Mondo

Questa Europa è più accogliente del solito. Ma una rapida adesione dell’Ucraina non è possibile

«La rapida adesione all’Ue non è percorribile» spiega Salvatore Petronella, esperto di politiche migratorie. In compenso, però, i Ventisette si stanno mostrando più accoglienti di quanto fecero in passato. «Paesi di solito scettici nei confronti di temi legati all’immigrazione, sono pronti e già si stanno adoperando ad accogliere migliaia di rifugiati». Oggi l’attivazione della Direttiva 2001/55, adottata in seguito alla crisi balcanica di venti anni fa e mai attuata, permetterebbe di offrire protezione immediata a chi fugge dalla guerra

di Sabina Pignataro

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede l’adesione “immediata” dell’Ucraina nella Ue. Domenica, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen aveva detto: «L'Ucraina è una di noi e la vogliamo nell'Unione". Sul tema era poi intervenuto l'Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell chiarendo che «L'adesione dell'Ucraina all'Ue nell'immediato "non è in agenda"». Che significa hanno queste dichiarazioni? Come stanno reagendo i Ventisette? Ne abbiamo parlato con Salvatore Petronella, esperto di politiche migratorie comunitarie e collaboratore di diverse organizzazioni internazionali, tra cui la Commissione Europea, le Nazioni Unite e il Centro Internazionale per lo Sviluppo di Politiche Migratorie.

Petronella, la Comunicazione della Commissione europea Parlamento Ue e al Consiglio Europeo (comunicazione 2021 sulla politica di allargamento dell'Ue) non menzionava nemmeno l’Ucraina. Attualmente sono in corso negoziati di adesione con Montenegro, Serbia e Turchia. Pensa che l’adesione immediata dell’Ucraina sia una strada tecnicamente percorribile?
«Naturalmente possono esserci diverse ragioni dietro le voci su una possibile adesione immediata dell’Ucraina alla UE che si sono susseguite nelle ultime ore. A parte la smentita di oggi pomeriggio da parte dell’Alto Rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, non credo possa essere una strada percorribile né tanto meno adeguata. Rispondere con tale decisione affrettata non garantirebbe necessariamente una stabilizzazione di una crisi internazionale e militare cosi delicata. Inoltre, un’adesione immediata potrebbe generare un certo senso di risentimento tra i governi di quei paesi (penso ai Balcani occidentali) che aspettano da anni passi in avanti, oltre che a poter ulteriormente inasprire le relazioni con Mosca. Anche in termini di equilibri geo-politici nella regione, tale decisione potrebbe esporre maggiormente paesi piccoli come la Georgia o l’Armenia».

Come si stanno muovendo i ventisette Stati Membri per rispondere all’arrivo di profughi dall’Ucraina?
«La risposta deve essere responsabile e solidale. Dalle ultime notizie traspare una presa di posizione più accogliente verso chi arriva dall’Ucraina. Paesi di solito scettici nei confronti di temi legati all’immigrazione, sono pronti e già si stanno adoperando ad accogliere migliaia di rifugiati. Le ultime stime del’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati parlano di oltre 400 mila persone che stanno già ricevendo protezione in Polonia, Repubblica Ceca e altri paesi dell’Europa dell’est. Una risposta internazionale degna di valori europei ben spesso invocati ma a volte dimenticati. Un messaggio positivo che dimostra come I paesi UE siano in grado di offrire protezione internazionale a fette larghe di popolazioni in pericolo, che allo stesso tempo però stride con quanto successo solo pochi mesi fa ai confini con la Bielorussia: due pesi e due misure per gruppi di profughi che rispondono a criteri geografici, culturali ed economici diversi».

In questa intervista aveva detto che «a livello europeo la questione ‘protezione frontiere’ prevale sulla creazione di un piano di accoglienza a livello comunitario». Nel 2015, quando oltre un milione di siriani marciarono lungo la rotta balcanica, la direttiva che prevede protezione temporanea non fu attuata. Oggi come le appare il quadro?
«La situazione sembra completamente diversa. Alcuni paesi UE (Germania in primis) e la stessa Commissaria agli affari interni e immigrazione Ylva Johansson hanno richiesto l’attivazione della Direttiva 2001/55 (sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati, ndr), adottata in seguito alla crisi balcanica di venti anni fa e mai attuata. Lungi dall’essere uno strumento perfetto, la direttiva permetterebbe di offrire protezione immediata a chi fugge dall’Ucraina. Gli ostacoli di carattere politico (per attivare lo strumento serve una maggioranza qualificata del Consiglio Europeo) potrebbero essere superati vista l’apertura di paesi del Gruppo Visegrad (composto da Polonia; Repubblica Ceca; Slovacchia e Ungheria). Da vedere se la decisione finale riguarderà solo cittadini ucraini o chiunque fugga dal territorio ucraino (che al momento riguarda per lo più un cittadini afgani, indiani e nigeriani). C’è da augurarsi che la prova di solidarietà non faccia distinzioni tra cittadini ucraini e non.

Lo scorso autunno, il Governo italiano ha riconosciuto d’ufficio lo status di rifugiato a chiunque arrivasse dall’Afghanistan con l’operazione Aquila Omnia. Pensa possa verificarsi qualcosa del genere anche per chi scappa dalla guerra in corso in Ucraina?
«Credo di si, si tratterebbe di numeri di gran lunga superiori. Alcune città si sono già mobilitate ad accogliere profughi provenienti dall’Ucraina. Organizzazioni di volontari, inclusi esperti legali, si stanno adoperado affinché il maggior numero possibile di persone possa ricevere supporto adeguato. Alcune fonti parlano di una durata della protezione temporanea anche superiore (tre anni) rispetto al minimo previsto dalla direttiva (un anno). La direttiva inoltre consente ai beneficiari di entrare nel mercato del lavoro e ai paesi UE di alleviare il peso burocratico di migliaia di richieste d’asilo. Tali considerazioni sono necessarie anche per permettere un’integrazione dignitosa ed immediata nel tessuto socio-economico delle realtà italiane».

In apertura, la bandiera Ucraina e quella europea. Fonte: European Commission

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.