Salute

La famiglia divorata. Storie di chi vive accanto al disturbo alimentare

«Quando in una famiglia c’è un malato di anoressia o bulimia di fatto si ammalano tutti». Un libro raccoglie le storie di dodici famiglie e, con estrema delicatezza, tende una mano a quelle che stanno lottando, a quelle che ne sanno poco o niente, ma soprattutto a quelle che non hanno ancora avuto il coraggio di chiedere aiuto

di Sabina Pignataro

«Relazionarsi con un malato di disturbi alimentari è come camminare su un campo minato. Se non conosci a perfezione l’esatta posizione delle mine che cambia ogni giorno, imprevedibile, irregolare, salti per aria». Le parole sono di Agnese Buonomo, che è stata toccata direttamente dalla malattia. Il suo libro, “LA FAMIGLIA DIVORATA. Vivere accanto al disturbo alimentare” (Mursia editore) è un viaggio attraverso gli occhi dei padri e delle madri, ma anche delle sorelle e dei fratelli che combattono, soffrono, vivono la malattia dei loro cari.

Genitori che hanno accompagnato i figli in percorsi sbagliati prima di trovare quello giusto, genitori che hanno dovuto affrontare viaggi della speranza per poter accedere alle cure dei figli, famiglie che hanno visto il figlio ammalarsi o peggiorare a causa del lockdown, che stanno rivedendo la luce o che hanno visto i figli morire.

Storie di speranza e di disperazione, di rassegnazione e di lotta, di annientamento, di rinascita, di percorsi sbagliati e giusti, di fallimenti ma anche di guarigioni. Dodici storie di malattie del comportamento alimentare raccontate dalle famiglie. A parlare sono un padre, una madre, una sorella, un fratello, costretti ogni giorno a vivere accanto alla malattia. «Perché quando in una famiglia c’è un malato di anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata (binge-eating), per citarne solo alcune, di fatto si ammalano tutti».

Il libro è dedicato alle famiglie che si sentono abbandonate, a quelle che stanno lottando, a quelle che hanno trovato una mano tesa, a tutte le famiglie che ne sanno poco o niente, ma soprattutto a quelle che non hanno ancora avuto il coraggio di chiedere aiuto.

La storia di Lea, un estratto dal libro

«Quando Lea è ha iniziato di soffrire di anoressia e bulimia sono cominciate le liti, le discussioni continue, le urla. In casa nostra non c’è stata più pace. Cercavo di parlare, a volte con calma, a volte con le minacce. Pensavo che prendendola a male parole avrebbe capito che era ora di smetterla con quella «scemenza», come la chiamavo io, ignorando allora che incubo di malattia fosse. Un genitore non sa come comportarsi, sei terrorizzato, ti manca la terra sotto i piedi. Lea è morta a 20 anni, il 6 giugno 2020, due settimane dopo il suo compleanno. Mancavano pochi giorni alla maturità. Il cuore di Lea non ha retto».

«Quando una figlia o un figlio si ammalano di un disturbo del comportamento alimentare, è come se l’intera famiglia fosse investita da uno tsunami. Non esiste più nulla, tutto ruota attorno alla malattia», racconta Agnese Buonomo, l’autrice del libro.

Quando una figlia o un figlio si ammalano di un disturbo del comportamento alimentare, è come se l’intera famiglia fosse investita da uno tsunami. Non esiste più nulla, tutto ruota attorno alla malattia

Agnese Buonomo



Chiara, la mamma di Flavia

«Ho vissuto mesi con la valigia in mano. Ho lasciato mio marito e l’altra figlia minore a Napoli. Ho accompagnato Flavia in quello che è stato ed è un viaggio della speranza contro l’anoressia», racconta Chiara ad Agnese Buonomo. «Dalla Campania al Lazio, dalla Toscana all’Umbria. E poi di nuovo in Toscana e ancora in Umbria fino al ritorno a Napoli. Come una pallina da ping-pong, che rimbalza da una parte all’altra dello Stivale. Un pellegrinaggio in cerca delle cure adeguate, per poi tornare al punto di partenza».

La solitudine delle famiglie

«Questo libro nasce con l’intento di dar voce a chi voce solitamente non ne ha o non ne ha mai avuta. Troppo spesso la famiglia vive la malattia nel buio e nel silenzio delle mura domestiche, sovrastata dall’ignoranza generale, dalla mancanza di cultura sull’argomento e dalla poca attenzione sociale», spiega ancora l’autrice.

«Il mio vissuto è stato esattamente questo», conferma Stefano Tavilla, presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita e papà di Giulia, morta a 17 anni per bulimia. «Quello di un padre che dieci anni fa si è trovato da solo ad affrontare la malattia della figlia nel più completo abbandono,senza nessun aiuto perché all’epoca se ne sapeva ancora meno di oggi. La perdita di Giulia è stata la spinta per far nascere Mi nutro di vita e il Fiocchetto Lilla, ora simbolo universale delle malattie del comportamento alimentare. Simbolo di quel riconoscimento che non avevo avuto io, di quell’unità che ha fatto crescere altre associazioni e decine di iniziative, di quell’unione di intenti affinché queste patologie abbiano la stessa dignità di altre altrettanto gravi e mortali».

Sulla famiglia la colpa della malattia

«La famiglia è ed è stata vittima di stereotipi comuni che l’hanno banalmente e facilmente messa sul banco degli imputati. Come se la causa dell’anoressia o della bulimia della propria figlia o del proprio fratello fossero i genitori e coloro che vivono tutti i giorni accanto al malato», sottolinea Tavilla. Eppure studi clinici hanno ampiamente dimostrato che queste malattie sono causate da molti fattori. Necessitano quindi di un approccio multidisciplinare fatto da figure diverse che accolga no e curino il malato senza dimenticare la famiglia. «I genitori, i fratelli, le sorelle devono essere presi in carico per diventare risorsa della cura», sottolinea Buonomo. « Sono ancora troppe le famiglie che vivono la solitudine, la vergogna, l’isolamento della malattia. Tante sono quelle che, pur rendendosi conto del problema, non sanno dargli ancora un nome. Molte vorrebbero essere sostenute e aiutate, ma restano senza rete».

Il ruolo delle associazioni

In questo terreno così vasto il lavoro delle associazioni rappresenta un’ancora di salvezza, un luogo protetto dove le famiglie si sentono accolte, non giudicate e tra pari, in mezzo a persone che stanno vivendo lo stesso incubo. « Cosa chiede una famiglia che deve ogni giorno confrontarsi con questa realtà devastante? Chiede supporto, chiede di essere vista, riconosciuta, chiede la possibilità di accedere a quelle cure che ancora troppo spesso vengono negate».

I numeri

Anoressia, bulimia, binge-eating sono patologie subdole che trasformano la mente e il corpo di chi ne soffre in modo drastico. Come avevamo raccontato in questa inchiesta su Vita in Italia c’è una gravissima carenza di strutture. Era già evidente prima dell’arrivo del Covid, con la pandemia è diventata un’emergenza nell’emergenza. Ora se ne parla di più, ma non abbastanza. In Italia oltre 3 milioni di persone soffrono di queste patologie. Se a ognuno di loro aggiungiamo anche un solo familiare, i numeri raddoppiano. Il 10% della popolazione fa i conti con questo dramma. Malattie che per bambine, ragazze e donne, nella fascia di età tra i 12 e i 25 anni, rappresentano la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Circa 4 mila decessi ogni anno. Di disturbi alimentari si muore, ma si può anche guarire.

(L'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato la prima mappa completa dei servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale per curare i disturbi del comportamento alimentare. QUI la mappa)

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