Mondo
Fermiamo la guerra con un gesto profetico. A Kiev
Al punto in cui si è arrivati serve un’iniziativa politico-diplomatica che fermi il conflitto. Ci vorrebbero iniziative di carattere straordinario, profetico, che colpiscano e disorientino, e proprio per questo possono aprire a nuove prospettive e avere qualche efficacia, ma è difficile metterle in atto. Come Papa Francesco che incontri nella capitale ucraina il Patriarca di Mosca e il primate Epifanj. O il Consiglio di sicurezza dell'Onu che ci si riunisca. O, ancora, un meeting fra i capi di Stato europei
di Nino Sergi
La condanna dell’invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia è totale e non può avere attenuanti o giustificazioni, così come il sostegno all’Ucraina è risoluto e inequivocabile Anche questa guerra colpisce soprattutto le popolazioni civili ed in particolare le persone più deboli (in foto profughi ucraini sul confine polacco, dove opera Intersos , ndr). L’abbiamo visto e vissuto in questi ultimi decenni in tante aree di conflitto armato dove milioni di persone sono state colpite e dove nulla è stato risolto, abbandonando intere popolazioni al loro triste destino. La guerra, posso affermarlo con la certezza di quanto ho vissuto, non risolve nulla; al massimo sposta nel tempo lo scoppio dei problemi. È stata impressionante la cecità dei decisori politici che, pur sapendolo, vi hanno ricorso negli anni passati, come foglia di fico che nascondeva in realtà l’incapacità di affrontare i problemi attraverso il dialogo politico e la costante e tenace azione diplomatica.
Il 2 gennaio scrivevo su Avvenire che i leader politici dovrebbero riscoprire la forza potente del dialogo che dovrebbe essere alla base di ogni civile convivenza. Permette di capire le ragioni altrui, scoprendo spesso che non sono né banali né infondate. Una politica che non crede più nella forza del dialogo e nell’iniziativa diplomatica è una politica cieca, senza speranza, senza futuro. E per l’Ucraina, i mesi a cavallo tra 2021 e 2022 sembravano il giusto momento. La tensione tra Nato e Russia era infatti giunta a livelli preoccupanti e pericolosi ed era doveroso aprire un dialogo negoziale, rispettoso e approfondito.
Facevo notare come l'Ucraina abbia un piede ad ovest e l’altro ad est, in una duplice trazione verso aree sia europee che russe. Potrebbe quindi più facilmente garantire la propria unità territoriale, la convivenza tra differenti comunità linguistiche, il proprio progresso e sviluppo con ampie relazioni sia ad ovest che ad est, non diventando membro della Nato né dell'Unione eurasiatica trainata dalla Russia ma vivendo una neutralità attiva riconosciuta, aperta a rapporti politici, economici, culturali con entrambe le entità. Un'Ucraina neutrale e aperta a cooperazioni a trecentosessanta gradi potrebbe perfino rappresentare un punto magnetizzante tra Ue/Occidente e Russia, affievolendone le tensioni.
La guerra
La realtà ha preso tutt'altra direzione, quella di una guerra di invasione e aggressione senza nemmeno dichiararla. Va ricordato che questa guerra in Ucraina dura da ben otto anni, con l’annessione manu militari della Crimea da parte di Putin e gli scontri armati permanenti in Donbass. Ciò che non si è voluto fare tra gennaio e febbraio (ma in realtà negli anni tra il 2015 e oggi) occorrerà farlo in condizioni purtroppo ben diverse e svantaggiose per l’Ucraina, quando si negozierà la fine di questa guerra, sperando che non diventi ancora più distruttiva e che non conduca alla dominazione dell’intero paese. Che Putin mentisse lo si sapeva fin dall’annessione della Crimea. Ma qualcuno ha mentito all’Ucraina sulla rapida adesione alla Nato e sull’ingresso nell’Ue, favorendo così e alimentando la tensione, senza visione strategica chiara.
Gli effetti sono sotto i nostri occhi, sono sempre gli stessi che vediamo ovunque prevale la prepotenza delle armi: angosce, paure, distruzioni, fughe, dolorosi sfollamenti, morti, feriti, odio, disprezzo; con i più vulnerabili a soffrirne maggiormente, in particolare i più piccoli, tanti bambini e bambine a cui dovrebbe essere risparmiata tale crudeltà. Gli interventi umanitari si ripetono ogni volta con generosità ma le sofferenze sono tali che non si riesce mai ad arrivare ovunque con la stessa celerità e intensità. Per non parlare del rifiuto esplicito e politicamente sostenuto di fornire assistenza e accogliere persone disperate in fuga dalle guerre. Questa volta saggiamente tutti i rifugiati dall’Ucraina saranno accolti con assistenza e diritti analoghi a quelli degli altri cittadini europei. Non sappiamo ora fin dove e fino a quali crimini questa follia di Putin arriverà, riportandoci indietro di 80 anni, a quella guerra che si è chiusa con due bombe atomiche.
Nuove visioni. Purché durino
La Nato, che cercava il senso della propria missione dopo la fine dell’Urss e dopo i risultati non certo entusiasmanti dei sui interventi nei decenni successivi, ha ripreso vigore e significato. La stessa visione dell’Ue e della necessità di rafforzarla ha preso fortunatamente nuovo slancio insieme al desiderio di unità su valori condivisi. Così come si è preso coscienza della pochezza dei vari sovranismi, isolazionismi, suprematismi e della convenienza invece di solide alleanze in cui inserirci, a partire dall’Ue da rafforzare come entità politica. Anche l’Onu, che ha dimostrato l’impotenza di un Consiglio di Sicurezza i cui paesi esercitano il diritto di veto non più sulla base dell’interesse mondiale ma sulla base dell’interesse proprio, richiede un’accelerazione di quella riforma di cui da troppo tempo si sente la necessità senza mai fare passi avanti significativi.
Stiamo anche prendendo coscienza che l’arroganza non paga e che la via del dialogo è la sola che può condurre a soluzioni vere e durature. Come non possiamo accettare l’arroganza di Putin e la sua smania di potere intriso di superato nazionalismo, così l’Occidente dovrebbe ora interrogarsi sul suo porsi spesso con quell’arroganza e supponenza politico-morale che irrita i molti paesi che non sono più disposti ad accettare ordini e regole di condotta dettate da chi si arroga il potere di farlo, da chi considera di essere autorizzato – mentendo e fallendo – perfino ad esportare la ‘democrazia’ in tutto il mondo, anche con la forza. In merito alla tensione sull’Ucraina, quest’arroganza ha impedito passi intelligenti e forse anche risolutivi.
Dobbiamo solo sperare che queste prese di coscienza e queste spinte non vengano dimenticate troppo presto come è successo nei decenni passati, anche perché ci aspetta un periodo economicamente difficile e, finita l’emozione di fronte alle sofferenze degli ucraini, rischiamo di dimenticare questi temi e la stessa solidarietà che abbiamo così fortemente espresso. Quante volte è stata ripetuta la solenne affermazione “mai più”, riferita a massacri e negazioni dei diritti umani fondamentali; quante volte abbiamo preteso di agire in nome della difesa dei diritti e della dignità umana per poi dimenticarli nel nostro stesso agire e comportamento o per mera convenienza e dimenticare, abbandonandole, le popolazioni in favore delle quali si è preteso di intervenire. Basterebbe pensare alle guerre a cui abbiamo assistito dal crollo dell’Urss, tutte cariche di ipocrisia e massima incoerenza: dal Golfo, alla Somalia, ai Balcani occidentali, all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia, alla Siria… Sia chiaro tutto ciò non scalfisce di una virgola la condanna di Putin e il giudizio sui suoi crimini troppo spesso minimizzati, ma va tenuto presente.
Fermare il conflitto
Una cosa è certa: le risposte che possiamo abbozzare oggi sono già in parte diverse da quelle che potevamo ipotizzare prima dell’invasione russa e che potremo ipotizzare nel prossimo futuro. Rimangono però alcune strade che potrebbero o perfino devono in ogni caso essere percorse, premettendo che la principale carta da giocare sempre e comunque rimane quella del dialogo politico, anche quando sembra impraticabile. Al punto in cui si è arrivati serve un’iniziativa politico-diplomatica che fermi la guerra, da qualunque parte essa arrivi.
1 – Ci sarebbero iniziative di carattere straordinario, profetico, che colpiscono e disorientano, e proprio per questo possono aprire a nuove prospettive e avere qualche efficacia, ma è difficile metterle in atto.
Pensiamo a che effetto si sarebbe prodotto se tra gennaio e febbraio si fosse deciso di convocare il Consiglio di sicurezza Onu a Kiev, per il tempo necessario alla migliore comprensione e all’approfondimento delle ragioni e delle intenzioni della Russia insieme a quelle dell’Ucraina e dell’Alleanza atlantica, con l’obbiettivo di trovare le giuste garanzie per gli uni e per gli altri e assicurare il mantenimento della pace.
O se ci fosse un incontro tra papa Francesco, il patriarca di Mosca Kirill, il primate ortodosso ucraino Epifanij: purtroppo bloccato a causa delle divisioni. I danni delle divisioni tra cristiani non toccano solo lo stretto ambito del contesto religioso ma influiscono enormemente anche a livello geopolitico.
O se, anche e soprattutto ora a guerra avanzata, i primi ministri dei più importanti paesi Ue si riunissero per tre giorni a Kiev invitando Putin a sedersi insieme a loro per essere ascoltato e per ascoltare, in un dialogo aperto come mai è accaduto dalla fine dell’Unione sovietica. Purtroppo l’Europa non riesce a fare molto, avendo troppo a lungo delegato alla Nato la gestione della crisi ucraina. Fornire armi non può bastare. Un sussulto di dignità potrebbe nascere ora, di fronte alla guerra “in casa” e alle possibilità di peggioramento e ampliamento.
Tutti gesti che sembrano impossibili ma che potrebbero nella loro eccezionalità garantire una svolta.
2 – Iniziative che potrebbero essere efficaci sono spesso rifiutate anche per una certa arroganza e mancanza di visione e di umiltà, a partire dall’azione diplomatica e dal dialogo politico. Indipendentemente dal fatto che Putin mentisse e che il piano di invasione e annessione dell’Ucraina fosse già definito, anzi proprio per rendere inefficace tale piano sarebbe stato necessario prendere sul serio la richiesta russa a Usa e Nato di avere garanzie “a lunga scadenza e giuridicamente vincolanti” sul non allargamento della Nato, sulla rinuncia a posizionare nuovi armamenti vicino alle frontiere russe. La trattativa avrebbe probabilmente tolto a Putin molta della sua aggressività rendendo più difficoltosi il suo disegno e la sua menzogna, almeno temporaneamente.
Ancora a fine febbraio il presidente Zelensky si è reso disponibile a parlare della possibilità di uno status neutrale per l’Ucraina, purché ci fossero da terze parti garanzie di sicurezza per il paese. Domandandosi: “quali paesi ci daranno queste garanzie?” Non ci sono state risposte: solo un’illusoria ipotesi di ingresso nella Nato che nessuno in Occidente aveva fino ad allora mai ipotizzato realmente. Solo parole, affermazioni di principio senza possibilità di seguito, come ad esempio questa: “ogni Stato deve essere libero di aderire all’Alleanza, così come hanno fatto gli altri stati staccatisi dall’Urss”. Giusta affermazione indubbiamente; ma in quel momento e in quella situazione di tensione non poteva avere alcun significato pratico se non quello di esasperarla.
Ora la via della neutralità è divenuta più complicata perché è entrata tra le richieste avanzate da Putin insieme alla cessione definitiva della Crimea e di altri territori. La neutralità – che molto probabilmente, come la ragione suggeriva, sarà la strada obbligata se mai l’Ucraina riuscirà a mantenere la propria indipendenza – potrebbe ritornare ad essere un’opzione per l’Ucraina solo se si tratterà di una propria autonoma decisione e non dettata dalla Russia. Ma ciò può avvenire solo attraverso il negoziato e con lunghe trattative diplomatiche che saranno condizionate dagli esiti della guerra, dagli obiettivi militari raggiunti da Putin o dalla indomabile resistenza ucraina, dal peso delle sanzioni alla Russia e dallo scontento dei russi nonostante l’informazione drogata che stanno ricevendo.
Anche se l’occupazione terminasse con l’accerchiamento di Kiev (e non è detto, perché tutto porta a pensare che continuerà su tutto il territorio ucraino) e iniziasse la trattativa per il cessate il fuoco, Putin conseguirà comunque molti dei suoi obiettivi e la libertà dell’Ucraina pagherà un prezzo inimmaginabile solo poche settimane fa. Nei mesi scorsi si è persa un’occasione, a mio avviso. E la pagheremo tutti: l’Ucraina, Putin (anche se mai uscisse vittorioso) ma anche l’Ue, con una nuova cortina di ferro alle nostre porte in un mondo in subbuglio e con troppe bombe nucleari. Putin ne evidenzia freddamente l’esistenza e ci ricorda al contempo che il perfezionamento di queste armi è andato molto avanti, con un potenziale talmente rapido e distruttivo da impedire ogni possibile risposta. Sono pronte per essere usate. E c’è chi potrebbe usarle. Se non si interviene militarmente a sostegno dell’Ucraina, anche solo imponendo una No Fly Zone come implorato da Zelenski, è anche perché Putin ha minacciato l’uso di tali armi in caso di coinvolgimento nel conflitto di altri stati o alleanze, in caso cioè di un’ipotetica terza mondiale.
La richiesta dello status di Paese candidato all’adesione da parte dell’Ucraina e ora di Georgia e Moldavia cambierebbe le carte in tavola e il ruolo dell’UE nei rapporti con Mosca assumerebbe maggiore rilevanza. Ma se Putin conquisterà l’intera Ucraina sarà una disfatta. E ancora maggiore è la rabbia di avere assistito al rifiuto di prendere in considerazione le richieste preoccupate (dal suo punto di vista, certo, ma non per questo da sottovalutare) di Putin. Mai umiliare un avversario, specie se potrebbe farti male. Se invece il despota deciderà di non conquistarla interamente, perché troppo costoso e rischioso, potrà ottenere di rimanere indefinitamente con proprie truppe in alcuni sue parti di interesse, come sta avvenendo dal 2008 in Ossezia del Sud e Abkhazia, regioni della Georgia e dal 1992 in Transnistria nella Moldavia e dal 2014 in una Crimea annessa alla Russia, senza troppe reazioni da parte delle democrazie occidentali, che hanno così fornito a Putin la convinzione di poter continuare su questa strada e andare oltre.
A problemi globali risposte globali multilaterali
Prendendo insegnamento da questa guerra, ma più in generale dalle guerre, dovrebbero essere messe in atto iniziative a livello sovranazionale e internazionale con decisione, senza più tentennamenti, perché ne va della nostro futuro e forse della sopravvivenza. Si tratta del ruolo delle istituzioni sovranazionali, quelle che più di tutto e di tutti potrebbero assicurare la pace e la costruzione, con il tempo che ci vorrà ma in modo determinato, di un nuovo ordine internazionale. Una visione del mondo ben diversa da quella che sta cercando di imporre Putin. Non si può più avere lo sguardo rivolto solo alle emergenze che si susseguono ma occorre da subito, senza ulteriori rinvii, pensare al mondo che vogliamo costruire per il prossimo futuro. Non si è avuto il coraggio e la lungimiranza di farlo dopo il crollo dell’Urss: almeno ora non si aspetti oltre.
Guardando l’Europa, quanto durerà la spinta al rafforzamento del processo europeo che ci viene da questa guerra? Se è importante provvedere alla sicurezza comune ancora di più lo è darsi una nuova visione del mondo e del ruolo europeo in esso, basato su valori condivisi e su una sempre maggiore unità e forza politica. L’Ue appare ancora un soggetto impotente nel contesto geopolitico internazionale e si è mostrata debole, quasi assente, nell’affrontare la questione ucraina quando poteva essere affrontata con l’iniziativa politico-diplomatica. La guerra in Ucraina sta spegnendo l’illusione sovranista e sollecita una forte accelerazione del processo di unificazione in senso federale. Occorre ora ripensare e ravvivare le politiche di vicinato, governare i movimenti migratori, rafforzare l’unione del nostro continente e delle sue comuni scelte politiche in una visione di lungo periodo. Come società civile dobbiamo premere maggiormente perché ciò avvenga e presto, sperando che si manifestino leader politici all’altezza del compito. Ne va della credibilità dell’Ue.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite sembra essere sparita dalle decisioni che contano, pur rimanendo un fondamentale foro politico per favorire il dialogo (anche tra nemici), la convivenza, l’ampliamento del diritto internazionale e per evitare massacri inviando forze di interposizione. I Grandi del mondo non hanno mai voluto cedere spazi di sovranità, mantenendo l’Onu debole. Caduta la cortina di ferro, non hanno avuto il coraggio di recepire quanto da loro stessi auspicato il 31 gennaio 1992 nella riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza (per la prima volta al livello di Capi di Stato e di Governo) dopo l’implosione dell’Urss e successivamente sviluppato dal Segretario Generale Boutros Boutros-Ghali nel rapporto “Un’Agenda per la pace”. “Il miglioramento nelle relazioni tra gli Stati dell’oriente e quelli dell’occidente consente nuove possibilità per contrastare con successo le minacce alla comune sicurezza”. Era una delle frasi introduttive del rapporto. Che proponeva alcuni ambiziosi obiettivi in una visione multilaterale e di cooperazione prevedendo che “un genuino consenso derivante da interessi condivisi deve governare l’attività del Consiglio di Sicurezza, e non la minaccia del veto o il potere di un qualsiasi gruppo di nazioni“.
Non c’è stata negli anni ’90 intelligenza politica e leader politici all’altezza, con visioni lungimiranti e capacità di ridisegnare e proporre un nuovo ordine mondiale che tenesse insieme Nord-Sud e Est-Ovest definendo il ruolo in esso dell’Europa e dell’Occidente. Ci si è limitati ad osservare soddisfatti la decomposizione dell’Urss. Quanto all’ONU, gli Stati non hanno voluto cedere alle Nazioni Unite quegli spazi di sovranità che avrebbero potuto segnare una differente evoluzione nella gestione dei conflitti e nel mantenimento della pace. Hanno prevalso e continuano a prevalere gli interessi particolari, legati a visioni di corto respiro e spesso errate. E le conseguenze sono sotto i nostri occhi.
Sarebbe doveroso, oltre che indispensabile, riprendere e attualizzare quell’Agenda per la pace. Servirebbero donne e uomini illuminati e coraggiosi nella loro funzione e azione politica, con una visione alta e lungimirante, profondamente e intensamente convinti e capaci di convincere. Putin ha affermato di volere andare fino in fondo. Noi, società civile che anela alla pace e istituzioni europee e internazionali che dovrebbero garantirla quanto lontano e con quanta forza e impegno siamo pronti ad andare?
*presidente emerito di INTERSOS e policy advisor di LINK 2007
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