Bressanello: «Vaccini, le Comunità richiedono approcci fuori dall’ordinario»

Il fondatore di Domus de Luna spiega che cosa non va: «Una comunità non è la semplice sommatoria degli individui che la compongono. Nell’urgenza sono state date risposte standard, anche quando la situazione avrebbe richiesto modalità d’intervento specifiche. Per le Comunità servono ragionamenti fuori dall’ordinario, non un approccio individuale. Le strutture sociali, a parte quelle dedicate agli anziani, raramente hanno avuto l’attenzione dovuta»

di Luigi Alfonso

Un anno e mezzo di pandemia, di rimedi, restrizioni, polemiche e problemi. In genere si pensa alle singole persone ma si dimenticano aggregazioni tipiche del settore sociale: le Comunità. Il fondatore della Fondazione Domus de Luna di Cagliari, Ugo Bressanello, da mesi pone l’accento su questa emergenza nell’emergenza. A Vita spiega che cosa non va.

«Una comunità non è la semplice sommatoria degli individui che la compongono. Nell’ultimo anno e mezzo sono accadute tante cose. Purtroppo, però, nell’urgenza sono state date risposte standard, anche quando la situazione avrebbe richiesto attenzioni e modalità d’intervento specifiche. E questo è andato a cozzare con tutto ciò che era fuori dall’ordinario. Se l’ordinario ormai è il singolo, all’interno di un approccio che nell’Occidente è sempre più individualistico, è evidente che ci sono comunque delle realtà, le Comunità, che richiedono ragionamenti fuori dall’ordinario. Devi pensare diversamente quando in Italia hai 30mila minori allontanati dalle rispettive famiglie che vivono in strutture sociali dedicate; quando vedi che sono in continuo aumento le donne vittime di violenza, che hanno i loro rifugi (anche se ancora troppo pochi) e vivono anche loro in regime comunitario; quando hai il mondo delle dipendenze, che è sempre più variegato e complesso, che richiede risposte nuove anche in materia di prevenzione e cura dal virus; quando consideri le Case famiglia, le Comunità e le residenze pensate per chi ha fragilità psichiatriche o altre patologie e abilità diverse, senza dimenticare le strutture dedicate alla pena detentiva o le REMS. Ebbene, in tutti questi casi l’approccio è stato comunque individuale. Dell’errore ci siamo resi conto solo per una ragione: gli anziani. Perché ne sono morti tantissimi. Nella prima ondata è venuta fuori in maniera evidente la modalità errata di contrastare la pandemia in quelle strutture. E dopo una prima fase di inconsapevole urgenza, si è capito che in quelle comunità bisognava agire in maniera differente. Ma tutto il resto è stato dimenticato, le altre strutture sociali raramente hanno avuto l’attenzione dovuta. Forse perché è più difficile avere statistiche di un certo tipo, e comunque le residenze per anziani sono più numerose e in genere più grandi, dunque quei dati fanno più effetto. Tra i minori poi, fortunatamente, non c’è la stessa letalità che abbiamo con gli anziani, ma il problema dell’approccio sanitario individuale che contrasta l’organizzazione sociale permane. In Sardegna, non molto mesi fa, abbiamo registrato alcuni casi che non sono sfociati in qualcosa di grave per pura casualità: penso alla comunità per minori di Aritzo. Tra l’altro, parliamo di ragazzi con fragilità psichica che sono stati tutti contagiati, insieme agli operatori. Erano tutti confinati nelle proprie stanze. Ragazzi che spesso hanno equilibri delicati da un punto di vista mentale: in alcuni casi parliamo di adolescenti autolesionisti, che hanno bisogno di spazi e attenzioni particolari. Vogliamo fingere che questo mondo non esista e continuare a offrire metodi standard, uguali per tutti?».

Che cosa propone Ugo Bressanello? «Si può intervenire in diversi modi, anche molto semplici, soprattutto ora che abbiamo superato le fasi più critiche. Porto un esempio che in Sardegna sta andando molto bene, quello di Ad Adiuvandum, una rete di solidarietà sociale che ha coinvolto oltre 60 soggetti civili e militari, istituzioni pubbliche e società private, la Regione, i Comuni, le Università, professionisti impegnati pro bono e associazioni di volontariato. La rete è andata a coprire fuori dal sistema (ma d’accordo col sistema) l’eccezione, il bisogno diverso: l’anziano solo a casa, la Comunità sperduta in montagna, la scuola di periferia. Ecco, è un modello valido, ma non è detto che sia l’unico. L’importante è dare attenzione a queste tante forme di vita aggregata che elencavo prima, con una risposta alla comunità e non solo all’individuo. Ricordarsi delle fragilità tutte, non solo di quelle “tradizionali” per il sistema sanitario. Di coloro che sono accolti e in cura e degli operatori che prestano la loro opera. arrivare alla vaccinazione di tutti gli elementi più fragili e anche degli operatori. Perché basta un nonnulla per far scoppiare un’epidemia dagli esiti incerti all’interno di una comunità. E si tratta di un universo di circa 200-300mila persone interessate da questo problema in Italia, considerando assistiti e operatori. Mi sembra quindi che siano anche i numeri a sottolineare l’opportunità di affiancare all’attenzione per l’individuo quella per la comunità, soprattutto se formata anche e in particolar modo da persone fragili, da proteggere e curare. Perché ad esempio con le vaccinazioni si è pensato giustamente e subito ai medici, agli infermieri e al personale delle ambulanze, ma non si è ancora rivolto lo sguardo oltre. Alle Comunità in primis. E a tutto il mondo del sociale, che tante dimostrazioni di forza ha dato proprio in questo periodo di emergenza. Mi permetto ad esempio di ricordare i tanti volontari che dal marzo dell’anno scorso distribuiscono i generi alimentari a casa delle famiglie in quarantena o coloro che hanno seguito, anche nei momenti più bui del contagio, piccoli e meno piccoli con disabilità. Ecco, se mettiamo a sistema tutto questo, affiancando al sistema ordinario anche un’attenzione nuova per il diverso, forse sarebbe anche un modo per investire sul futuro. Perché ci troveremmo una macchina collaudata per eventuali, future emergenze».

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