Politica

Transizione ecologica e digitale: affare per pochi o interesse generale?

Settimana prossima si apre la conferenza sulla governance finanziaria dell’Unione Europea: appare evidente che per rendere accessibili le transizioni green e blu, è indispensabile sostenere le famiglie, i lavoratori, le piccole aziende, le formazioni sociali e le organizzazioni del Terzo settore. La Ue ne sarà capace? L'intervento del presidente di CECOP-CICOPA Europa

di Giuseppe Guerini

La prossima settimana, dal 27 al 30 settembre si svolgerà la conferenza europea sulla governance finanziaria dell’Unione Europea e c’è da aspettarsi che la questione posta dal Commissario Paolo Gentiloni, circa la necessita di lavorare ad una riforma del patto di stabilità sarà uno dei temi più caldi, con i cosiddetti Paesi “frugali” già preventivamente schierati per mantenere la situazione attuale, o meglio quella antecedente le straordinarie misure adottate dall’Unione Europea per rispondere alla pandemia e per il rilancio dell’economia europea.

È certamente molto positivo il fatto che il Commissario Gentiloni abbia aperto questo dibattito poiché appare sempre più evidente a quanti continuano ad impegnarsi per un Europa più inclusiva, sostenibile e proiettata nel futuro, che l'Unione Europea non potrà realizzare la transizione ecologica, né riconquistare terreno nel campo dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione, senza che questi due traguardi siano strettamente legati ad obiettivi di equità sociale, coesione e inclusione degli strati di popolazione che rischiano di restare ai margini delle grandi trasformazioni.

Senza un nuovo impegno deciso per politiche di bilancio coordinate e durature da parte di tutti gli Stati membri, transizione ecologica e transizione digitale rischiano di trasformarsi in un affare per pochi: pochi Paesi o singoli territori baciati dal successo (pensiamo a Milano) e altri paesi e territori condannati alla marginalità (pensiamo ad alcune aree interne del sud); ma anche pochi cittadini (le nuove élite dell’economia digitale e del “fintech”) con piena accessibilità al mondo della potenti tecnologie digitali – che spesso sono anche molto sensibili ai temi ambientali – e fanno della sostenibilità uno stile di vita. Anzi un brand. Basta guardare la pubblicità di alcune auto di lusso, presentate come prodigi di tecnologia e sostenibilità perché silenziose e a basse emissioni. Ma la sostenibilità è altro e più che una riduzione delle emissioni! Ma soprattutto per essere tale deve poter riguardare tutti!

Tornando al patto di stabilità appare evidente che per rendere accessibili le transizioni green e blu, è indispensabile sostenere le famiglie, i lavoratori, le piccole aziende, le formazioni sociali e le organizzazioni del Terzo settore che potrebbero avere un ruolo fondamentale in queste trasformazioni ma anche per adattare i nostri territori ai rischi climatici e ambientale.

Ripensare il quadro comune delle politiche economiche europee è indispensabile e necessario, ma è dimostrato dai fatti che le norme attuali, basate sugli obiettivi di un equilibrio di bilancio e convergenza del rapporto debito/PIL basato sulla regola del 60% del PIL non solo si è rilevato essere irraggiungibile per molti Paesi, ma ora appaiono come incompatibili per affrontare le sfide di oggi e addirittura controproducente per quelle di domani.

Per 10 anni, queste regole indurite proprio nel 2012 con il cosiddetto “fiscal compact” hanno limitato gli investimenti pubblici in tutti i paesi dell'Unione Europea e ad esempio in Italia portato ad una continua regressione della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale con conseguenze catastrofiche, non solo durante la pandemia, ma in prospettiva rispetto alla carenza drammatica di professionisti (medici ed infermieri) del settore, per non parlare della scarsa considerazione economica di tutto il lavoro di cura e delle professioni sociali .

Le grandi sfide ecologiche a cominciare da cambiamento climatico, quelle economiche per sostenere innovazione e competitività, quelle sociali che vanno dalla salute all’educazione, dalle migrazioni alla natalità, non possono essere gestite con la visione ristretta dei “frugali”, che hanno lo sguardo corto sulle finanze pubbliche che guardano all’equilibrio monetario, ma non sanno vedere i rischi ecologici, climatici e sociali a cui stiamo andando incontro.

L’Unione Europea del futuro non può pensare di sanzionare continuamente che non rispetta il patto, ma non chi ad esempio non investe i surplus accumulati in questi anni. Indicatori come l’occupazione, l’inflazione, i tassi d’interesse e le variazioni azionarie, andrebbero messe sullo stesso piano con le misurazioni delle disuguaglianze sociali, sanitarie e sempre più evidentemente con le emergenze ecologiche. Le catastrofiche alluvioni in Germania e Belgio i devastanti Incendi in Sardegna, Calabria e Grecia lo hanno ricordato anche questa scorsa estate.

Per questo spero che nella conferenza che si apre lunedì 27 settembre, ma soprattutto durante il semestre di presidenza francese del Consiglio dell'Unione europea, che inizierà il 1° gennaio 2022 siano davvero un’occasione per una revisione del quadro di bilancio europeo e della sua attuazione capace di promuovere maggiore solidarietà. Un patto in cui le parole chiave del prossimo decennio di politica economica europea possano essere Sostenibilità e Solidarietà in luogo di Stabilità e Crescita che hanno segnato gli scorsi trent’anni di politica economica dell’Unione da Maastricht in poi.

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