comune di Forio si stima che oltre 1.150 persona vivano in zone a rischio elevato mentre sarebbero circa 900 quelle nelle zone ad alto rischio. Nel Comune di Lacco Ameno, il più piccolo dell’Isola, sarebbero oltre 550 i residenti nell’area a rischio molto elevato, mentre più di 400 quelli nell’area di rischio elevato. Nel comune di Casamicciola, quello interessato dai drammatici fatti di questi giorni, 800 abitanti circa sono nelle aree a rischio molto elevato e oltre 1.200 in quelle a rischio elevato. Per questo, «non serve essere tecnici per comprendere che non solo le costruzioni abusive e quindi illegali, che non possono assolutamente essere tollerate perché costituiscono un moltiplicatore di rischio che va ben oltre le persone che le abitano, ma anche quelle legali sono un rischio e a rischio».

Appello al Governo

Il primo impegno, che Legambiente in queste ore ha avanzato al governo guidato da Giorgia Meloni, è che entro la fine dell’anno l’Italia deve dotarsi di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, come hanno già fatto 24 paesi europei. Il piano nazionale in questione, rimasto in bozza dal 2018 e che prevede tutti quegli interventi che lo Stato, le Regioni e i Comuni devono mettere in campo per convivere con l’emergenza climatica. Dal 2018, sottolinea l’associazione ambientalista, si sono succeduti tre governi (Conte1, Conte 2, Draghi) e due ministri dell’ambiente e della transizione ecologica (Sergio Costa, che è pure campano, e Roberto Cingolani), ma nulla è stato fatto per approvare il piano e renderlo operativo a tutti gli effetti.

Occcorre poi approvare al più presto la legge contro il consumo di suolo in stallo da due legislature e dire basta alla logica dei condoni. Sono trascorsi quasi 10 anni da quando il Consiglio dei ministri approvò il ddl proposto dall’allora ministro all’Agricoltura Mario Catania per fermare il consumo di suolo in Italia, senza arrivare all’approvazione della legge in Parlamento. Da allora le proposte di legge si sono moltiplicate, sono trascorse altre 2 legislature, ma una legge per proteggere il suolo non è mai uscita dalle secche della discussione parlamentare. Dal 1985 al 2003 in Italia, poi, sono stati approvati tre condoni edilizi nazionali che avrebbero dovuto sanare edifici realizzati spesso in aree a rischio idrogeologico, sismico, costruiti anche con lavoro nero e/o materiali di scarsa qualità, con molte domande ancora inevase dagli uffici tecnici comunali. Nel 2018 la storia si è ripetuta, e nel decreto Genova dell’allora Governo Conte 1, è stato inserito un condono per Ischia prevedendo la sanatoria delle costruzioni abusive, anche in aree a rischio idrogeologico, secondo i criteri più permissivi della sanatoria varata nel 1985 dal Governo Craxi.

Il terzo impegno che Legambiente chiede al Governo Meloni è l’istituzione di una cabina di regia nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, sulla falsariga di quanto fatto con la struttura di missione Italia Sicura, cancellata inspiegabilmente dal governo Conte 1 poco dopo il suo insediamento. Serve mettere al centro della governance del territorio, oltre al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, anche le Autorità di distretto col compito di definire le priorità sul piano dei finanziamenti, indicando come spendere le risorse pubbliche per i vari interventi di mitigazione del rischio, facendole diventare un punto di riferimento per Comuni e Regioni non solo nella realizzazione degli interventi ma anche per il controllo e il governo territoriale.

Ciafani però chiosa: «Lo Stato si deve accollare l’onere e la responsabilità di affrontare la pianificazione delle delocalizzazioni di edifici residenziali o produttivi verso luoghi meno pericolosi: non si può ricostruire ciò che era stato edificato su terreni a rischio senza condannare altre vite. Per fare questo vanno decise le priorità, anche sul piano dei finanziamenti. E a questo proposito il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha detto che l’Italia va messa in sicurezza? Bene, ma questo come si concilia con il rilancio di un progetto come quello del Ponte sullo Stretto che collegherebbe due Regioni a forte rischio idrogeologico e due province già oggetto di alluvioni? Quali sono, dunque, le vere priorità?»

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