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La Consulta: «Il Terzo settore finanzia la spesa pubblica»

In una recente sentenza la Corte Costituzionale presieduta da Giuliano Amato ha precisato che « l’attività del Terzo settore “alimenta” – con la sua stessa attività, svolta senza fine di lucro – il finanziamento della spesa pubblica, non ricorrendo al classico modello del “prelievo tributario” ma convogliando risorse private verso attività di “interesse generale”: diversamente, dovrebbe essere lo Stato a raccogliere quelle stesse risorse mediante l’imposizione fiscale ed a redistribuirle, con margini di inefficienza ed inefficacia probabilmente maggiori»

di Luca Gori

La Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul Codice del Terzo settore. Lo ha fatto, con la sentenza n. 72/2022, a partire da una questione di costituzionalità sulla limitazione alle sole ODV del contributo per l’acquisto di ambulanze, automezzi sanitari ed altri beni strumentali, art. 76 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. La risposta della Corte è di ritenere conforme a Costituzione la previsione di misure di sostegno ad hoc per le sole organizzazioni di volontariato come quelle in discussione, poiché le ODV operano avvalendosi prevalentemente di volontari associati, a fronte – di norma – del solo rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate e con la limitazione alla possibilità di ricorrere a lavoratori. Il giudice, tuttavia, invita il legislatore a considerare anche altri ETS che potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni delle ODV, come le APS.

Tuttavia, il dato più interessante – come già la Corte ha abituato, a partire dalla sentenza n. 131/2020 (significativamente commentata dal Presidente Giuliano Amato in un podcast recente) – non è la soluzione del caso in sé (pur importante), ma nelle considerazioni di contesto che svolge “a margine” della sentenza. Questo stile rivela una indubbia sensibilità della Corte costituzionale rispetto al tema del Terzo settore, dell’attivismo civico e del volontariato e l’importanza che esso riveste nell’interpretazione, applicazione e attuazione della Costituzione. Oramai c’è una vera e propria “trama” di sentenze della Corte costituzionale che integrano ed interpretano il Codice del Terzo settore e le altre leggi rilevanti: si tratta di un contributo molto importante per gli operatori e gli studiosi. Quali sono i temi toccati dalla Corte? Se ne indicano tre, fra i molti possibili.

La Corte affronta il nodo della fiscalità del Terzo settore, invitando a considerare come «l’attività di interesse generale svolta senza fini di lucro da tali enti realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica». Detto altrimenti, l’attività del Terzo settore “alimenta” – con la sua stessa attività, svolta senza fine di lucro – il finanziamento della spesa pubblica, non ricorrendo al classico modello del “prelievo tributario” ma convogliando risorse private verso attività di “interesse generale”: diversamente, dovrebbe essere lo Stato a raccogliere quelle stesse risorse mediante l’imposizione fiscale ed a redistribuirle, con margini di inefficienza ed inefficacia probabilmente maggiori. Non è una statuizione di poco conto: al momento, è il più autorevole riconoscimento di un nuovo modello esteso di “sussidiarietà fiscale”.

Ancora, la Corte sottolinea come gli ETS non siano immediatamente assimilabili ad operatori economici for profit. Si legge nella sentenza che gli enti «che scelgono di svolgere attività economica – accettando i correlati vincoli, primo dei quali la rinuncia alla massimizzazione del profitto – possono essere considerati operatori di un “mercato qualificato”, quello della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro». Vi sono cioè ragioni che riguardano la costituzione, l’organizzazione, il funzionamento degli enti del Terzo settore che distinguono quest’ultimi da tutti gli altri attori di mercato con finalità di profitto. Se così è, allora, non è incoerente – bensì necessario! – predisporre per gli ETS delle regole ad hoc in grado di valorizzare quella loro missione essenziale: così è accaduto per le regole sull’amministrazione condivisa, ma così dovrà accadere in molti altri settori (fiscalità diretta e indiretta, utilizzo di immobili pubblici, ecc.).

Infine, il “cuore” pulsante della sentenza è il riconoscimento del ruolo e dello spazio svolto dal volontariato nel Terzo settore. Il passaggio centrale è rappresentato dall’affermazione che «il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione civica e di formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche (…)». Non costituisce, cioè, un semplice «modello fondamentale dell’azione positiva e responsabile dell’individuo» dal quale emerge una «natura relazionale della persona umana che, nella ricerca di senso alla propria esistenza, si compie nell’apertura al bisogno dell’altro». C’è – nelle parole della Corte – l’idea forte di un volontariato che riesce a diventare fattore di partecipazione nella civis, interlocutore della politica e “bacino” dal quale le istituzioni democratiche traggono, per condividerle, idee, soluzioni progettuali, energia e innovazione. Sembra, cioè, consumarsi un passaggio importante nella “lettura” del volontariato: non già semplice modello di azione individuale e collettiva, ma attore politico che opera attraverso i canali dell’attivismo civico, della partecipazione e della collaborazione con l’amministrazione. In questo c’è un riconoscimento, per quanto già oggi è stato fatto dal volontariato italiano, ed anche uno sprone per rafforzare questo posizionamento. Ma proprio la delicatezza del questo ruolo esige che il legislatore preveda una serie di misure di sostegno, valorizzazione e promozione, senza le quali il volontariato non potrebbe prendere il largo (la Corte richiama le norme sui CSV e l’impegno della P.A. a diffondere la cultura del volontariato).


*ricercatore presso l'Istituto di Diritto, Politica e Sviluppo, Scuola Sant'Anna di Pisa

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