Welfare
“La chiesa è la nostra casa”: le persone con disabilità scrivono al Papa
In vista del Sinodo, trenta persone con disabilità di tutto il mondo hanno lavorato a un documento che chiede un cambio di paradigma: «Riconoscere che siamo tutti parte della stessa umanità vulnerabile e fragile elimina qualsiasi arbitraria distinzione fra “noi” e “loro”. Urge un cambio di mentalità che aiuti a cogliere le potenzialità di ciascuno»
Il titolo scelto è bello e significativo, nel suo riaffermare una cosa semplice ma niente affatto scontata, anzi da rivendicare: “La Chiesa è la nostra casa”. È il documento redatto da trenta persone con disabilità, provenienti da ogni parte del mondo, che è stato consegnato al Papa in vista del prossimo Sinodo della Chiesa Cattolica (allegato in fondo all'articolo). Il percorso per la stesura del documento è iniziato lo scorso maggio, su chiamata del Dicastero per i Laici la Famiglia e la Vita e si inserisce nel solco della riflessione che il Dicastero ha avviato da circa due anni in merito all'inclusione delle persone con disabilità e alla loro piena partecipazione alla vita della Chiesa: l’idea di fondo, con questa scelta, è quella di prendere innanzitutto le distanze da alcune idee che hanno finora segnato l'approccio ecclesiale al tema della disabilità (disabilità come un castigo o come una benedizione) e di cambiare radicalmente il paradigma anche dell’attenzione. «Non si tratta semplicemente di un nuovo ambito di azione pastorale, ma dell'affermazione decisiva che la vocazione battesimale è davvero per tutti, senza esclusioni», si legge nel documento.
Le persone con disabilità sono circa il 15% della popolazione mondiale. La presenza attiva delle persone con disabilità può aiutare la Chiesa a superare la mentalità efficientistica ed emarginante della società odierna. È quello che Papa Francesco, di recente ha definito un vero e proprio "magistero della fragilità”.
Qual è il cambio di passo richiesto alla Chiesa? «È fondamentale che tutto quello che attiene all'inclusione non sia più solo legato alla particolare sensibilità di alcune persone, ma sia frutto di un cambio di mentalità, di cultura, di sguardo, per cui ciascuno sia visto nella sua dignità di persona e di figlio amato da Dio Padre. Riconoscere che siamo tutti parte della stessa umanità vulnerabile e fragile che Cristo ha assunto su di sé e santificato elimina qualsiasi arbitraria distinzione fra “noi” e “loro” e apre le porte alla piena partecipazione di ciascun battezzato alla vita della Chiesa. Ciascun battezzato è “tempio dello Spirito Santo” e dunque è reso capace di portare a pienezza sé stesso, secondo i doni di grazia che Dio concede. Sono certamente doni diversi, ma a ciascuno la grazia è data in pienezza. In questa prospettiva – quella della consapevolezza che la grazia abita ciascuno in egual misura – è necessario superare ogni atteggiamento paternalista nei confronti di chi vive una condizione di disabilità e superare l'idea che dobbiamo essere esclusivamente accuditi. È un atteggiamento, purtroppo, ancora molto diffuso che si sostanzia nel compatimento, nel pietismo e nel continuare a considerarci "oggetto" dell'attenzione ecclesiale e non "soggetti". È per questo urgente un cambio di mentalità che aiuti a cogliere le potenzialità di ciascuno».
Gli ostacoli descritti sono tanti: dalla mancanza di preti che conoscano la Lingua dei segni al rifiuto dei sacramenti dovuto al pregiudizio sulla capacità di comprendere la natura del sacramento o all'inutilità di offrire la riconciliazione a chi già espia il proprio peccato; dalla mancanza di comunicazioni in CAA o easy to read all’incapacità di ascoltare le istanze ed i desideri delle persone con disabilità. «La narrazione sulla vita delle persone con disabilità è stata, ed è tuttora, troppo spesso associata all'idea di sofferenza. Noi siamo sovente considerati una croce per le famiglie in cui viviamo, alcuni si chiedono che senso abbia dare alla luce una vita che sarà contrassegnata dal dolore, altri – addirittura – indicano nel soffrire una particolare missione alla quale noi in particolare siamo chiamati. Disabilità e sofferenza appaiono legate in un binomio inscindibile. Eppure, dall'esperienza di tutti noi che abbiamo partecipato a questa consultazione sinodale, emerge con forza che la sofferenza non è una condanna e che la nostra esperienza ecclesiale è molto spesso contrassegnata dalla gioia», conclude il documento. Ecco uno dei possibili contributi della partecipazione delle persone con disabilità alla vita della Chiesa: testimoniare e far vivere la gioia del Vangelo.
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