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Ucraina, i primi bambini malati nelle Case McDonald italiane
Accolti due nuclei famigliari a Roma e Fiumicino, dove la Fondazione ha assunto una mediatrice culturale ucraina, anche lei appena arrivata in Italia. La collaborazione con Protezione civile, Croce Rossa e altre onlus per inviare aiuti e il sostegno continuo all'ente gemello che, a Kiev, gestisce cinque family rooms. La commozione della d.g. Maria Chiara Roti: "In una catastrofe come questa, il nostro fare ci appare sempre sproporzionato ma dobbiamo vincere la frustrazione e partire dalle piccole cose"
“Non avevo mai sentito dire, in un colloquio di lavoro, ‘sono una profuga di guerra’: si commuove Maria Chiara Roti, managing director , ossia direttore generale, di Fondazione Ronald McDonald in Italia (foto sotto, ndr), raccontando dell’assunzione di Gianna, una mediatrice culturale ucraina, arrivata da poco in Italia. La donna sarà impiegata nella case di Roma e Fiumicino, dove la Fondazione ha accolto i primi nuclei famigliari di bambini ammalati in fuga dalla guerra e per i quali si è trovata la sistemazione abitativa e nei reparti pediatrici della Capitale.
La fondazione del gigante della emme gialla, attiva da anni in Italia, si è immediatamente mobilitata per rispondere alla nuova emergenza.
Innanzitutto mettendosi a disposizione della fondazione “sorella” di Kiev. “Siamo presenti in 62 paesi”, ricorda Roti, “e in Ucraina, avevamo già cinque family rooms attive e con la nostra giovane manager, Galina, ne coordina i programmi. Stavamo costruendo la prima Casa McDonald, finché non è scoppiata questa guerra”. Il conflitto ha di fatto fermato le accoglienze in Ucraina: “Ci stiamo dedicando all’accoglienza personale sanitario, di medici e infermieri, che hanno perduta la casa o non possono tornarci”, dice Roti.
Ogni venerdì, dall’Italia si fa il punto con Kiev ma anche con la Polonia, dove operava da tempo un Care Mobile, una unità sanitaria mobile per le aree rurali: “Oggi è utilizzato in supporto ai profughi che continuamente attraversano il confine”.
L'aiuto in Italia
In Italia, la Fondazione si sta raccordando “con Protezione civile e Croce Rossa: per accogliere i bambini oncologici e fragili, nelle nostre case di Roma e Milano. Siamo in costante contatto con gli ospedali pediatrici già nostri partner per facilitare, insieme agli amici della onlus Soleterre di Opera (Mi), l’arrivo di bambini con tumore e che devono proseguire le cure e la chemioterapia”. Per ora sono arrivati due nuclei a Roma: padri, madre, con un figlio ciascuno.
La Fondazione si è poi attivata anche nel primo soccorso verso il Paese colpito: “Nei nostri magazzini avevamo ancora cibo secco, generi a lunga scadenza, come caffè, tè, scatolame, oppure anche materiali igienizzante che avevamo raccolto e accantonato nella fase più dura della pandemia e la cui distribuzione avevamo sospeso quando la situazione si era allentata. Tutto è stato avviato agli hub da dove partono gli aiuti: a Roma, Milano e Brescia” (foto sotto, ndr).
Un’esperienza, quella dei primi giorni di mobilitazione, capace di generare un contraccolpo emotivo anche in una manager di lungo corso come Roti, che ha già affrontato, per esempio, le emergenze terremoto in centro Italia e poi ad Haiti: “I sentimenti personali sono tantissimi, in questi giorni”, confida, “quelli più comuni sono il senso di impotenza di fronte a una catastrofe e, come reazione, una voglia fortissima di fare cose, anche piccole. Anzi, bisogna partire proprio dalle piccole cose, farle senza dolore, senza la frustrazione che eventi con questa magnitudo, inevitabilmente, ti trasmettono, perché sembra di fare niente. E invece no”, prosegue, “partiamo dalle persone, dalle famiglie, dagli scatoloni da inviare. Da iniziative dal basso, come #AbbraccioPerLaPace, a cui abbiamo subito aderito e di cui siamo grati a Vita”.
La managing director l’ha fatto anche personalmente, coi propri account social: “C’era da trovare un macchina per alcuni trasporti, e ho inserito la richiesta sulla mia pagina Facebook: è arrivata in pochissimo tempo, peraltro dalla McDonald di Roma, che ringrazio”.
E anche l’assunzione di Gianna, la mediatrice culturale ucraina che affiancherà le famiglie accolte come interprete, di cui si parla in apertura, nasce da questo tam tam: “A segnalarmi il suo caso”, racconta Roti, “è stato uno dei nostri partner: la Fondazione di Comunità Bresciana. La direttrice operativa, Orietta Filippini, mi ha parlato di questa donna, molto preparata, e alla cui accoglienza avevano contribuito. È sempre bello, quando le organizzazioni del non profit fanno rete, ma ora è davvero indispensabile”.
E quando il registratore si è spento, questa signora reggiana, classe 1974, mamma di due bambini, una lunga esperienza nel profit e poi nel Terzo settore, anche all’Estero, prima di approdare alla Fondazione nel 2020, ci tiene ad aggiungere un dettaglio: “Sa cosa mi colpisce di queste persone, delle prime che ho incontrato?”, dice, “Che, a differenza di altre, non sono venute col desiderio di farlo, immaginando una nuova vita, un riscatto personale: sono uomini e donne che stavano bene là dove vivevano, fra le loro cose e i loro affetti. Sono fuggite, dall’oggi al domani, terrorizzate. Una cosa che, nella tragedia, addolora ulteriormente”.
Per chiunque volesse aiutare è possibile effettuare una donazione con bonifico bancario (Iban IT06A0503401688000000016500, causale “Emergenza Ucraina”, ma presto arriverà una raccolta crowdfunding a cui la Fondazione sta lavorando. “Oppure”, fanno sapere dagli uffici italiani, “consegnare cibo fresco (frutta, verdura, carne) alle Case di Roma (www.fondazioneronald.org/it-it/chi-siamo)”.
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