Salute

Dai test sugli uomini la speranza per il vaccino

Gli immunologi : «I test sulle scimmie hanno dato risultati incoraggianti, inibita la proteina che replica il virus del Hiv». Ma ci vorranno dai 5 ai 7 anni di prove

di Redazione

Si chiama Tat ed è la proteina responsabile della replicazione del virus Hiv. Per impedire l?invasione della malattia nell?organismo bisogna bloccare lei. È su questa pista che, negli ultimi anni, si sono mossi i ricercatori di tutto il mondo. E l?Italia è in prima linea: l?avvio della sperimentazione sull?uomo si trova ormai ai blocchi di partenza. «La Sanità ha dato il via libera. I protocolli medici da sottoporre ai Comitati etici e tutta la documentazione burocratica consentiranno, di fare i primi test entro un anno», spiega Barbara Ensoli, immunologa dell?Istituto Superiore di Sanità a Roma, dodici anni di esperienza a fianco del professor Robert Gallo. L?équipe della Ensoli ha perfezionato un vaccino che dovrebbe inibire questa proteina ?motore? del virus, senza provocare reazioni tossiche nell?organismo umano. «Su un gruppo di scimmie abbiamo avuto risultati molto incoraggianti. In cinque casi su sette siamo riusciti a stimolare una risposta immunitaria che ha arrestato completamente la malattia» chiarisce la dottoressa Ensoli, «in questo momento stiamo lavorando su due tipi di vaccino: uno ?terapeutico?, cui sottoporremo le persone già malate, e uno ?preventivo? da fare alle persone sane, nella prospettiva di una prevenzione di massa al contagio». La durata complessiva della sperimentazione dovrebbe oscillare tra i cinque e i sette anni, e coinvolgerà sia persone sieropositive sia quelle mai entrate in contatto con il virus. I test della prima fase dovranno escludere effetti tossici per l?uomo, e coinvolgeranno quaranta persone. La seconda, che servirà a verificare la risposta immunitaria e a calibrare il dosaggio del vaccino, verrà fatta su un centinaio di individui. «L?ultima fase permetterà di monitorare l?efficacia del vaccino su almeno un migliaio di persone», continua la ricercatrice, «per questo andremo in Uganda, dove il virus è purtroppo molto diffuso». Proprio la situazione dei Paesi sottosviluppati impone di fare presto: la terapia farmacologica è troppo costosa e i l contaggio viaggia al ritmo di 1 persona ogni 5 secondi».


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