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Per una politica migratoria fuori dall’emergenza

Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e Policy Advisor della rete Link 2007, firma un documento di analisi su una materia, quella dell’immigrazione, che è stata negli ultimi anni affrontata con criteri di emergenza e in modo parziale. Un documento che è anche di proposta: dalle migrazioni che possono essere regolate e sicure a quanto l'Africa e l'Europa hanno bisogno l'una dell'altra, fino al Memorandum d'Intesa Italia - Libia che può ancora essere modificato

di Nino Sergi

Sappiamo che l'immigrazione è un fatto strutturale che deve essere governato politicamente, con misure nazionali ed europee e accordi internazionali, non limitandosi al solo contrasto. Il governo dell’immigrazione richiede infatti ampia e lungimirante visione politica, unitarietà e coerenza, sintonia con gli altri paesi europei, collaborazione multilaterale, accordi con i principali paesi di provenienza dei migranti, partenariati di sviluppo e investimenti con i paesi del Continente africano separato da noi solo da un braccio di mare.

Il documentoGOVERNARE L’IMMIGRAZIONE, NON SOLO CONTRASTARLA. A PARTIRE DAL MEMORANDUM DI INTESA ITALIA-LIBIA (alcune verità, precisazioni e proposte) – si compone di due parti: PER UNA MIGRAZIONE ORDINATA, REGOLARE E SICURA e MEMORANDUM DI INTESA ITALIA-LIBIA. Inserendosi nel dibattito attuale, il documento parte dalle contraddizioni che frenano la definizione di una vera ed efficace politica migratoria per indicare alcune proposte attuabili che facciano fare un salto di qualità, sia alla stessa visione politica e che alla normativa per riuscire a governare l’immigrazione in modo ordinato, regolare e sicuro. Anche perché la materia, se gestita male, rischia di incrementare tensioni sociali e politiche. Sotto una sintesi (qui invece è possibile scaricare la versione integrale del documento: GOVERNARE L’IMMIGRAZIONE, NON SOLO CONTRASTARLA. A PARTIRE DAL MEMORANDUM DI INTESA ITALIA-LIBIA (alcune verità, precisazioni e proposte).

Per una migrazione ordinata, regolare e sicura

La narrazione politica sull’immigrazione si è basata spesso, negli anni, su elementi propagandistici e in parte strumentali, con visioni emergenziali che non hanno permesso di dare le giuste risposte che la complessità della materia richiede. Più di recente l’attenzione è stata concentrata sui salvataggi delle Ong in mare che rappresentano il 12% degli sbarchi, quasi volendo ignorare gli arrivi con natanti autonomi che superano il 50%, i restanti soccorsi effettuati da Frontex, Guardia costiera, Guardia di finanza, navi mercantili (dati del Ministero dell’Interno) e gli altri ingressi dalla rotta balcanica. Osservando il diritto internazionale e fedeli all’imperativo umanitario, le Ong hanno salvato ogni anno alcune migliaia di vite umane a rischio di morte. Più di 20.000 sono state le persone annegate dal 2014 al 2022 nel tratto di mare tra Libia e Italia: le Ong vogliono non aggiungerne altre, come fanno ovunque nel mondo e spesso anche in Italia, obbedendo all’imperativo umanitario. Non intendono proprio sostituirsi ai governi ma continueranno a farlo finché ci saranno persone con la vita in pericolo che chiedono aiuto. Affrontare la realtà migratoria concentrando l’attenzione ai soli arrivi via mare ed ai trasferimenti per suddividere con altri paesi europei i richiedenti protezione internazionale (trasferimenti che vanno certamente effettuati in forza degli accordi condivisi nel giugno 2022 da 19 Stati membri e da 4 associati all’UE) significa non affrontare la materia nella sua complessità, che richiede la definizione di una normativa complessiva e coerente, che esca dalla paura dell’invasione, che non c’è e che impedisce ogni avanzamento nella definizione di politiche al tempo stesso umane e utili all’Italia e all’Europa. Da anni si ripete nelle aule parlamentari che la politica migratoria deve essere concordata con tutti i paesi, che serve un patto europeo e un’iniziativa UE più risoluta, che occorre rivedere gli accordi di Dublino sui rifugiati, che servono intese con i paesi di provenienza e che il problema dei migranti va affrontato innanzitutto in Africa. È mancata però, a livello governativo, la definizione di una proposta che superi le sole misure di sicurezza che non hanno apportato vere soluzioni; capace di affrontare la materia nella sua interezza, coordinandola con la dimensione europea. Se fosse attuato per esempio il criterio dei ricollocamenti in base alla quantità della popolazione, vari paesi europei che hanno numeri di richiedenti protezione internazionale proporzionalmente superiori ai nostri potrebbero riversarne decine di migliaia sull’Italia. Le richieste di asilo in rapporto a 1000 abitanti sono infatti state nel 2021: Svezia 27, Malta 17, Austria 13, Germania 12, Cipro 8, Francia 5, Italia 3. Mentre i titolari di protezione già in carico erano: Germania 1,2 milioni, Francia 499 mila, Svezia 299 mila, Italia 145 mila. È quindi evidente che la complessità del tema richiede un ben diverso approccio, maggiore coerenza e il superamento di tante contraddizioni. È indubbio che ci sia la necessità di rivedere la legislazione italiana, che appare alquanto chiusa e incoerente, tanto da “incentivare” l’immigrazione illegale. Serviranno norme che definiscano gli ingressi sulla base di indicatori socio-economici, delle necessità, delle opportunità culturali, scientifiche, professionali, delle intese bilaterali e degli accordi con gli Stati UE, insieme all’inalienabile dovere di garantire la protezione internazionale. Ma sarà necessario ripensare la normativa non solo con l’indispensabile precisione e completezza per potere essere applicata ma anche con l’apertura, la capacità di cogliere il cambiamento e la visione lungimirante che hanno garantito vitalità, progresso al benessere italiano e di tante altre regioni nel mondo. È altresì indubbio che l’Italia non possa accogliere tutti, anche se l’affermazione perde peso di fronte alla realtà delle percentuali rispetto alla popolazione residente di immigrati e di titolari di protezione accolti in ogni continente e in altri paesi europei, grandi e piccoli, come già sottolineato.

L’Africa ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno dell’Africa

È utile aggiungere alcuni elementi di analisi e proposta sul nesso tra migrazioni e sviluppo e sulle opportunità da cogliere e sviluppare nel rapporto con il continente africano a cui siamo collegati dal Mediterraneo. Nel 2050 l’Africa subsahariana raddoppierà la popolazione a circa 2,3 miliardi, con un probabile bacino di 750 milioni di persone in età lavorativa (mentre l’Italia diminuirà di 15 milioni). Servono quindi nuove opportunità di lavoro in modo diffuso nel continente. La crescita demografica produrrà inoltre un incremento della domanda di servizi pubblici e di investimenti in istruzione, formazione professionale, filiere industriali, agricole, commerciali, infrastrutture, logistica, trasporti e più in generale progresso sociale e umano. Il cambiamento climatico muterà il rapporto delle persone con la terra, la cui coltivazione richiederà approcci e tecnologie innovative. Sono tutti settori nei quali lo spirito di impresa e la capacità tecnologica italiana possono fornire molte utili risposte, in particolare collegandosi all’azione dei soggetti non profit che sono da anni grandi conoscitori di quelle realtà grazie ai legami e ai partenariati costruiti mettendo al centro la persona umana e la comunità. L’Africa ha bisogno dell’Europa ma anche l’Europa ha bisogno dell’Africa. Il Presidente Mattarella ha parlato giustamente della necessità di una politica lungimirante verso l’Africa, essendo per l’Europa e per l’Italia il più vicino continente con cui stabilire stretti rapporti di partenariato e di cooperazione. Per essere efficace e sostenibile nel tempo e nelle modalità attuative, tale cooperazione dovrà essere basata su una stretta concertazione e una coordinata azione europea frutto di un permanente partenariato euro-africano che ne definisca le priorità, i vincoli, i reciproci interessi, l’ownership locale e i rispettivi ruoli. Questo partenariato ha bisogno di risorse. Il debito pubblico di molti paesi africani soffoca qualsiasi idea di titolarità locale e di sostenibilità basata sulle poche risorse disponibili. LINK 2007 ha lanciato allo scorso G20 a presidenza italiana una proposta apripista chiamata Release G20 che va nella direzione di liberare risorse, a partire dal debito, per investimenti atti a creare posti di lavoro dignitosi e sostenibili. Su questa proposta e su tutto quanto sopra LINK 2007 continuerà a dialogare con le Istituzioni italiane ed europee insieme agli altri attori della società civile e i soggetti interessati alla cooperazione allo sviluppo.

Memorandum d'Intesa Italia-Libia

Venendo ora agli arrivi via mare dal Nordafrica ed al Memorandum di intesa con la Libia, è bene evidenziare che le partenze sono organizzate non solo lungo le coste libiche della Tripolitania ma anche della Cirenaica e nelle aree interne (oltre che in Tunisia e in Egitto). L’Italia non è riuscita – come d’altronde la stessa Europa – a stabilire rapporti positivi con le due principali parti libiche in conflitto, come avrebbe dovuto e potuto fare con una politica lungimirante, risoluta e perseverante. Si è limitata a soddisfare le proprie ansie politiche sul contenimento e il controllo dell’immigrazione dalle coste libiche occidentali, firmando in merito un accordo che si rinnova tacitamente ogni triennio e di cui non sono ancora chiari i contenuti dei decreti attuativi. I dissensi e le manifestazioni contro il rinnovo senza modifiche del Memorandum di intesa tra l’Italia e la Libia (QUI IL TESTO) sono più che giustificati. Firmato il 2 febbraio 2017 con validità triennale è già stato rinnovato nel 2020 e lo sarà a febbraio 2023. A quanto si sa, l’Italia non ha presentato alcuna richiesta di revisione secondo i termini stabiliti all’articolo 8 (“ha validità triennale e sarà tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente, salvo notifica per iscritto di una delle due Parti contraenti, almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità”). Il nostro Governo può comunque farlo in ogni momento, ai sensi dell’articolo 7 che stabilisce più generalmente che “Il presente Memorandum può essere modificato a richiesta di una delle Parti, con uno scambio di note, durante il periodo della sua validità”. Perché è indispensabile oltre che doveroso che il Governo italiano modifichi il Memorandum senza esitazioni e ritardi? Innanzitutto per ragioni di coerenza, dignità e rispettabilità, non potendo l’Italia tradire la propria cultura dei diritti umani e dei principi e valori fondamentali della persona contenuti nei trattati internazionali, considerata anche l’esigenza vitale per l’Italia di far parte di quella comunità di Stati che basano le proprie Costituzioni sul rispetto della dignità di ogni essere umano, attuandone coerentemente i principi. Nelle tre pagine del testo, le parole ‘diritti umani’ compaiono una sola volta, all’articolo 5, indicando negli “obblighi internazionali sottoscritti dalle parti lo strumento per interpretare e applicare” il Memorandum su tali diritti. In tutta evidenza tale interpretazione e applicazione non è mai avvenuta. La situazione di molte persone immigrate il Libia, con la disumana realtà dei centri di detenzione definiti unanimemente lager, gli abusi, gli stupri, le torture, lo stato di schiavitù, i ricatti, le oscure operazioni degli uomini della Guardia di frontiera e costiera e dell’Interno, spesso legati a milizie tribali implicate nei traffici di essere umani oltre che del petrolio, le omissioni di soccorso, le ripetute reclusioni arbitrarie, sono realtà ben conosciute e documentate anche da organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite. È quindi evidente a tutti che il testo non possa più essere tacitamente rinnovato, come se questa orribile serie di crimini non esistessero. Tanto più ora, dopo l’annuncio della Corte penale internazionale (Cpi) al Consiglio di Sicurezza di avere emesso numerosi mandati per crimini di guerra, crimini contro i diritti umani e crimini contro i migranti commessi in Libia. L’articolo 5 può e deve essere applicato: “Le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte”. Anche la Libia ha ratificato Convenzioni e Trattati internazionali sui diritti umani, che non sono mai stati revocati e che impegnano tuttora i governi libici. Si tratta di impegni internazionali che sono stati quasi dimenticati sia dai libici che dalla comunità internazionale. È bene ricordarli affinché diventino lo strumento chiave per la definizione e l’applicazione degli accordi multilaterali e in particolare del Memorandum bilaterale di intesa. Se il Governo italiano considera la controparte libica credibile nel rappresentare lo Stato o una sua parte per quanto riguarda gli impegni che dovrà assumere in forza del Memorandum, la stessa credibilità dovrà valere nell’esigere l’adempimento degli impegni internazionalmente assunti.

*Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e Policy Advisor della rete Link 2007

Credit Foto Max Cavallari, naufraghi a bordo della nave umaniatria Humanity bloccata al porto di Catania

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