Formazione
Paolo Iabichino: «Non si può riformare la scuola senza ascoltare la voce degli studenti»
«Questi due anni di blackout ci servano da lezione. Superiamo la managerializzazione del mondo scolastico. Le conoscenze si possono sempre recuperare, le anime ferite invece non è detto siano rammendabili...». L'intervento sul numero del magazine in distribuzione del direttore creativo
La scuola è arrivata ad un punto critico. Non è più un’agenzia educativa. Ormai da anni l’istituzione scolastica si incardina infatti su una relazione tra docenti e studenti che è basata su una cultura del sospetto.
Un rapporto in cui il controllo è l’unico metro di relazione mirato non ad educare o acculturare, che già sarebbe grave, ma a garantire burocraticamente che la certificazione delle competenze si svolga nel rispetto di regole e regolamenti. La valutazione poi è l’unica priorità. Ma non in ossequio a un modello valutativo del singolo studente in base al suo personale percorso educativo, che sarebbe qualcosa di condivisibile e auspicabile. Siamo di fronte ad una standardizzazione della performance per cui si chiede ai ragazzi di ottenere tutti e tutti insieme gli stessi obiettivi, senza guardare alle peculiarità, capacità e talenti individuali. Una managerializzazione del mondo scolastico, come testimoniano gli open day, ormai enormi fiere marketing dove i piazzamenti degli studenti migliori, come se si parlasse di cavalli da corsa, e le classifiche dei migliori istituti che ogni anno riempiono pagine e pagine dei giornali tra giugno e luglio, sono gli unici parametri. Alla base del rendimento di ogni istituto vengono presi in considerazione i rendimenti degli studenti al primo anno di università: medie voto e numero di esami sostenuti tra i principali criteri. Non può stupire che a comandare queste graduatorie, da Nord a Sud, siano sempre istituti paritari o privati.
Possibile che non ci si renda conto del messaggio classista neanche tanto subliminale che stiamo comunicando ai nostri figli? Tutto questo genera una pressione che si riversa sui giovani che sin da subito, alle prime esperienze in una classe, imparano a conoscere un solo dogma: ambire a primeggiare. Questa non è scuola ma una vetrina di performance. Una scuola come questa mira solo a costruire dei piccoli leader, in una stranissima e orribile accezione di leader, non cittadini consapevoli. E non stiamo parlando esclusivamente delle università. Questo ormai è il modello che accomuna scuole primarie e secondarie di ogni ordine e grado. Come diceva il tenente colonnello Frank Slade parlando in difesa del giovane Charlie Simms davanti alla Beard School in Scient of Woman: «Entrando ho sentito queste parole: “la culla della leadership”. Bé, quando il supporto si rompe cade in pezzi la culla. E qui è già caduta. Fabbricanti di uomini, creatori di leader, state attenti al genere di leader che producete».
La diretta sul profilo IG di Vita con Paolo Iabichino in cui si è parlato di scuola
La pandemia ha fatto detonare in modo devastante questi problemi preesistenti. Perché ha acuito il bisogno dei ragazzi di una carezza e di un abbraccio. Di un’accoglienza che ormai la scuola ha dimenticato e non è più in grado di dare. La Didattica a distanza ha svelato la realtà delle nostre scuole: luoghi in cui i ragazzi sono ormai freddi numeri che producono, scartati ogniqualvolta uno dei nostri figli non è in grado di rispettare e soddisfare queste aspettative folli. «Una società merita la qualifica di “civile” se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto; se riconosce il valore intangibile della vita umana; se la solidarietà è fattivamente praticata e salvaguardata come fondamento della convivenza», ha detto recentemente papa Francesco. E dove se non nelle classi delle nostre scuole dovremmo cominciare a produrre questi anticorpi?
Quello cui stiamo assistendo è una strage umana ancora prima che di competenze. Qualcosa di molto più grave dei dati Invalsi. Le conoscenze si possono sempre recuperare, le anime ferite invece non è detto siano rammendabili…
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*Paolo Iabichino, aka Iabicus è direttore creativo e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands, con Ipsos Italia
Photo by Jason Rosewell on Unsplash
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