Welfare

Volontariato in carcere? Sostanzialmente siamo considerati buoni, ma incompetenti

Le istituzioni non riconoscono la formazione e le competenze del Volontariato che opera in carcere. Per la presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero «questo è inaccettabile. Un modo per escludere le realtà più innovative del sistema dalla Commissione per l’Innovazione del sistema penitenziario»

di Luca Cereda

Prima della pandemia il volontari negli istituti di pena italiani erano compresi le 10mila e le 15mila persone, formate per entrare negli istituti di pena e autorizzate dal Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il loro ruolo è risultato – ancora più – significativo durante il Covid. Perché le norme che li ha tenuti fuori per mesi dalle carceri, ha fatto emergere a loro siano “delegate” competenze e ruoli fondamentali per mandare avanti un’istituto di pena: «Nonostante tutto ciò, al Volontariato viene riconosciuta la “bontà”, non la competenza. Un modo per escludere le realtà più innovative del sistema dalla Commissione per l’Innovazione del sistema penitenziario? Questo è inaccettabile», ammette Ornella Favero, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti.

Il sistema-carcere, il sistema dei “no”

«Colpisce infatti l’assenza del Volontariato e di tutto il Terzo Settore dalla nuova Commissione per l’Innovazione del sistema penitenziario, istituita di recente dalla Ministra della Giustizia Cartabia, tanto più oggi che il Codice del Terzo Settore parla abbastanza chiaro in materia e mette sullo stesso piano la Pubblica Amministrazione e il Terzo Settore stesso, pur nella diversità dei ruoli, ovviamente», ammette Favero.

L’operato del volontariato penitenziario assume, sulla base delle esigenze, delle disponibilità numeriche di persone formate, e del contesto carcerario, varie forme: dal sostegno morale e materiale alla persona detenuta, a quello alla famiglia. (Troppo) spesso i volontari sono le uniche figure che accompagnano il detenuto nel suo percorso rieducativo – previsto e richiesto però dall’articolo 27 della Costituzione – rappresentando un aiuto per un reinserimento concreto sociale e lavorativo, un ponte di collegamento che tenta di ricucire lo strappo avvenuto con la società. I volontari inoltre da un lato “comunicano” alla società le criticità di un carcere sempre meno umano, soprattutto in tempo di limitazioni a chi già è limitato. Di queste il virus è concausa, non l’unica ragione. La causa “profonda” è un sistema, quello carcere, dove si dice sempre “no” a qualsiasi richiesta, progetto, idea e solo poi la si valuta. Scontare una pena che sia dignitosa e far si che tutti i bisogni della popolazione detenuta siano ascoltati è un diritto. Un dovere è che la pena non sia punizione ma rieducazione. Ma i soli che a pieno titolo – non gli unici, beninteso – espletano questi diritti e doveri del carcere solo loro. I volontari: «Questo succede grazie alla loro formazione e competenza. Entrambe non sono state riconosciute dalle istituzioni», chiosa Favero. Un altro “no preventivo” del sistema-carcere.


E queste non sarebbero competenze, ma solo “cose buone”?

Oggi c’è una parte consistente di volontariato in carcere che ha competenze molto qualificate, competenza che rafforza in un continuo processo di crescita, che permettono di far aumentare anche la qualità delle proposte di attività nelle carceri: «Basta fare un esempio, la formazione organizzata dalla nostra Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia nel progetto “A scuola di libertà”, un’iniziativa di altissimo livello culturale, una formazione che ha saputo coinvolgere migliaia di studenti di tutta Italia, insegnanti, volontari, operatori della Giustizia, personalità del mondo della cultura e detenuti, in un confronto complesso con vittime, figli di persone detenute, detenuti stessi, le persone che hanno finito di scontare la pena. Il tutto con la forza delle testimonianze, ma anche dello studio e dell’approfondimento. Il tutto organizzato dai volontari», spiega la presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia.

Il Volontariato nell’ambito della Giustizia è tra i pochi soggetti – se non l’unico, a di là di alcuni direttori e direttrici di carceri “illuminati” – in grado di avere idee e avanzare proposte innovative di formazione, di creare iniziative “strutturali” e non progetti spot. «Inoltre nell’ambito dell’informazione e della comunicazione su questi temi, il mondo del Volontariato ha saputo mettere in piedi il “Festival della Comunicazione sulle pene e sul carcere” organizzato in questi anni dentro e fuori dalle carceri. E ancora, chi potrebbe portare più efficacemente, a proposito di vita detentiva, il punto di vista di quei detenuti, ai quali a tutt’oggi non viene riconosciuta nessuna forma di rappresentanza elettiva»? Si chiede Favero.

E la riforma del Terzo Settore?

Il Volontariato e le realtà del Terzo Settore sono le uniche che quando si parla di carcere, detenuti, riabilitazione sociale e lavorativa del condannato, hanno il coraggio e le conoscenze per non essere astratti nelle loro proposte e nelle azioni. Ecco perché stona la loro esclusione dalla Commissione per l’Innovazione del sistema penitenziario. «Riusciamo in molte carceri, e oggi anche nell’area penale esterna, a rendere “nuova” e interessante una parola sempre considerata vecchia e fuori moda dietro le sbarre, come la rieducazione. Ma visto, la nostra competenza non è riconosciuta» continua Ornella Favero. Questo accade nonostante Mauro Palma, Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, nella sua recente relazione sulla Casa di reclusione di Padova – che è un esempio tra molti -, parla della necessità che la cooperazione tra chi amministra e istituzionalmente opera in carcere e chi in esso svolge attività volte a saldare il rapporto con la realtà esterna, si basi, scrive Palma, “da una parte, sul rispetto della responsabilità di chi esercita la propria azione in virtù di un mandato pubblico e, dall’altra, sul riconoscimento di quella complementarità essenziale che l’azione di organizzazioni, cooperative, enti esterni costituisce. Non un apporto subalterno, quest’ultimo, né di minore rilevanza”.

Un’analisi quella di Favero amara, ma univoca, dato il riconoscimento delle competenze del Volontariato che opera in carcere, non può arrivare dai – formatissimi – volontari o dagli operatori del Terzo Settore, ma dalle Istituzioni. Più avvezze a dire “no”, e quindi a misconoscere, che ad aprirsi, contaminarsi e rendere migliore un sistema che dovrebbe per antonomasia, e per indicazione costituzionale, rendere migliori coloro che intercetta.

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