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Dall’inferno talebano a Palermo, la nuova vita di una famiglia afgana

È grazie a una rete solidale che la famiglia di Shapoor Safari, il cuoco afgano di Moltivolti, fuggita ai talebani e giunta a Palermo a dicembre del 2021, sta per cominciare una nuova vita. Per i 5 adulti e i 2 minori che hanno riabbracciato il loro caro dopo 25 anni di lontananza, sta per partire un progetto di inserimento lavorativo e di accompagnamento a percorsi di inclusione sociale e culturale

di Gilda Sciortino

Palermo si riconferma città dei diritti, promuovendo percorsi di accoglienza sia fronteggiando l’emergenza Ucraina, alla quale sta dando risposte concrete connettendo le richieste di aiuto con la rete di solidarietà manifestata da cittadini e famiglie, sia non dimenticando altri percorsi di integrazione. La storia a lieto fine della famiglia di Shapoor Safari, il cuoco afgano di Moltivolti, il ristorante multietnico che ha sede a Ballarò, a pochi passi dal caratteristico mercato del centro storico palermitano, ha segnato un altro passo in avanti. Grazie al finanziamento dell’Unione Buddhista Italiana, è stato pensato un percorso di inserimento sociale, scolastico e lavorativo che le consentirà di farla sentire accolta pienamente, entrando in contatto con realtà del territorio che operano specificamente nell’ambito della mediazione interculturale, della progettazione di percorsi di inserimento lavorativo e delle attività di accompagnamento ai percorsi di inclusione sociale e culturale.

Fu attraverso un crowdfunding, che ha consentito di raccogliere nel giro di poche settimane la somma necessaria a fargli lasciare l’Afghanistan per ricongiungersi dopo 25 anni di lontananza al loro congiunto, che lo scorso dicembre il nucleo familiare composto da 5 adulti e 2 bambini di sei e quattro anni ha potuto riabbracciare Shapoor.

Ad Arci Palermo, sinergicamente con il Centro Muni Gyana, ora spetterà il compito di coinvolgere la famiglia, ma forse ancor di più i bambini, in attività di animazione e ludico sportive fondamentali per lo sviluppo del processo di creazione di legami solidali e di amicizia. Moltivolti, invece, metterà a disposizione i mediatori culturali e linguistici per l’apprendimento della nostra lingua e nel disbrigo delle pratiche burocratiche.

«Il progetto di accoglienza e di integrazione di questo gruppo di profughi afghani – afferma Marco Farina, direttore del Centro “Muni Gyana” – si inserisce nel nostro percorso sociale, che perseguiamo con maggiore forza in un momento in cui, nonostante la guerra, le emergenze e le necessità non si fermano. Noi non facciamo differenza tra un profugo afghano, un ucraino o un siriano perché tutti gli esseri umani, se hanno bisogno di essere aiutati, vanno aiutati».

«Quanto è accaduto e continua ad accadere – aggiunge Claudio Arestivo, co-fondatore di Moltivolti dimostra la forza di un rapporto di scambio e di fiducia con la comunità buddhista, con Arci e con Send che si consolida. Ne siamo felici perché un modello che integra soggetti diversi è un modello di solidarietà e relazioni reali altamente efficace».

Send, organizzazione no profit che lavora per creare migliori condizioni lavorative per sé e nuove opportunità per il territorio, dovrà aiutare la famiglia nel difficile percorso di ricerca del lavoro, dando loro modo anche di acquisire nuove competenze.

Un risultato raggiunto grazie al lavoro sinergico di tante realtà del terzo settore cittadine, ma anche dalle istituzioni come il Comune di Palermo che, in tal modo, vuole lanciare un segnale forte all'Europa.

«Grazie a questo progetto – sottolinea il sindaco del capoluogo siciliano, Leoluca Orlando – riusciamo a esprimere l'unione di una città che riconosce il valore fondamentale della vita. Un importante segnale che lanciamo non soltanto accogliendo quanti scappano dai loro paesi, ma soprattutto integrando queste persone nel tessuto sociale della città. Questo vuole dire offrire loro un presente e una prospettiva di futuro. Dentro di me porto ancora viva l'emozione del ricongiungimento della famiglia di Shapoor che è riuscita a fuggire dall'inferno talebano e più recentemente del ritorno in città dall'Ucraina di Elena Pastux e delle sue figlie».

Una rete solidale, quella che ha messo in campo azioni così importanti, che non intende fare parole, ma praticare un tipo solidarietà che bandisce l’assistenza fine a se stessa pretendendo la concretezza di una quotidianità che deve fare i conti con continue emergenze.

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