Welfare

Anna Rita, che in carcere è come a casa sua

Un’avventura cominciata 40 anni fa, quando la signora Nicoletti aveva solo vent’anni. Aveva scelto di essere volontaria dietro le sbarre.

di Mara Mundi

Era il 14 febbraio del 1960 e Anna Rita Nicoletti, non ancora ventenne, entrava per la prima volta in carcere. Si aprì il cancello davanti a lei. Si chiuse dietro le sue spalle. Era solo una visita, quella. La prima. Ma capì subito che non sarebbe stata l?ultima. Sono trascorsi quarant?anni. E quei cancelli continuano ad aprirsi davanti a lei; continuano a chiudersi dietro le sue spalle. Ogni settimana. Ininterrottamente. Con emozioni sempre diverse. La ragazza di ieri è diventata una signora dal fisico un po? affaticato sotto il peso degli anni e dei tanti impegni. Una signora che, oggi, avverte, lo stesso desiderio di aiutare gli altri. Quel giorno, padre Angelico da Sarno, il cappellano del penitenziario di Foggia, compiva il cinquantesimo anniversario di sacerdozio. Volle festeggiarlo all?interno della Casa Circondariale. Volle accanto a sé alcuni amici. Con loro, c?era anche Anna Rita, che faceva parte della Famiglia Spirituale, nata introno alla Venerabile Genoveffa De Troia, il cui assistente era proprio padre Angelico. Un?occasione per conoscere un mondo che non le apparteneva; pensò. Si trattò invece di una scelta di vita. «Già dalla prima volta ho sentito con forza l?intensità del contatto umano. Le persone rinchiuse hanno bisogno di sentirsi amate, accettate, rispettate. E ad un tratto diventano capaci di trasmettere il loro grande amore», ci racconta non senza emozionarsi. Poi, con un filo di voce, aggiunge: «Le amicizie più belle le ho trovate tra queste persone». È la memoria storica delle carceri della provincia di Foggia, Anna Rita. Racconta il passato. Ricorda i problemi di allora; sottolinea le attuali difficoltà. Rimarca le differenze. «C?è un?enorme diversità tra il popolo carcerario di un tempo e quello di adesso. Mi ritornano alla mente tutte quelle donne, tra i 30 e i 40 anni, di ceto sociale basso. Finivano dentro per furto, spesso di tipo alimentare, oppure per favoreggiamento e rissa. Non erano rari i casi di manomissione dei contatori elettrici e del gas. Le donne, a quel tempo, rubavano per ?campare la famiglia?, sempre molto numerosa. Sembravano tutte molto più vecchie della loro età». Trascorrono gli anni. Puntuali continuano le sue visite. Nel 1966 forma un piccolo gruppo di volontari. «Incominciammo in un vecchio abbaino. Ci sedevamo sulle cassette della frutta, poiché non potevamo permetterci neppure le sedie. Intorno ad un braciere che ci riscaldava, confezionavamo mantelline, scarpette da notte e papaline per gli ospiti dell?ospizio. Seguirono tante altre attività, ma per me quella del carcere continua ad essere sempre la prima». Nuovi calendari al muro segnavano il tempo che passava. La volontà che cresceva. Padre Angelico morì. Anna Rita si sposò. Tanta gente uscì dal carcere; altri uomini, altre donne vi entrarono. Nacquero prima due gemelle; dopo, anche un terzo figlio. Ma all?appuntamento con i ??suoi detenuti?, Anna Rita non rinunciava. Mai. Nel 1985 quel piccolo gruppo, che si incontrava intorno ad un braciere, dà vita all?Associazione Genoveffa De Troia. I volontari cominciano ad aumentare, così come i campi di intervento: dalla realizzazione di spazi finalizzati alla socializzazione del detenuto nel carcere, alla rieducazione e all?affidamento ai servizi sociali; oltre ad attività di sostegno scolastico, alfabetizzazione, sport e tempo libero rivolte a minori ed adolescenti a rischio di coinvolgimento in attività criminose. «Aiutiamo i ragazzi per non ritrovarceli detenuti domani», dice Anna Rita Nicoletti. Sostegno e dedizione vengono garantiti anche agli anziani e ai disagiati psichici. Insomma ?con l?uomo per l?uomo?. È questo lo slogan che anima i numerosi volontari. Sono appunto uomini, donne, giovani, studenti, insegnanti, animatori, educatori, professionisti. Tutti molto motivati. Tutti molto legati all?associazione. Come Maria Teresa Mossuto, 43 anni portati benissimo. Sembra una ragazzina quando racconta con entusiasmo del tempo trascorso con i minori, al costo di molti sacrifici, ogni giorno dopo il lavoro ad una stazione di servizio, in autostrada. «La cosa più bella è quando li incontro e loro mi chiamano, si sbracciano, mi salutano» racconta ma volontaria. Non lo dicono apertamente all?associazione, ma sono molto contenti del riconoscimento che hanno ottenuto. «Utilizzeremo i venti milioni del premio per comperare la pedana mobile per la nostra casa famiglia. Ho già contattato i rivenditori. Costa sedici milioni» confida. Premiare la solidarietà Volontari da premiare. Per l?ottavo hanno consecutivo, il ?Premio nazionale della solidarietà? individua associazioni su tutto il territorio italiano destinando loro una somma in danaro, anche rilevante. Per l?edizione ?99 sono state premiate 13 realtà di volontariato sociale, distintesi per il loro impegno di solidarietà o nell?opera di sensibilizzazione dei cittadini circa le attività solidali. Hanno ricevuto il riconoscimento nei giorni scorsi, dalle mani del presidente del Senato Mancino. Si tratta di associazioni di ogni parte del Paese. Ci sono gruppi di Roma, Firenze, Reggio Emilia, Saronno. Si occupano di donne maltrattate, di progettazione sociale, di assistenza domiciliare agli anziani e ai malati, di psichiatria, di minori a rischio. Un vasto spaccato di quella solidarietà che il premio vuol valorizzare. Molte anche le realtà dell?Italia meridionale. Testimonianze di quel Sud che costruisce il proprio riscatto sociale, a partire adall?impegno civile. Ne abbiamo scelte due .


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